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Qui di seguito le mie conclusioni al convegno “la Costituente delle idee” del 21 giugno scorso

Se dovessi dire quale è il tratto comune che mette insieme esperienze e storie diverse come quelle che hanno promosso questo incontro, questo tratto è una grande febbre: una preoccupazione gigantesca per il fatto che per la prima volta nella storia della Repubblica noi, che affondiamo le nostre radici nella lotta partigiana, nell’antifascismo, nella Costituzione della Repubblica italiana ( e Dio solo sa quanto va difesa), vediamo proprio il popolo, quel lavoro dell’art.1, che non ha rappresentanza, o non sente di essere pienamente rappresentato dalla politica così come è oggi; e soprattutto dalla forza dei democratici che lì ha la ragione della sua esistenza. Questo è il nostro comune grande cruccio.

Quando tu perdi nei quartieri popolari di tutte le città, quando in quegli stessi quartieri poi non si vota alle amministrative, quando lì l’astensionismo è di gran lunga il primo partito, si apre una ferita profonda nella democrazia. Non sono fatti nuovi, non sono fatti nati solo ora o da imputare solo a responsabilità degli ultimi anni: sono fatti molto profondi. Ma mai lo scollamento è diventato così acuto, così grande, con il rischio che la democrazia sia vissuta come un fatto negativo, con il rischio che il risentimento sociale nei confronti delle classi dirigenti e di chi fa politica e degli intellettuali, sia il tratto dominante di quel che noi poi, con scorciatoie che un po’ giustificano noi stessi, chiamiamo populismo. Dietro a questa parola consolatoria c’è altro: c’è solitudine, c’è disperazione, c’è povertà, c’è disoccupazione, ci sono gli esodati e chi si vede allontanare o sconvolgere all’improvviso tutte le proprie prospettive di vita. E così il mutuo, o il sostegno ai propri figli che devono affermarsi diventano impossibili. Ma andiamo al di là di questa narrazione.

Ebbene: il cruccio è questo! Non basterà un Congresso è ovvio! Ma il cammino è quello di ricostruire una connessione, un rapporto, un sentimento e per questo la manifestazione di domani è importante e se mi permettete di dire, per questo è molto importante che se voi vedete uno dei tratti di questa nostra iniziativa tu trovi compagni e compagne che hanno fatto esperienze nella CGIL, nella UIL, nella CISL, in movimenti, anche di tipo nu, penso a quello dell’acqua e beni comuni, ma che oggi hanno questa comune preoccupazione.

Da qui nasce la Costituente delle idee. La Costituente delle idee non è, lo ha detto benissimo Cesare Damiano, una trovata per evitare i nodi o perché ci ripugna votare sulle persone o perché pensiamo che il problema sia un altro. Non è questo! Del resto ne ha parlato con efficacia il Segretario del Partito, Guglielmo Epifani: ci sarà il Congresso entro l’anno, tutta la macchina si metterà in moto; ma è possibile avere nei due-tre mesi precedenti al momento della decisione su chi ci deve comandare, una discussione che permette anche a chi si candida per comandarci, di dire come la pensa questo partito, questo popolo, su tantissime questioni? E’ possibile? Questo è il grandissimo tema che è stato posto con l’ordine del giorno comune alla Direzione del Partito, assunto dal Segretario : anche se poi tante volte i comportamenti quotidiani di tanti esponenti di questo Partito, di diverse generazioni, contraddicono questo elemento.

