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In queste settimane decine, anzi centinaia di persone, con ogni mezzo (questo blog, le e-mail, telefonate, fax…) mi hanno chiesto di tornare a Mattinata per incontrare i cittadini.

Domani (venerdì) farò due incontri. Il primo, con i candidati e i consiglieri della “Primavera”, presso la sezione Ds.

Poi alle 19 una iniziativa pubblica al Museo rivolta agli elettori del centrosinistra e a tutta la città.

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Folena: «Ai Ds ho dato fastidio e mi hanno tradito»
dal CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 7 APRILE 2005

Il deputato sconfitto alle comunali di Mattinata, accusa: «Contro di me ostilità organizzata». E pensa a Rifondazione

FOGGIA– Il matrimonio tra i Ds di Manfredonia e il deputato del collegio, Pietro Folena è ormai finito. La sconfitta elettorale a Mattinata dove Folena si presentava come candidato sindaco dell’Unione e dove bastavano per essere eletti 2495 voti, quanti ne ha presi lo sfidante di centrodestra Angelo Iannotta, ha definitivamente compromesso il rapporto iniziato nel 2001. Il deputato diessino non nasconde che il suo futuro politico nazionale potrebbe vederlo approdare a Rifondazione Comunista. «Una bufala » invece l’ipotesi che lui possa far parte del futuro governo regionale guidato da Nichi Vendola.

Come spiega onorevole Folena la sua sconfitta nel piccolo centro garganico?
«Con me il centrosinistra a Mattinata ha raddoppiato i suoi consensi. Non mi pento di aver messo la mia candidatura al servizio dei compagni del centro garganico che me lo avevano chiesto. Certo fa pensare che ad oggi, mercoledì, io non abbia ricevuto né una telefonata dal segretario regionale né da quello provinciale dei Ds e neppure dal sindaco di Manfredonia, Paolo Campo. Questa la dice lunga su una concezione molto spregiudicata del potere e della politica ».
(continua…)

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di Pietro Folena – da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 28 gennaio 2005

Egregio direttore, le chiedo ospitalità sul suo quotidiano per una breve riflessione sulle primarie del centrosinistra che hanno visto la vittoria di Nichi Vendola, contro ogni aspettativa.
In questi giorni, ne abbiamo lette e sentite tante. C’è chi, come il professor Sartori, si scaglia contro lo strumento perché coinvolge solo “i militanti”. Altri preconizzano una sicura sconfitta per Vendola, poiché non sarebbe in grado di intercettare “i voti moderati” della “Puglia bianca” e da ciò fanno discendere che le primarie sono un boomerang per la Grande Alleanza Democratica. Altri ancora, come il mio compagno di partito Beppe Vacca, preferiscono usare i sondaggi per scegliere i candidati. Provo a dire la mia.
1. Prima delle elezioni primarie, tutti noi nel centrosinistra davamo la Puglia per persa. Troppi conflitti interni alla coalizione avevano pesantemente compromesso la crescita di consensi registrata nelle tornate che ci hanno visti vincitori quasi ovunque in Puglia. Sembrava che il freddo inverno dei veti incrociati tra i partiti avesse spento la “primavera pugliese”. Ora qualche sondaggio, ma soprattutto il “naso” e le “antenne” ci dicono che la partita si è riaperta. La straordinaria mobilitazione dei cittadini pugliesi ha fatto il miracolo. E del resto 80mila persone che vanno alle urne sotto il gelo non lo fanno se sentono che questo è un esercizio inutile: lo fanno se hanno l’aspirazione a vincere le prossime regionali. Del resto credo che risultato delle suppletive che hanno visto la vittoria di Nicola Latorre è figlio anche delle primarie, come mi pare abbia detto bene Introna. A questo si aggiunge la personalità di Vendola, un politico fuori dagli schemi che proprio per il suo linguaggio vicino alla vita reale, più che alla politica di palazzo, è in grado di catalizzare l’attenzione della gente “normale”, quella che non vive per la politica.
2. Perché “i militanti” dovrebbero essere meno capaci dei “dirigenti” nell’arte di scegliere un buon candidato? Forse il militante vive su un altro pianeta? Forse il militante non lavora, non sente le chiacchiere al bar, non va alla partita, insomma non vive la sua realtà territoriale? Probabilmente lo fa più del “dirigente”. E quindi forse conosce meglio gli “umori”, il sentimento profondo della società in cui vive. E poi diciamo anche che tra quegli 80mila elettori solo una minoranza era iscritta ai partiti. Il resto erano cittadini con un orientamento politico, non “militanti”, ne che meno estremisti.
3. Non sono pugliese, ma credo di conoscere la Puglia e i suoi abitanti. E la mia vita politica si è svolta in buona parte nel Mezzogiorno. Vendola è in grado di parlare ai pugliesi suscitando il meglio del retaggio culturale di questa terra. Si dice che non sfonda “al centro”. Può darsi. Io so che sfonda a destra. Può sembrare paradossale che un gay comunista possa attirare il consenso di elettori lontani, ma ci sono temi (penso alla legalità, allo stato sociale, al lavoro) sui quali la sensibilità dei cittadini che votano a destra è molto alta. Nichi è il campione di questi temi. Fitto cos’ha da opporvi? La chiusura di reparti ed ospedali? Un suo assessore arrestato? Quanti elettori di destra hanno già votato per il centrosinistra perché indignati della condotta morale di alcuni esponenti del Polo o perché il loro comune s’è visto privato di un’assistenza sanitaria decente?

