A leggere i giornali di questi giorni, pare che Piazza Navona sia stata una debacle per chi si oppone al berlusconismo e alla deriva autoritaria che il governo sta promuovendo. Si può criticare, anche aspramente, ciò che ha detto Grillo, si può – si deve, credo – difendere il capo dello Stato da accuse assolutamente ingiuste e gratuite. Ma ciò non toglie che a Piazza Navona è (speriamo) iniziato il cambiamento, così come accadde nel 2001. Non si può rovesciare la realtà.
La manifestazione a cui ho partecipato è molto diversa da quella che i media hanno descritto. Tantissimi giovani, animati dalla speranza di un paese migliore per loro, in cui la legge sia uguale per tutti. Tanti cittadini comuni, delusi dai partiti, soprattutto dal Pd che sembra essersi del tutto eclissato. Tanti militanti della sinistra sbandata, divisa, ancora incapace di riprendersi dalla botta elettorale. Ma erano lì. (continua…)
Siamo stati spazzati via. Senza pietà, travolti nella nostra retorica sulla sinistra e sul bisogno di sinistra. Fuori dal Parlamento, c’era riuscito solo il regime. In questo caso si è trattato di un suicidio. Non più comunisti, non più socialisti, non alternativi, verdi o movimentisti. Non più un altro mondo possibile. Le nostre litanie sono insopportabili.
La sinistra non ha colto l’occasione straordinaria, e largamente immeritata, che un anno fa si era presentata. Il PD era in difficoltà, Bertinotti aveva aperto la strada, la sinistra DS era uscita dal PD. Veltroni non si sognava ancora di candidarsi. E invece la tragica politica di Giordano, e degli altri capi della sinistra, ha sequestrato quest’occasione. Al Congresso della Sinistra Europea chi diceva di andare oltre Rifondazione è stato emarginato e messo sotto accusa. Si è avviato un congresso straordinario del PRC per difendere l’identità comunista, sconvocato sei mesi dopo. La sinistra DS ha perduto pezzi per la strada. Alla trattativa sul welfare ci si è andati divisi. E intanto Veltroni era sceso in campo, e il vento era già girato. Fino al “segno grafico” –era vietato chiamarlo simbolo- dell’8 e del 9 dicembre.
Ora si pontifica contro Veltroni. Anche lui deve riflettere, sul perché lo spostamento al centro non ha attratto nuovi elettori, e sulle conseguenze della rottura a sinistra. Ma noi dobbiamo riflettere prima di lui sul perché tante istanze di sinistra si sono riconosciute nel PD, al punto che –occupando anche gli ultimi banchi dell’estrema sinistra- questo partito un po’ naif appare oggi agli italiani come la sinistra, il suo nuovo nome. Dobbiamo riflettere su tutti i nostri no, spesso non motivati, e sulla caricatura di rompiscatole minoritari che ci siamo fatti cucire addosso, confermata da troppi comportamenti.
La malattia della sinistra è profonda. Sta nel ceto politico, separato dalla vita delle persone (anzi, in quattro ceti politici, indisponibili a lasciare la mano). E nella mediocrità dei capi tribù, l’un contro l’altro armati, protagonisti del tragico collasso della formazione delle liste: si sono piazzati, con le loro correnti, rigorosamente alla Camera, neppure sfiorati dal pensiero che il 4 % fosse a rischio. Chi era fuori da quegli equilibri è stato messo al Senato, sapendo dell’impossibilità dell’impresa. Ma l’autismo politico non ha permesso a nessuno –neppure a noi che nell’associazionismo politico abbiamo per mesi inutilmente predicato la necessità di un’impresa coraggiosa e nuova, senza però riuscire a praticare questa strada- di sentire i rumori di fondo. L’indifferenza. La lontananza. L’assillo per problemi quotidiani fuori dalle nostre analisi ideologiche e astruse. Gli operai votano per Berlusconi e per Bossi.
Su queste macerie non si costruisce niente. Non credo nelle sconfitte salutari. E soprattutto non vedo chi, e come possa avviare un processo di ricostruzione dall’interno delle quattro forze travolte da questo tornado. Comincia un quinquennio in cui la destra non farà gli errori del passato, e in cui il PD cercherà di coprire il vuoto che noi abbiamo lasciato a sinistra.
