Una crisi di sistema

Da Epolis di oggi

Brancher, con un atto di responsabilità, ha levato la prima spina conficcata nel governo Berlusconi. Che la sua nomina fosse stata un clamoroso ed incomprensibile autogol, lo avevamo scritto su queste colonne. Meglio una marcia indietro, a costo di coprirsi di ridicolo, che insistere con una mina ad altissimo valore esplosivo. Ma in questa torrida settimana di luglio, di spine ne rimangono almeno altre tre, nella maggioranza; e se non venissero rapidamente estratte finirebbero col far cadere il Governo: la manovra, con un braccio di ferro con le Regioni che ha aperto una contrapposizione tra il premier e Tremonti; le intercettazioni, dove il fare presto (per dare una lezione a Fini) contrasta in modo incomponibile col fare bene (via obbligata affinché il Quirinale superi le sue fondatissime obiezioni di costituzionalità); la vita interna del PdL, tra una voglia di liberarsi del dissenso finiano (con una complicata operazione neo-stalinista) e l’idea di una federazione-Pdl, anticamera della fine del partito unico di centro-destra.

Rimane il fatto che -a fronte dei dati che raccontano del paese più ingiusto d’Europa, insieme alla Polonia, di un forte calo delle spese della famiglia, a partire da quelle alimentari e di un tasso crescente di disoccupazione giovanile – la maggioranza di governo con i numeri più elevati degli ultimi vent’anni, nel breve volgere di un biennio, sembra essere ad un passo da un’implosione. Non si ricorda, nella democrazia repubblicana, uno sfilacciamento dei partiti e del quadro politico così acuto. Questo sfilacciamento non risparmia nessuno, e anche le opposizioni -per quanto possano sentirsi galvanizzate dal lento suicidio del centro-destra- non appaiono pronte per un’alternativa credibile.

Ecco perché Casini ha ragione. Oggi occorre pensare a un governo di transizione, di sicura fede europeista, aperto a tutti e nel quale la sinistra e chi rappresenta il lavoro portino le istanze della parte più penalizzata del Paese. Un governo, a mio avviso, senza la presenza diretta dei partiti: ma composto da personalità delle parti sociali, della cultura, dell’amministrazione in grado di ricucire un rapporto di fiducia con l’opinione pubblica, di moralizzare la vita politica e amministrativa, di valorizzare gli asset strategici del Paese, di redistribuire la ricchezza e diminuire il divario, di recuperare credibilità internazionale. Insistere col vecchio bipolarismo, tornando a votare al buio, sarebbe un esiziale errore.

Forse le altre spine Berlusconi nei prossimi giorni riuscirà a levarle. Ma nell’interesse del Paese oggi bisognerebbe prendere atto, con responsabilità corale, che è necessario imboccare un’altra strada.