In conclusione, credo che sarebbe un errore se il centrosinistra cadesse preda di un leninismo di ritorno. Non bisogna avere paura di dare la parola al popolo. I cittadini sono maturi per scegliere. Non facciamo l’errore di quelli sui quali ironizzava Bertold Brecht quando disse che, visto che il governo e il partito non possono sbagliare e non si possono cambiare, allora bisogna cambiare il popolo.
Il centrosinistra – i partiti, le associazioni, i cittadini che lo compongono – possono oggi offrire a questa regione un’alternativa politica più credibile di quanto non fosse prima delle primarie.

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di Pietro Folena – da “La Rinascita della Sinistra” del 18 gennaio 2005

In questo fine settimana è accaduto qualcosa che avrà importanti conseguenze sul dibattito interno al centrosinistra e sul profilo dell’Alleanza democratica.
Parto dall’ultimo, la vittoria di Nichi Vendola alle primarie pugliesi, per leggere a ritroso anche gli altri. L’affermazione di un candidato radicale (di più, comunista, anche se di una specie un po’ eretica) in un contesto in cui tutto il ceto politico era schierato per l’altro candidato, Francesco Boccia, un contesto nel quale vi sono state forti pressioni per indurre gli iscritti dei partiti a seguire le indicazioni delle segreterie, ha qualcosa di straordinario. Faccio una ipotesi di analisi del voto. (continua…)

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di Pietro Folena, da “Sud-Est”, numero di dicembre 2004