Solo una radicale lontananza da chi ha guidato i partiti della sinistra in questi anni, un diverso rapporto con le anime di sinistra del PD e il senso di una missione da compiere nella costruzione della sinistra nei posti di lavoro e nella società, può permettere di avviare una nuova impresa dall’esito incertissimo.
Oggi la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica un mio articolo sul dialogo apertosi tra noi e i compagni del partito socialista.
Nell’articolo parlo dell’esigenza per l’Italia di una nuova sinistra, una sinistra del lavoro e della libertà. Ieri, a Telenorba, ho detto a Boselli che avrei sottoscritto il Patto Laico promosso dai socialisti. Penso che abbiamo bisogno di laicità. E’ come l’aria per respirare: quando manda, ti senti soffocare.
Leggendo le dichiarazioni di Walter Veltroni e di altri leader del Partito democratico la sera della vittoria elettorale di Zapatero, non ho potuto fare a meno di sorridere. Il mio amico Walter non mente quando dice che il Pd è simile al Psoe. Lo pensa davvero. Il problema è che potrebbe benissimo dire che è simile al Partito popolare. L’indefinitezza dell’identità e della linea programmatica del Pd sta proprio in questo. Ricordo quando in Italia si parlava di “deriva zapaterista” non da destra, ma da settori degli allora Ds, per non parlare ovviamente della Margherita. A chi sventolava le ragioni di un socialismo moderno, riformatore e non moderato, veniva sempre opposta la figura di Tony Blair. Ricordo che l’allora e oggi di nuovo direttore del Riformista scrisse che Zapatero era “un Folena spagnolo”, forse non rendendosi conto del complimento che mi faceva. Immeritato, va da sé, ma da allora quella frase la tengo sul mio blog perché la dice lunga sui “riformisti” nostrani. (continua…)
Sì, una forza politica ha bisogno di adesioni. Ha bisogno di persone. Una forza politica, in democrazia, è le persone che la compongono e che la votano.
Per questo i movimenti che hanno dato vita all’assemblea “Fare presto” del Farnese il 1° e il 2 marzo inizieranno la raccolta delle iscrizioni alla Sinistra Arcobaleno. Anche se il “partito” ancora non c’è, noi siamo già partiti con il tesseramento.
In Veneto, la settimana scorsa, con 200 banchetti abbiamo già raccolto 6000 adesioni. Le quattro forze politiche, insieme, hanno solo 3000 iscritti in quella regione. Se le adesioni saranno tante – e io penso che davvero ci sarà tanta parte del nostro popolo che vorrà aderire – la Sinistra/L’Arcobaleno non sarà solo un’alleanza elettorale ma un vero e proprio soggetto politico. Il suo emblema che troveremo nella scheda elettorale non sarà solo un “segno grafico” ma il simbolo di una forza politica che si candida ad essere la sinistra italiana. Non ci sono più infatti due sinistre – voglio dirlo ai compagni della Cgil che hanno fatto la scelta del Pd - ma una sola. E quella sinistra siamo noi. Abbiamo quindi una responsabilità in più.
Ed è un fatto significativo che le associazioni, prima dei partiti ma non contro i partiti, hanno deciso di dar vita ad un movimento che raccoglie le reti e i soggetti che vogliono la nascita del nuovo soggetto politico.
La nostra mobilitazione si concentrerà nelle piazze, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, con tavolini e gazebo. Costruiremo i primi circoli e anche se non c’è ancora il partito della Sinistra/L’arcobaleno, la tessera già vale come adesione al soggetto unico.
Iniziamo noi. I partiti, sono sicuro, seguiranno.
Oggi il Riformista ha pubblicato questo mio articolo.
