L’ultima settimana di gennaio sarà decisiva per il futuro del Paese. L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in un quadro di crisi profonda e di incertezza acuta dell’intero sistema politico, si carica di molte aspettative, di qualche ansia, di alcune speranze.

Tutto questo ha a che fare con la cultura, e con il posto che la cultura occupa nel Paese. Lo stesso Quirinale -fin dal 21 dicembre del 1999, alla vigilia del nuovo millennio, quando furono inaugurate grazie al Capo dello Stato le Scuderie restaurate da Gae Aulenti- è protagonista e motore della conservazione e della valorizzazione del patrimonio culturale. Talvolta in modo ineccepibile, qualche altra con interventi più discutibili. Giorgio Napolitano a più riprese, soprattutto nella parte finale del suo primo settennato e negli ultimi due anni, si è posto quasi nella posizione di un “superministro” della cultura, sollecitando il Governo a fare una scelta di investimento, e non di tagli, in tutto il settore.

Trovo in queste ore indecente la propaganda governativa sotto l’imponente e sconvolgente nudità del David di Michelangelo: con una piccola catastrofe comunicativa fisicamente si percepisce il nanismo politico dell’attuale leadership tedesco-europea, ammalata di un atteggiamento contabile, e la posizione un po’ guascona di chi, come il nostro Presidente del Consiglio, pensa di poter iscrivere il David al nascente Partito della Nazione.

Ma credere nella cultura come bene universale, e come grande opportunità richiede qualcos’altro. La propaganda strumentale attorno ai capolavori dell’arte si esaurisce; ricordo, tempo addietro, quel Consorzio del Prosciutto Crudo che aveva pensato di legare la propria fortuna alla medesima immagine. Richiede un lavoro faticoso, come quello che, non senza limiti, ha cominciato a fare Dario Franceschini in questi mesi. E richiede un incoraggiamento a quanti, fuori e dentro le istituzioni, operosamente si danno da fare per difendere e promuovere la bellezza e la cultura.

Questo ci possiamo augurare, con un pizzico di idealismo e di romanticismo: un Presidente che per caratteristiche manifesti al mondo questa identità italiana. Trovo affascinante l’idea lanciata da Vittorio Sgarbi, con la proposta di candidare Riccardo Muti alla Presidenza. E Muti non è il solo possa rappresentare la cultura nelle sue diverse forme (l’arte, la scienza, la letteratura, e così via).

In ogni caso il Quirinale dovrebbe sfuggire a un gioco politico basso, ed essere all’altezza di un’idea di Paese.

Succederà? Il pessimismo della ragione rende molto scettici. Ma l’ottimismo della volontà porta a sperare. In un punto basso di credibilità delle istituzioni una scelta fuori dal coro sarebbe uno straordinario scossone salutare.

Pietro Folena

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