E difatti bisognerebbe smettere di chiamarla pirateria ed iniziare a chiamarla con il suo vero nome: condivisione.
Oggi il Corriere della Sera pubblica un articolo molto interessante. Paulo Coelho, uno di quegli scrittori che quando pubblica un libro crea le file in libreria, sul suo blog spiega come scaricare le sue opere gratuitamente. Il perché è semplice: i suoi libri non vendevano in alcuni Paesi come la Russia, finché non sono finiti nei circuiti “pirati”. Lui stesso ha pubblicato il link e, magia, in due anni è passato da 1000 copie a 10mila. E ora addirittura a 10 milioni.
Certo, si può facilmente obiettare che lui “può permetterselo”. E’ vero. Ma vediamo di analizzare bene la questione.
Se sono un grande autore posso permettermi di pubblicare gratis sul web le mie opere. Così, mi farò pubblicità dove l’editoria o la discografia tradizionali non arrivano. E’ il caso, appunto, di Coelho.
Se invece sono un artista semi-sconosciuto, posso usare questo mezzo per farmi conoscere. E difatti è ciò che molti fanno, ad esempio pubblicando con licenze Creative Commons.
Insomma, che io sia un “grande”, oppure un “piccolo”, la condivisione non mi danneggia, ma mi aiuta.
Non dico che Coelho abbia ragione al 100%. Non dico che il suo esempio valga sempre e comunque. Ma possiamo iniziare a fare una seria discussione – senza pregiudizi – su questi temi? Possiamo iniziare a smettere di criminalizzare la condivisione della conoscenza attraverso le reti peer-to-peer?