Caro direttore, quando uscii dai Democratici di Sinistra avevo ben chiaro, mi si scusi l’immodestia, che sarebbe nato il partito democratico (allora si diceva “riformista”, poi s’è persa anche questa nobile parola della sinistra). E dissi quello che chiunque in buona fede poteva già allora prevedere: che sarebbe divenuto un fattore destabilizzante per l’allora costituenda Unione di centrosinistra. Si poteva già intravedere, infatti, nella formazione di un partito grande ma indefinito, una operazione di continuità della classe politica e, soprattutto, il tentativo, più volte esplicitato, di dare all’Unione un ponte di comando, prescindendo dalla semplice constatazione della presenza di un articolato pluralismo in quella coalizione. Appariva chiaro ciò che solo da ultimo Walter Veltroni ha esplicitato, e cioè che il Pd era destinato ad una vita solitaria. Si trattava, e si tratta, di una scelta legittima, che non condanno di per sé. Una scelta che non ho condiviso. Per tempo, lasciai i Ds prima che prendessero definitivamente quella strada.
Bisogna riconoscere che il Pd è stata una novità politica deflagrante. Quello che spiace è dover constatare come quella che si autodefinisce classe di governo, abbia decretato la sua fine così presto, con le sue proprie mani. Il partito democratico, invece di deflagrare il centrodestra, come qualcuno aveva ipotizzato, ha non solo distrutto l’Unione, ma anche forse se stesso, se, come pare, si aprirà nei prossimi giorni uno scontro interno che potrebbe sfociare in una scissione. In ogni caso, il Partito Democratico ha generato una maggiore frammentazione, di cui oggi è vittima.
Mastella e Dini erano i soci fondatori della Margherita nel 2001. Fisichella è una personalità corteggiata a lungo dai Dl che lo hanno poi eletto al parlamento. Si potrebbe parlare di una “congiura della palude”, di un governo che “cade al centro”. C’è del vero. Ma questo non basta a spiegare quello che è accaduto, a mio parere.
Se allontaniamo per un attimo lo sguardo dagli alberi e guardiamo la foresta, allora forse appariranno più chiari i contorni della vicenda. Il governo cade sulla legge elettorale o meglio cade perché l’illusione di un bipolarismo – o addirittura di un bipartitismo – coatto ha generato l’instabilità che conosciamo. Questa è l’ideologia dietro al referendum promosso anche dagli amici di Romano Prodi. L’idea di una politica ridotta ad un perenne scontro a due. I Mastella, i Dini, i Fisichella sono gli esecutori materiali di un suicidio inconsapevole della classe dirigente del Pd. Ed è oggi singolare leggere i retroscena sulle pagine dei giornali e non trovare nulla di tutto questo. Tra chi difende Prodi e attacca Veltroni, o viceversa, e chi indica traditori un po’ ovunque, la politica si sta nuovamente incartando.
Invece io credo fermamente nella necessità, per la sinistra e l’ex centrosinistra, di mettere fine alla stagione della riduzione ad uno, delle spallate contro il pluralismo politico. Non funziona, non ha funzionato in questi 15 anni né a destra né a sinistra.
L’unico modo per uscire dall’eterna transizione italiana è oggi una legge elettorale che favorisca la nascita di 4-5 grandi formazioni espressione dei grandi filoni politici, culturali, sociali che non siano costrette ad allearsi per poter sopravvivere, che non siano costrette a dire ai propri elettori di essere d’accordo quando non lo sono, di avere un programma comune che poi non viene attuato. Per quanto mi riguarda, voglio iscrivermi ad una grande Sinistra ecologista, pacifista, dei lavoratori, laica e partecipativa.
Il modello elettorale tedesco è quello che, a detta di molti, può garantire la fine di questa transizione. Se l’urgenza, prima di tornare al voto, è questa, allora che nasca un governo in grado di portare a termine in tempi brevi l’approvazione della riforma elettorale.
La Sinistra, io credo, ha tutto l’interesse a perseguire questa strada. Abbiamo commesso l’errore di non unirci per tempo. C’è chi ha proposto gruppi unitari, liste comuni, primarie per designare un leader e un programma. Tutto questo non si è visto. Oggi sarebbe servito. Oggi saremmo pronti. Ma è inutile rivangare il passato.
Una Sinistra di governo, una Sinistra che voglia avere una funzione nazionale, lo dico ai compagni e alle compagne delle forze che hanno promosso gli Stati generali di dicembre, oggi deve assumersi la responsabilità di indicare al Capo dello Stato l’esigenza di non arrivare al voto senza aver prima aver sperimentato tutte le strade possibili per far nascere un governo che metta in breve tempo la parola “fine” al bipolarismo coatto.