Enrico Letta, appassionato di Subbuteo (raccontano i giornali), con la sua calma serafica, di antica scuola democristiana, ha compiuto in questi giorni un doppio passo tanto inaspettato quanto spettacolare. Prima si è dichiarato favorevole al presidenzialismo (semi, intero, in salsa italiana: ancora non si capisce), plaudito dalla destra di governo e soprattutto dalla folta e trasversale lobby di Vedrò -la fondazione del premier- presente al Governo. Si è inteso per un attimo quale intendimento profondo abbia Letta, e quale riscrittura della dialettica nel Partito Democratico e nel sistema politico voglia proporre dalla poltrona di Palazzo Chigi.
Poi, e in un certo senso l’uscita è ancora più sorprendente, Letta ha annunciato per la prima volta l’idea che il suo è un Governo per cinque anni, per tutta la legislatura. Ma come? Non era emergenza? Eccezionalità? Convergenza temporanea ed obbligata per fare alcune riforme, fra avversari che presto sarebbero tornati a combattersi, esattamente come in queste ore si sta facendo senza esclusione di colpi fra Ignazio Marino e Gianni Alemanno? No. Avevamo capito male. Se non si faranno le riforme in questi diciotto mesi, Letta si dimetterà, ma se si faranno, il Governo durerà cinque anni. Un incubo.
Neppure ad un bambino si può raccontare la favola di un bipolarismo che ricomincerà dopo cinque anni di cloroformio centrista. Letta, legittimamente, occupa lo spazio a cui prima del voto sembrava guardare Matteo Renzi, e ha già aperto il cantiere della nuova grande rassicurante tranquilla Balena Bianca.
Il premier può muoversi con questa determinazione perché il PD appare totalmente bloccato dalle sue correnti e dalle sue faide, da vecchie contrapposizioni e da nuovi odii personali. Conoscendo Guglielmo Epifani, immaginavo che avesse accettato l’ingrato compito di guidare il PD garantendosi un po’ di libertà di movimento. Non so se per scelta, o per necessità, Epifani ha invece accettato lo status quo, lasciando intendere di volere al più presto passare la mano: l’equilibrisimo correntizio e microcorrentizio nella composizione della nuova segreteria e della commissione per il Congresso sono sconfortanti.
La sinistra, le culture di sinistra, o quello che rimane di esse sembrano chiamate, anziché ad uscire dal paradigma leaderistico dell’ultimo ventennio, a una scelta fra Letta e Renzi, in una tragica, per l’Italia, deriva presidenzialista.
Se c’è una sinistra, socialista, democratica, ecologista, solidaristica, partecipativa batta un colpo ora. Altrimenti la scissione silenziosa tra il popolo di sinistra e la sua rappresentanza si compirà con disincanto e con rassegnazione. Oppure con solitudine e con rabbia.
Gli operai, senza sinistra, vengono manganellati.

3 Risposte a “Gli operai, senza sinistra, vengono manganellati”
  1. luigi gatta scrive:

    Caro compagno Folena,
    non capisco questi timori della sinistra per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica,
    a maggior ragione dopo l’infelice esempio del PD con Marini e Prodi. Nessuno toccherebbe i
    rprincipi fondamentali di libertà della Costituzione, ma il Presidente può e dovrebbe, come
    accade nelle più grandi democrazie, essere eletto dalla maggioranza dei cittadini. non credi
    che forse solo così gli Italiani avrebbero eletto Rodotà? Purtroppo anche quando militavamo
    in una grande sinistra (PCI e solo PCI) gli operai venivano manganellati, dovresti ricordarlo!
    Un Presidente eletto dal popolo questo crimine contro i lavoratori non lo permetterebbe.
    io sono tranquillo e fiducioso: il Popolo italiano non eleggerebbe mai Berlusconi Presidente.
    Allontanati dal conservatorismo di sinistra. Abbi fiducia nell’intelligenza degli elettori.

  2. pino di martino scrive:

    Noi non siamo una grande democrazia e comunque non riporrei tanta fiducia negli elettori.Folena ha ragione.

  3. francesco properzi scrive:

    Qualsiasi persona che voglia seriamente e coscensiosamente prendere posizione sull’argomento non può non leggere quanto scritto in questi giorni dal prof. Zagrebelsky. Riporta un ritratto storico culturale limpidissimo sulle caretteristiche socio/politiche degli italiani e del perchè i padri fondatori scelsero la forma di repubblica parlamentare al posto di una presidenziale.
    Ora, ammesso che certe tendenze di base non cambino in pochi decenni, i motivi per scegliere il parlamentare al posto del presidenziale sono ancor più validi oggi che usciamo (?) da un ventennio di idolatria personale del CAPO come è stao il berlusconismo. Inutile ricordare che il presidenzialismo era (è?) il cavallo di battaglia della P2.

    Inoltre, si fà notare che fin quando non c’è stato un personaggio che, per scopi personali, invoca da sempre il presidenzialismo, i problemi maggiormente sentiti dagli italiani non erano certo il cambio della forma repubblicana (soprattutto dopo la riforme pacchiane di federalismo regionale che ha solamente generato dei piccoli imperatori che di fatto si pongono al di fuori di ogni controllo legale ed economico), ma per tutti il problema dei problemi è il LAVORO.
    Perchè ora che tutto è stato svenduto inutilmente per pagare i debiti e quindi rimane drammatico il “come ripartire” “da dove ripartire” invece di concentrare le migliori energie su questo tema si vende il concetto che “Prima bisogna cambiare la forma di stato e poi il lavoro”.

    Non siamo giunti al tracollo per poche riforme fatte, ma per riforme fatte solo per accontentare il Riformista di turno.

    In sostanza, come direbbe Bersani, non è che cambiando guidatore che riparte la macchina , bisogna ricomprare le ruote che ci hanno rubato.

    La riforma presidenziale è di fatto l’ennesima bugia che si vende algli italiani per nascondere il drammatica verità: siamo falliti e nessuno sà come venirne fuori.

    Il confronto con nazioni con due o trecento anni di democrazia compiuta , lasciamolo stare per favore.
    Per ciò che riguarda la fiducia nell’intelligenza degli elettori……… meglio andare a rileggere un pò della nostra storia, anche di pochi mesi fà.