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Se una persona “possiede” qualcosa può scegliere di tenerla per sé o di cederla anche agli altri. Se si tratta di un oggetto, come di una mela, resterà senza. Ma se una persona “sa” qualcosa e la insegna, la sua conoscenza si moltiplica e si diffonde senza che nessuno si impoverisca

Per un welfare della conoscenza e dell’Innovazione.
Lavoro cognitivo, nuove tecnologie e diritti digitali

LECCE Venerdì 4 aprile – alle ore 17:30
Sala Pellegrino, II° piano Biblioteca provinciale “Sigismondo Castromediano”, viale Gallipoli
Partecipano:

  • On. Pietro Folena – Presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati e candidato della Sinistra Arcobaleno al Senato per la Puglia.
  • Carlo Formenti, docente di Teoria e Tecnica dei nuovi media presso l’Università degli studi di Lecce
  • Stefano Cristante, docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università degli studi di Lecce
  • Arturo Di Corinto, docente di comunicazione mediata dal computer presso La Sapienza di Roma
  • Eugenio Iorio, docente di Comunicazione politica presso l’Università degli studi di Bari

Coordina: Carmen Tarantino, giornalista

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Interverranno: Arci Provinciale, ZEI, CoolClub, SUM Project e tanti altri
In progress: video proiezione de “La Repubblica del Software (libero)”, distribuzione materiale su licenze Creative Commons e Software Libero.

Applicando la logica del copyleft e dell’open source, le comunità che aderiscono all’idea
dell’autore collettivo e alla cultura della condivisione hanno dimostrato, attraverso il software libero e l’editoria indipendente, la comunicazione autogestita e la produzione di beni comuni digitali, di riuscire a promuovere modelli sociali ed economici in grado di produrre ricchezza, crescita e benessere. Un “patrimonio intellettuale” a disposizione di tutti, un insieme di risorse, beni e conoscenze il cui valore è costantemente incrementato dall’uso e dalla circolazione.

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Paulo Coelho vestito da pirataE difatti bisognerebbe smettere di chiamarla pirateria ed iniziare a chiamarla con il suo vero nome: condivisione.

Oggi il Corriere della Sera pubblica un articolo molto interessante. Paulo Coelho, uno di quegli scrittori che quando pubblica un libro crea le file in libreria, sul suo blog spiega come scaricare le sue opere gratuitamente. Il perché è semplice: i suoi libri non vendevano in alcuni Paesi come la Russia, finché non sono finiti nei circuiti “pirati”. Lui stesso ha pubblicato il link e, magia, in due anni è passato da 1000 copie a 10mila. E ora addirittura a 10 milioni.

Certo, si può facilmente obiettare che lui “può permetterselo”. E’ vero. Ma vediamo di analizzare bene la questione.

Se sono un grande autore posso permettermi di pubblicare gratis sul web le mie opere. Così, mi farò pubblicità dove l’editoria o la discografia tradizionali non arrivano. E’ il caso, appunto, di Coelho.

Se invece sono un artista semi-sconosciuto, posso usare questo mezzo per farmi conoscere. E difatti è ciò che molti fanno, ad esempio pubblicando con licenze Creative Commons.

Insomma, che io sia un “grande”, oppure un “piccolo”, la condivisione non mi danneggia, ma mi aiuta.

Non dico che Coelho abbia ragione al 100%. Non dico che il suo esempio valga sempre e comunque. Ma possiamo iniziare a fare una seria discussione – senza pregiudizi – su questi temi? Possiamo iniziare a smettere di criminalizzare la condivisione della conoscenza attraverso le reti peer-to-peer?

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kill wikipedia

Questa notizia m’ha fatto rabbrividire:

(AGI) – Firenze, 29 feb. – Il sindaco di Firenze Leonardo Domenici e l’assessore Graziano Cioni hanno dato mandato di querelare per diffamazione e calunnia il sito internet Wikipedia, la cosiddetta “enciclopedia libera on line”. Sul sito di Wikipedia, alla voce ‘Leonardo Domenici’, si imputano al sindaco e alla sua giunta alcuni provvedimenti e decisioni che, si legge, “hanno suscitato critiche da parte della cittadinanza” e si cita in particolare “l’affidamento dei parcheggi cittadini alla societa’ ‘Firenze parcheggi’, del cui cda fanno parte le mogli di Domenici e dell’assessore Cioni”.
Una calunnia gia’ circolata in passato, sulla quale nel 2004 la Procura della Repubblica di Firenze ha aperto un’inchiesta e per la quale ci sono gia’ stati una condanna e alcuni rinvii a giudizio. (AGI)

A Wikipedia va tutta la mia solidarietà. Tutti sanno che Wikipedia è un’enciclopedia dove chiunque può scrivere. A Domenici e Cioni bastava modificare l’articolo incriminato….

