

La mia voglia di vincere guarda Spagna, Svezia e altro ancora
Scritto da: Pietro Folena in EuropeiGlobali, Politica nazionaleda l’Unità di oggi 24 maggio 2005
di Pietro Folena
La risposta di Umberto Ranieri al mio articolo su Blair mi induce ad una replica. Prima di tutto ringrazio Umberto per la puntualità delle sue osservazioni. E ammetto che dimostrare le mie tesi è un compito piuttosto impervio, visto che Blair le elezioni le ha vinte. Ma nella metafora calcistica che apriva il mio articolo, l’unico punto su cui Ranieri “stira” a suo favore le mie argomentazioni, ho cercato di dire che in politica vittoria e sconfitta non possono essere giudicati con gli stessi parametri del calcio. In altre parole non possiamo fermarci al dato numerico, ma occorre analizzare le ragioni più profonde che lo hanno determinato. Massimo D’Alema, quando il centrosinistra vinse nel ‘96, mise tutti in guardia rispetto a facili entusiasmi affermando che avevamo vinto più per la divisione e la debolezza dell’avversario che per nostro merito. Era vero. Purtroppo, soprattutto nella seconda metà di quella legislatura, ci siamo scordati di essere conseguenti con quell’analisi.
Il Labour party ha vinto sì, ma a prezzo di un tracollo elettorale. Il sistema elettorale inglese è quello che è, ma non si può per questo nascondere che i voti anti-Blair sono maggioranza in Gran Bretagna.
Ranieri mi contesta il ragionamento sulla sconfitta personale di Blair e la contestuale vittoria del Labour. Non mi sembra così “spericolato” come afferma. È un ragionamento che si ritrova in tutti i giornali britannici. E i sondaggi confermano che se il candidato fosse stato Gordon Brown il Labour avrebbe stracciato gli avversari con un margine di 10 punti. Voglio dire, insomma, che i laburisti hanno vinto nonostante Blair e non grazie a lui. Nonostante il suo moderatismo e non grazie ad esso. Questa è una lezione anche per noi: domandiamoci, e rispondiamoci con sincerità, se le nostre recenti vittorie elettorali abbiano origine nelle nostre capacità o piuttosto nell’incapacità dell’avversario. Se Berlusconi avesse mantenuto qualche promessa delle tante che ha fatto, evitando di dare la fondata impressione di farsi i fatti suoi e non quelli del Paese, forse oggi Catania non sarebbe un pioppo in mezzo ad un bosco di querce.
Quanto all’influenza della guerra sul voto e alla mia affermazione che la guerra è “il distillato del blairismo” francamente mi stupisce che Ranieri non percepisca l’importanza dei “valori” nella scelta degli elettori. Un peso persino maggiore di quello che hanno le condizioni materiali delle persone. Se c’è una cosa che ho apprezzato nella mozione Morando del congresso di Pesaro, di cui Umberto Ranieri è stato promotore, è l’accento posto sugli aspetti ideali, immateriali, sulla percezione della qualità della vita, sulla cultura come elementi determinanti per la formazione del consenso e in generale dei processi politici e sociali nelle società moderne, in contrapposizione alla schematica lettura vetero-marxista basata sulle classi. Insomma, su “cosa si è”, piuttosto che sul “cosa si fa” per guadagnarsi da vivere. Perché Ranieri non si domanda, a sua volta, come mai, nonostante i risultati economici conseguiti da Blair, che Umberto enumera con puntiglio, il suo consenso è caduto così basso? Ecco perché la guerra, e le menzogne sulla guerra, sono “il distillato del blairismo”. Sono la caratteristica più lampante ed evidente che distingue Blair dal resto delle socialdemocrazie europee. Ha una rilevanza nell’immaginario collettivo molto maggiore di ciò che il governo ha fatto per l’occupazione e per le “condizioni materiali” dei cittadini inglesi.