In questa riflessione sulle idee noi siamo abbastanza persuasi dell’usura delle vecchie parole. Paolo Corsini, uomo sensibile e storico di valore, ha fatto questo pomeriggio delle riflessioni che mi hanno particolarmente colpito; ci ha invitato ad usare la parola “riformismo” nel senso autentico, che viene dalla storia del socialismo. E tuttavia, e Paolo converrà, il tema è il futuro del riformismo, perché anche di questa parola si è fatto un uso improprio: è stata adoperata in senso completamente contrario per dieci- quindici ann. Chi erano i riformisti? Solo quelli che facevano la lode delle magnifiche e progressive sorti della globalizzazione: era quello il riformismo! Quindi alla fine in questa trasformazione del vocabolario operata dal neoliberismo ( abbiamo più volte citato 1984 di George Orwell, con l’obiettivo di una neolingua) anche il riformismo è rimasto ferito.

A me sta benissimo un riformismo forte, quello che chiamiamo nuovo riformismo: ma questo nuovo riformismo su cui stiamo lavorando che è qualcosa di più largo della tradizione, anche se la comprende, ha il suo contenuto qualificante nella critica radicale al neoliberismo così come si è manifestato nel corso di questi anni. Qualcuno ha preso un mio riferimento a Bad Godesberg , ad una svolta di portata simile a quella che fece l’SPD, come un atteggiamento retrò, di tipo socialdemocratico classico. Si tratta invece di una provocazione: occorre fare una Bad Godesberg alla rovescia, proprio nei confronti di quelle culture di sinistra che nel corso degli anni novanta e del decennio scorso, hanno vissuto il riformismo fondamentalmente come un approdo a un liberismo temperato, a un sistema che riducesse le garanzie, con l’illusione che il privato e il mercato avrebbero risolto i problemi dell’umanità, mettendo in discussione ogni idea di pubblico. Una Bad Godesberg per mettere in discussione dogmi liberisti o iperliberali, che sono stati fatti propri, con un pensiero unico, per un lunghissimo periodo e che hanno posto un problema di carenza di autonomia della politica e, in particolare dei democratici. Credo che se il tema della critica al liberismo e della percezione di che cosa è la crisi è assolutamente determinante, ne va immediatamente tratta una conclusione. Nicola Cacace ci ricorda spesso nelle nostre discussioni come la crisi non sia una crisi mondiale, ma sia una crisi dell’Occidente, e nell’Occidente dell’Europa, e nell’Europa dei Paesi europei che hanno maggiori ingiustizie e maggiori differenze sociali. Se è vero questo, non vuol dire che non ci siano ingiustizie in Brasile o in Turchia, perché le manifestazioni in Brasile e in Turchia ci dicono invece che anche in Paesi dove i tassi di crescita sono enormi e il lavoro si sta creando, si creano però delle distanze sociali vissute assolutamente come inaccettabili, che quindi quegli stessi Paesi devono affrontare il tema della eguaglianza, delle garanzie e della redistribuzione. Allora di fronte a Papa Francesco che dice che il valore dell’eguaglianza, deve essere rimesso al centro e che ripropone l’essenzialità di un grande tema,quello sociale, non si tratta di immaginare un’operazione nostalgia. Non è che la vecchia sinistra comunista, la vecchia sinistra socialista, la vecchia sinistra cristiana debbono dire: “finalmente qualcuno ci dà ragione, possiamo tirare fuori le nostre vecchie bandiere impolverate, bellissime, gloriose dai nostri musei e riportarle a sventolare”. No! C’è qualcosa di molto nuovo da fare. Vorrei discutere con