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Oggi la Commissione europea ha sanzionato la Microsoft perché dal 2004 non ubbidisce alle disposizioni antitrust. Una multa senza precedenti: 899 milioni di euro.

Microsoft è un’azienda che non rispetta le norme europee sulla concorrenza e le decisioni antitrust. Questa decisione è un buon segnale.

In Italia però vigono altri due monopoli “speciali”. Quello di Mediaset nell’emittenza televisiva privata e quello della Telecom Italia nella telefonia fissa e nelle connessioni Internet.

L’Unione europea credo debba incidere con maggiore forza su questi bubboni che frenano lo sviluppo del multimediale e della tv italiana.

Noi proponiamo la nazionalizzazione della rete telefonica e telematica e la liberalizzazione del software. Vogliamo che i cittadini non paghino il canone Telecom anche se sono abbonati ad un altro operatore ADSL. Vogliamo che su pc e portatili non ci sia solo Windows ma il consumatore abbia la possibilità di scegliere. Vogliamo che Mediaset non sia l’unica tv privata nazionale. E vogliamo una RAI diversa. http://www.pietrofolena.net/blog/?p=314

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Oggi è all’esame dell’aula di Montecitorio la ratifica della Convenzione del Consiglio di Europa sui Crimini informatici.

La convenzione in sè contiene elementi positivi ed altri criticabili ma ad essa occorre, al meglio, adeguarsi. Solo che la formulazione originaria era alquanto stramba:

Art. 4.
(Modifiche al titolo XII del libro secondo del codice penale).

1. L’articolo 615-quinquies del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 615-quinquies. – (Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico). – Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, si procura, produce, riproduce importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici aventi per scopo o per effetto il danneggiamento di un sistema informatico o telematico, delle informazioni, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 10.329».

Ora immaginiamo dei casi particolari, magari un po’ esagerati (alla fine i giudici agiscono anche secondo il senso comune) ma paradossali:

1) il titolare e il responsabile commerciale di una società che produce software di sicurezza informatica. Tale software dovendo testare i sistemi in cui è usato, deve cercare di danneggiarli o di introdurvisi tali società non potrebbero commercializzare in Italia…

2) il ricercatore o lo studente informatico che, avendo scoperto una certa vulnerabilità (ad esempio un errore di programmazione di un programma, oppure una falla nel sistema di crittografia dei dati) scrive un programma che usa tale vulnerabilità a fini di test come dimostrazione o esercizio didattico o tesi universitaria (difatti si potrebbe intravedere in tale attività un “profitto” = voto più elevato, conseguimento della laurea o del dottorato…, che hanno ricadute economiche dirette in molti casi, ad esempio in quello dell’assegno di ricerca)

3) la cosa più incredibile: il poliziotto della polizia postale o l’investigatore o l’informatico forense che per raccogliere prove o controprove devono ovviamente possedere programmi che tentino di procurare violazioni della sicurezza dei sistemi… ma se non si possono commercializzare, come fanno a procurarseli? Inoltre, almeno nel caso del difensore, il “profitto” potrebbe essere rappresentato dalla parcella che presenta all’imputato.

4) l’utente che ha perso la password del proprio pc o di un proprio documento e cerca un software di cracking… come farebbe a procurarselo legalmente?

