Da Lettera 43 di oggi

Per il Partito Democratico si impone una riflessione non sbrigativa sul voto del 6 e 7 maggio. La si può e la si deve aprire proprio in quanto dal parziale turno delle amministrative viene fuori un terremoto politico, nel quale dei partiti rimane in piedi, pur con qualche ammaccatura, la casa PD. E inoltre perché negli stessi giorni si è votato in diversi paesi europei, a partire dalla Francia. In tutta Europa la crisi elettorale delle forze liberiste e moderate è clamorosa, e si aprono due strade: quella dell’affermazione, alle estreme, di componenti antieuropee e talvolta antidemocratiche, e quella di un nuovo ciclo socialista e laburista, di cui François Hollande è l’alfiere.

La crisi drammatica del vecchio centro-destra, sia nella componente leghista, sia, in forma più accentuata, in quella PDL ( su 95 amministrazioni uscenti di centro-destra, in 45 il PDL è già completamente fuori e in 29 è al ballottaggio in seconda posizione), apre un vuoto il cui unico precedente è il 93-94, quando scomparve il pentapartito. Al momento in direzione dell’astensionismo, ma presto quest’area chiederà di essere rappresentata. Da questo punto di vista, i movimenti di Pierferdinando Casini -la constatazione che il terzo polo non ha funzionato- e quelli di Silvio Berlusconi che, liquidando Angelo Alfano, ipotizza una federazione dei moderati, sembrano andare nella direzione di un Partito Popolare Europeo in Italia. E trovo che in questa prospettiva ci sia qualcosa di salutare e di auspicabile. Come si apre uno spazio di destra radicale, che può essere occupato dagli ex-AN e in generale dagli eredi del vecchio MSI.

Va da sé che il Partito democratico, che paga qualche prezzo al sostegno al Governo Monti, agli scandali Penati e Lusi, e alle proprie incertezze gestionali -Palermo, Genova, dopo Napoli e Milano lo scorso anno-, ma che esce dalle elezioni largamente come primo partito, specularmente si deve evolvere nel senso di forza italiana del Partito del Socialismo Europeo. Forza originale, intendiamoci: democratica, non solo socialista, che riconosce il contributo decisivo delle culture cristiano sociali, repubblicane, progressiste e dei movimenti a una moderna visione di sinistra. Come non ripartire, non già dalla foto di Vasto in quanto tale -anche Nichi Vendola e Antonio Di Pietro non possono stappare le bottiglie di spumante-, ma da un’idea di unione, anche di natura federativa, con altre forze progressiste e movimenti della società civile? Penso non solo a SEL e a Italia dei Valori, ma al movimento promosso da Paul Ginsborg e da Stefano Rodotà, ai promotori dei referendum del 2011, e alla necessità di un dialogo col Movimento 5 stelle, il quale (al di là degli aspetti più folkloristici) raccoglie non solo protesta e sfiducia, ma anche un modo di fare politica più partecipativo e attento alla vita della gente.

Non vorrei invece che per pigrizia o per timore di disturbare il manovratore si possa pensare di accontentarsi di quello che passa il convento, immaginando che si vincerà comunque. Un anno è assai lungo. Tra i moderati e a destra ci saranno novità. Il PD deve sparigliare, se non vuole farsi logorare.

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