Rosi Bindi dell’ affermazione, che ha fatto varie volte, sul fatto che la socialdemocrazia ha fallito. In realtà la socialdemocrazia ha concluso un suo percorso entro lo Stato nazionale, ha vinto entro i confini nazionali, ha creato un sistema di garanzie. Quando è che ha perduto? Quando non ha trasferito quei suoi valori su scala europea e globale; e Dio solo sa quanto stiamo pagando, il fatto di avere una Maastricht a senso unico, e non invece sul terreno del lavoro, dei diritti, della cultura e su scala globale, su scala mondiale. Oggi il grande tema dei riformisti, dei progressisti, dei socialisti, di chi vuole cambiare le cose nel mondo è l’eguaglianza a livello planetario, è la redistribuzione fuori dai soli confini nazionali, sono gli strumenti che permettono di non lasciare agli spiriti primitivi mercantili, diciamo del libero-scambismo sfrenato, tutto. Walter Tocci citava poco fa questa battaglia francese che l’Italia ha appoggiato sull’eccezione culturale, che badate non è questione di poco conto: è una questione decisiva che riguarda il futuro della cultura. Allora io credo che da questo punto di vista, anche il tema capitale, posto qui da Guglielmo Epifani, sul fatto che i margini sono quelli, sono strettissimi e ti trovi davvero imprigionato dentro questi vincoli, ci deve portare a due conclusioni: una, a una riflessione critica e problematica sugli anni passati, su alcune scelte: per esempio, un’opinione personalissima, non voglio coinvolgere altri su questo punto, sono critico riguardo la precipitazione con cui l’Italia è corsa subito a mettere il pareggio di bilancio in Costituzione. E’ un tema su cui bisognava riflettere, almeno in prospettiva, il che non vuol dire cantare le lodi del debito: il problema virtuoso in Italia era e rimane un problema enorme. Tuttavia c’è un vincolo che ha una forza pazzesca, socialmente non sostenibile. Ne abbiamo parlato anche nel seminario preparatorio delle nostre associazioni, che ha portato a questa iniziativa, qualche giorno fa: si pone un grande tema di un ripensamento dell’Europa, non solo perché diventi Europa democratica e politica, ma perché i Paesi dell’Europa meridionale non siano semplicemente i sindacalisti di una marginalità, ma siano i Paesi che propongono una nuova centralità, un nuovo baricentro dello sviluppo euro-mediterraneo e mondiale chiaramente fondato sulle prospettive di quanto succede nelle turbolenze pazzesche di questi Paesi europei. Tra una settimana si saprà come finisce questo nuovo drammatico braccio di ferro tra l’opposizione e l’attuale Governo egiziano: è la più grande nazione araba e da lì dipenderà poi a cascata molto altro di quello che avviene in tutta quell area. L’Italia dovrebbe svolgere una funzione di leadership di questa idea euro-mediterranea, in un contesto europeo, in modo esplicito, rompendo gli indugi. L’altro grande tema su cui Cesare Damiano e tanti altri sono intervenuti con grandissima competenza e anche con elementi concreti molto significativi è per noi questa assoluta centralità della tematica del lavoro: della difesa del lavoro, della valorizzazione del lavoro, della creazione di nuovo lavoro, dell’idea che uno sviluppo sostenibile, i beni comuni, la cultura possano essere, in Italia, volani per creare nuova industria, nuovo sviluppo, nuovi posti di lavoro, in settori che fino adesso sono stati fortissimamente trascurati; e anche una grande idea che il manifatturiero possa incontrare queste esigenze di qualità, come sta già facendo l’agroalimentare.