Per fortuna abbiamo approvato un parere in commissione e in Aula sono state apportate le conseguenti modifiche…

La VII Commissione,

considerato che:

a) il disegno di legge in esame, recante ratifica ed esecuzione della convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, e relative norme di adeguamento del diritto interno, presenta all’art.4 norme che elevano a reato penale l’uso, la diffusione e il possesso di apparecchiature o di programmi informatici atti o anche solo utilizzabili per il danneggiamento di un sistema informatico ed anche solo l’alterazione del suo funzionamento, quando vi sia il fine di procurare “a sè o ad altri un profitto o di arrecare danno altrui”;

b) tale disposizione, di per sé, rende punibile la commercializzazione e la diffusione di strumenti elettronici o di programmi informatici atti alla verifica di sicurezza delle reti telematiche e/o dei singoli elaboratori elettronici, poiché, da parte del fornitore dell’apparecchio, ovvero del programma, si configurerebbe un profitto, in altre circostanze legittimo;

c) l’introduzione del concetto di “profitto”, inoltre, oltre a ricomprendere il lucro derivante da attività commerciale, potrebbe configurare il reato anche in altre circostante;

d) si andrebbe così a rendere illegale e finanche penalmente rilevante alcune attività di verifica della sicurezza informatica, attraverso strumenti commerciali e, in potenza, anche gratuiti, questi ultimi spesso sviluppati da programmatori esperti che intendono mettere a disposizione del pubblico programmi informatici atti a tentare danneggiamento o intrusione nel sistema allo scopo di testarne l’effettiva vulnerabilità;

e) con particolare preoccupazione va valutata questa previsione in riferimento allo studio e la ricerca nell’ambito della sicurezza informatica, materia di sempre maggiore rilevanza nei corsi universitari e di specializzazione, e che in modo crescente interessa l’ambito di ricerca tecnologica e teorica della scienza informatica;

f) paradossalmente, tali proibizioni colpirebbero per primi gli organi di investigazione e di polizia, che non potrebbero acquisire tali strumenti che invece sono indispensabili all’accertamento dei reati informatici e delle circostanze ad essi collegati, vanificando lo scopo stesso del disegno di legge e della Convenzione;

g) quest’ultima, di fatti, prevede esplicitamente che la rilevanza penale debba intendersi solo nel causo in cui vi sia da parte del soggetto l’intenzione di commettere un reato informatico, come anche per il collaudo o la protezione dello stesso (art.6)

h) appare pertanto valicare i confini della Convenzione, arrecare pregiudizio ingiustificato ad attività commerciali lecite, nonché allo studio e alla ricerca informatica e all’attività di protezione della stessa sicurezza informatica e all’accertamento dei fatti delittuosi in ambito telematico e informatico, la previsione dell’art.4 del ddl in esame;

ESPRIME PARERE FAVOREVOLE

a condizione che l’art. 4 sia modificato nel senso di non prevedere il mero scopo di profitto ma esclusivamente l’altrui danno nell’ipotesi dell’intenzionale commissione dei reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 della Convenzione come stabilito dal paragrafo 2 dell’art. 6 della stessa.

L’Aula, su indicazione della Commissione Giustizia che ha recepito il nostro parere, ha modificato così il testo:

“Chiunque,

    allo scopo di danneggiare illecitamente

un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa dino a euro 10.329″

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Il professor Francesco Giavazzi è il principale editorialista economico del Corriere della Sera. Ma questo non lo mette al riparo da grossi errori. L’altro giorno ha scritto un articolo nel quale sosteneva che le reti (si riferiva principalmente al gas, ma il discorso era generale) vanno affidate ai privati. L’articolo è reperibile cliccando qui.

Non sono d’accordo con Giavazzi, perché credo al contrario che le reti debbano essere pubbliche ed eventualmente (e non sempre) i privati possano gestire i servizi (sicuramente non l’acqua). Per cui gli ho risposto così, sempre sul Corriere della Sera:

Nell’articolo “Perché affidare le reti ai privati” (Corriere della Sera del 31 gennaio 2007) il professor Giavazzi, a sostegno della sua tesi di vendita delle infrastrutture ai privati, dice tra l’altro che “i manager pubblici possono essere bravissimi a costruire altoforni, ma non inventeranno mai Skype o una compagnia low cost”. Per chi non lo sapesse, Skype è uno dei più noti servizi di Voice over IP, cioè di telefonia via Internet.

Ora, il professor Giavazzi non può ignorare che Internet è stata inventata da un ente pubblico statunitense (l’Arpa), il Word Wide Web da un ente pubblico europeo (il Cern) e che molti degli standard su cui opera Internet sono creati e gestiti da enti pubblici, para-pubblici o nei quali il pubblico svolge un ruolo importante. E questo, se non altro, ci dice quanto sia suicida tagliare i fondi della ricerca pubblica. (continua…)

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