Luca Leoni Orsenigo è un nome che non tutti ricordano. Era il deputato leghista che nei giorni di Tangentopoli sventolò il cappio per invocare la forca. A lui ho pensato quando ho visto il fantoccio di Massimo D’Alema spinto sotto le ruote del camper di Matteo Renzi. L’ideologia è la stessa. All’uomo del cappio, che non ha lasciato molte altre tracce del suo passaggio in Parlamento, quel gesto non l’aveva ordinato Umberto Bossi. Si trattava di un’espressione ruspante dell’ideologia del suo partito, sfuggita al controllo dell’Apprendista Stregone. Da Matteo Renzi in queste ore mi sarei aspettato una reazione ben diversa rispetto all’episodio di Empoli. Quell’episodio è il frutto avvelenato di una campagna rozza e indistinta che, anziché parlare di rinnovamento, invita all’odio e al linciaggio morale di alcuni esponenti politici. Renzi si dovrebbe fermare a riflettere, tra una cena organizzata dallo spregiudicato titolare del Fondo Algebris, Daniele Serra e uno show televisivo a Porta a Porta. Invece continua: è il turno di Rosi Bindi, e tizio o caio non possono fare i ministri.
Il Pd, e anche Pierluigi Bersani, hanno fatto alcuni errori nella gestione del rinnovamento. Si poteva fare prima e meglio, dando il senso di una lotta politica. Bill Clinton, non più eletto, indicato dal Sindaco di Firenze come modello, non ha certo rinunciato a svolgere una funzione politica, e nessuno si è sognato di chiederglielo.
D’Alema è stato schietto e chiaro, a Otto e Mezzo. Il tema è politico. Se una sinistra autonoma dai poteri forti possa governare il Paese. O se, invece, anche per colpa di una politica che si è chiusa e inaridita, dobbiamo affidare a banchieri, finanzieri, tecnici e poteri forti -che oggi usano il giocattolo Renzi finché serve-, il nostro destino di italiani.

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