Ancora: Ranieri parla del blairismo cercando di dimostrare la sua vocazione sociale. Il blairismo non è di destra o di centro, dice in sostanza. Non so. Io leggo quanto scrive lo stesso Blair, definendo il New Labour come “la sinistra del centro”. Io contesto persino questa definizione. Cosa c’è di sinistra nelle leggi antiterrorismo di Blair che intaccano l’habeas corpus? Cosa c’è di sinistra in una riforma del Welfare che ha ristretto l’applicazione del salario sociale e costretto ad un lavoro qualsiasi persone che aspiravano a realizzarsi con un lavoro commisurato alle proprie esperienze e capacità? Cosa c’è di sinistra nel restringere la protezione sociale degli invalidi? Certo, quasi piena occupazione. Anche nella Spagna di Aznar. Anche nell’Italia di Berlusconi la disoccupazione, dice l’Istat, scende. Ma a quale prezzo? Si può parlare di “lavoro”, si può parlare di “rispetto” come fa Blair quando abbiamo un sistema che costringe la gente a condizioni di sfruttamento inedite nell’Europa del dopoguerra? Dovremmo accettare la flessibilità selvaggia perché porta piena occupazione (ammesso che sia così)? È questa la socialdemocrazia? A leggere Ranieri sì.
Ma la domanda vera di Umberto è un’altra: esiste un’altra via, altrettanto vincente? A mio parere sì. Esiste in Spagna con una vocazione libertaria. Esiste in Svezia con una vocazione più sociale. Esiste in Francia, dove il Psf ha ripreso contatto con la società a partire dai movimenti new global ed è tornata a vincere rapidamente dopo la debacle delle presidenziali. Esiste in America latina. Esiste in Italia, dove l’ “estremista” Vendola vince, il “radicale” Claudio Fava vince e il “riformista” Enzo Bianco perde.
Sarebbe curioso importare, fuori tempo massimo, il modello Blair. E c’è da chiedersi perché, di fronte alla vittoria di Zapatero e a ciò che ha fatto il suo governo, coloro che, come Ranieri, si dicono tanto preoccupati di vincere e accusano la sinistra radicale di voler perdere, hanno contestato il modello spagnolo. Legittimo farlo, si intende, perché il merito delle politiche fa premio anche sulla vittoria elettorale. Ma almeno si ammetta che in questo momento la Terza Via è una via del tramonto e che ci sono altre strade che risultano ben più sicure.
Infine, Umberto mi conceda una battuta: io sono interista e quindi poco avvezzo alle vittorie, ma anche la gloriosissima squadra della sua città, Napoli, soffre da tempo immemorabile.
25 maggio 2005 alle 17:45
sono d’accordo compagno Folena, il Labour ha perso. Ma andiamoci piano con le conclusioni. La lista “Respect” in Gran Bretagna è andata malissimo, Wasg e Pds nell’Emilia Romagna tedesca non hanno superato, insieme, il 3 per cento. La sinistra radicale non convince gli elettori di sinistra.
25 maggio 2005 alle 18:41
posso condividere l’opinione secondo cui le attuali forme della sinistra radicale non convincono gli elettori. ma rimane il fatto che anche in Germania ad aver perso non è la WASG (ha preso un 2,2%: in Italia sarebbe un importante partito della coalizione) ma la SPD. Perciò lavoro per costruire un ponte tra riformisti e radicali, e perché una vera sinistra (senza aggettivi, diceva tom benetollo)possa nei prossimi anni prendere forma. forse oskar lafontaine a questo pensa. staremo a vedere…
28 maggio 2005 alle 16:40
ma come si fa onorevole folena a dire solamente che ha perso la SPD (cosa senz’altro vera) ed, invece, non sottolineare che non ha guadagnato la sinistra radicale che rischia così di diventare una riserva di illusi se non di illusionisti.
La verità che la gran parte del corpo elettorale non ne può più di utopie a buon mercato. Ben venga perciò la sua iniziativa di accorpare gli ultimi indiani per condizionare un pò più a sinistra un futuro governo di centro sinistra però, per favore, cercate di conoscere i vostri limiti e di non menare la gran cassa giusto per spaventare la gran parte degli elettori.
Altrimenti, il rischio è che la prossima operazione neo centrista (udc e margherita) con i Ds saranno costretti a farvi fuori (intendo far fuori la sinistra radicale), – ed allora sai quanti girotondi vi aspettano: comprate buone scarpe!