Qualcuno citava, appunto, l’agricoltura: qui, e nella filiera del cibo ci sono alcuni segnali che malgrado la crisi in Italia si è riusciti a costruire qualcosa di importante nel corso di questi ultimi anni.

Attorno a questi valori, a queste idee, agli otto punti che sono stati proposti possiamo allargare questa discussione. Chiaramente sullo sfondo c’è il grande tema del Governo, c’è il grande tema del Governo. Lo ha detto Cesare : “Non siamo noi a dire, dura poco, dura così così, dura molto, dura un’intera legislatura”. Personalmente se si riuscissero a realizzare alcune importanti riforme per permettere poi di aprire una fase nuova, sarebbe meglio. Anzi: prima succede e meglio è, prima finisce questo stato di necessità e di emergenza; ma tutto questo va fatto fuori da quell’orizzonte iper-presidenzialista che ha dominato gli ultimi venti anni.

Non c’è alcun dubbio che se siamo a questo punto è anche perché il modello politico berlusconiano, in modo trasversale, è stato assunto dall’intero sistema politico. E se è del tutto vero che il PD vince nella diminuzione degli elettori anche perché è l’unico Partito non leaderistico, che non ha il nome del Segretario sulla scheda, tuttavia lo scarso elemento comunitario di questo Partito, lo scarso elemento di appartenenza, quella sensazione di fragilità di cui si è parlato in più riprese, nel corso della giornata di oggi, sono un elemento a mio modo di vedere capitale, decisivo, che noi ci dobbiamo proporre di affrontare.

Non abbiamo risposte compiute qui. Sarebbe bello, suggerisco, lo dico come suggestione, immaginare che in questa discussione nei circoli, nelle realtà di base del Partito democratico si potesse ragionare anche apertamente di un nuovo statuto, non per cambiare le regole del Segretario, ma io dico il Partito che verrà come si deve regolare, come deve funzionare, cosa deve essere. Guglielmo ha usato questa espressione del Partito leggero che in passato era stata usata in antinomia al Partito pesante; il partito leggero di questi anni mi è sembrato di una pesantezza insostenibile!

Per quello che mi riguarda io arrivo solo a un’idea calviniana di leggerezza: non a quella idea evanescente che ha dominato nel corso di questi ultimi anni. E quindi no a un Partito pesante: ma il grande tema è il carattere inclusivo e plurale, il carattere amico, il carattere aperto, il carattere caldo di questa comunità. Oggi se tu entri in un circolo, non voglio fare torto a qualche eccezione, la prima cosa che ti chiedono è a chi appartieni; qual è il tuo Consigliere comunale, provinciale, regionale, deputato, di che filiera sei, “a chi appartieni”? E’ difficilissimo che ti invitino anche al circolo a cui sei iscritto a parlare, se non fai parte di una protetta filiera; e badate da questo punto di vista le parlamentarie, che hanno avuto anche aspetti positivi, in una certa misura hanno creato un ulteriore elemento di cortocircuito sul punto delle modalità attraverso cui si esprime la rappresentanza. Hanno prevalso i potentati locali, chiudendo le porte a chi non aveva pacchetti di tessere. Allora soffermiamoci anche sul tema della natura sociale del Partito: di un Partito a rete, di un Partito aperto a realtà associative, di un Partito che non vuole essere la società, ma che non nega neppure i corpi intermedi i quali loro stessi hanno il problema della loro riforma e del loro ripensamento Qualcuno lanciava la provocazione delle quote blu, di presenza operaia, all’interno del Partito. E’ una provocazione, ma è un tema, che dovrebbe essere considerato, se cioè nei gruppi dirigenti del Partito tu devi avere delle garanzie che il mondo del lavoro operaio, delle professioni, di tutti i lavori, se il lavoto devessere organicamente rappresentato. Mi rendo conto delle controindicazioni di una scelta di questo tipo: ma mi rendo anche conto che se si crea poi una totale separazione allora il problema diventa assolutamente drammatico.

Ringrazio veramente tutti e tutte di aver partecipato a questo incontro. E’ già un fatto positivo che in modo aperto queste associazioni abbiano già avviato una pratica di lavoro comune. E’ un buon segno per il futuro anche per la piccola associazione di cui io sono un esponente, che tra l’altro ha fondato con noi anche Guglielmo Epifani: voglio dirlo ai nostri amici e compagni di viaggio, portiamo anche bene dal punto di vista scaramantico. In questo lavoro ci piacerebbe immaginare nelle prossime settimane alcune altre iniziative di questo tipo nel territorio una al Nord e una al Sud; e ci piacerebbe arrivarci con una traccia politica e programmatica un po’ più larga di quella di oggi, e forse poi con un vero e proprio manifesto di idee, e che riproponga il succo della discussione odirena, con gli spunti e gli elementi che qui sono venuti.

Grazie .Q succede e meglio su did

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