Nella passata legislatura, il centrosinistra ha proseguito nella politica delle privatizzazioni delle aziende pubbliche erogatrici di servizi, già messa in campo dai governi Amato, Ciampi, Dini. Alcune di queste cessioni hanno portato risultati positivi, quando sono state accompagnate anche dalla liberalizzazione del mercato. Il più delle volte, però, questo non è accaduto. Anche alla luce dei risultati di quelle politiche, oggi credo che dobbiamo rivedere l’idea stessa di privatizzazione come “dovere” per una sinistra cosiddetta “riformista”. Negli anni del nostro governo tutti ci siamo accovacciati su un’idea, quella che le privatizzazioni fossero un pezzo della modernizzazione del paese. Non è così, soprattutto riguardo alle risorse idriche e alle reti di distribuzione. C’è una peculiarità nell’acqua della quale dobbiamo tenere conto.
L’acqua non può essere assimilata a qualsiasi altra merce. Dovendo indicare qualcosa di “pubblico”, cioè di tutti, istintivamente pensiamo a due risorse: l’aria e l’acqua. L’acqua come bene pubblico è quindi senso comune per la maggior parte dei cittadini. Eppure, proprio l’acqua è oggi oggetto di una campagna di privatizzazione che parte dai vertici del Wto fino ad arrivare al nostro governo. Ma la nostra strada dev’essere diversa.
Penso che per la sinistra, per il centrosinistra, il grande tema dell’accesso all’acqua e a tutte le risorse naturali stia divenendo sempre più un tema distintivo e cruciale per la stessa identità delle forze democratiche e di progresso. E’ una battaglia con un valore simbolico decisivo per il campo socialista e democratico, sulla quale è possibile costruire alleanze larghe, coinvolgendo amministrazioni, enti e aziende pubbliche, associazioni che si battono per i diritti dei cittadini e dei consumatori.
Ciò non significa necessariamente che tutto deve essere pubblico al 100% dalla sorgente al rubinetto, ma che sono le istituzioni democratiche che dettano le regole e che soprattutto garantiscono a tutti l’acqua per bere e irrigare. Che lo Stato (o la Regione o il Comune) possiede le risorse idriche e che queste non possono essere cedute a privati ma devono essere condivise con chi ne ha di meno o per nulla. Oltre a quelle di carattere “teorico”, vi sono anche considerazioni più pratiche per privilegiare il controllo pubblico degli reti e delle risorse idriche: lo stato del sistema acquedottistico e delle reti di distribuzione cittadine – lo sanno bene i pugliesi! – richiede interventi di risanamento e ammodernamento delle strutture che solo il settore pubblico è in grado di assicurare nella misura adeguata (stime molto accreditate parlano di circa 100.000 miliardi di vecchie lire in oltre 20 anni). La funzione dell’intervento pubblico è determinante per assicurare un miglioramento della qualità del servizio.
Certo, i pugliesi non hanno avuto un grande esempio di ciò. L’Acquedotto pugliese è un colabrodo (in più di un senso). Ma non si risponde ad un deficit di capacità gestionale con il cambiamento dell’assetto proprietario. Certo, c’è pubblico e pubblico. Il passaggio dell’Acquedotto pugliese alla Regione non ha risolto la situazione. La Regione Puglia è protagonista di uno dei più grandi sprechi di risorse nel nostro paese. Non era così, quando il governo Prodi risanò l’ente. Il risanamento di AQP conferma che una conduzione pubblica consapevole e attenta, può portare a una gestione economica delle strutture idriche.
Accanto ad un “buon governo” dell’azienda, serve però un “governo partecipato”. Penso all’idea fare entrare nel capitale dell’AQP altri enti pubblici interessati: prima di tutto i comuni che sono i reali titolari delle concessioni e delle infrastrutture gestite da AQP. Ma non tanto per questo motivo, ma perché i comuni sono le istituzioni più vicine ai cittadini, quelle che conoscono le reali esigenze del territorio. Sanno dove è più urgente intervenire, sanno quali sono le emergenze del nostro territorio. Conoscono da vicino i problemi degli agricoltori, tra costi e tasse e balzelli ai consorzi di bonifica. Conoscono i problemi di quei cittadini che possono non avere i soldi per pagare le bollette. Una gestione pubblica vuol dire anche tariffe sociali, vuol dire capacità di capire che in un certo territorio può essere necessario investire per aiutare una zona colpita da una calamità.

Sull’AQP possiamo lanciare, come centrosinistra, una grande sfida a Fitto: noi non siamo il pubblico sprecone, non siamo le clientele, non siamo le cordate dei soliti noti, che si spartiscono in stanze segrete quello che è dei cittadini. Possiamo dire: noi vi proponiamo un governo diverso delle risorse idriche e dei servizi pubblici. Credo che questo sarebbe molto, ma molto più riformatore di tanti discorsi su liste più o meno unitarie e forse farebbe per un attimo dimenticare il percorso tortuoso – per usare un eufemismo – che ha portato alla scelta del candidato presidente.

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di Pietro Folena – da “Sud-Est”, numero di Novembre 2004

I costi sociali
La riforma costituzionale del governo (ddl Senato n.2544-B) introduce, tra l’altro, sostanziali modifiche all’assetto federale della Repubblica, così come definito dalla riforma costituzionale del centrosinistra, approvata alla fine della passata legislatura e confermata dal referendum popolare.
In particolare, interviene sulle materie di competenza dello Stato e delle Regioni, ridisegnando i confini tra ciò che il Parlamento – e quindi lo Stato centrale – può normare e ciò che invece è lasciato alle singole Regioni. Non si tratta di modifiche di poco conto, ma al contrario di un ribaltamento della logica che mosse la riforma dell’Ulivo (della quale, più avanti, sottolineeremo anche limiti ed errori). (continua…)

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