Dall’Unità del 30 aprile
Il bel voto francese per Hollande incoraggia tutte le forze che in Europa sono alternative alle destre liberiste, che con i tagli e la recessione hanno acutizzato la crisi.
In Francia la politica e i partiti non si sono tirati indietro di fronte alla crisi ma hanno aperto un salutare confronto democratico, mentre l’antipolitica ha rafforzato le destre.
In Italia, dopo circa sei mesi di governo tecnico, siamo invece sempre più impantanati, con politiche rigoriste e senza crescita, che dividono gli italiani, impoveriscono i lavoratori e i piccoli imprenditori e con un sistema politico fortemente discreditato. L’emergenza si è trasformata in pericolosa confusione caratterizzata dalla dannosa e non veritiera alleanza ABC, che mescola i responsabili della crisi e con chi si è battuto contro e ne vuole uscire con il cambiamento democratico. È il morto che afferra il vivo.
Per stare con credibilità nella fase politica è necessario rimarcare la nostra diversità anche con una risposta eccezionale del Partito Democratico di fronte all’emergere in forme drammatiche di una nuova questione morale. Siamo di fronte a una nuova crisi di regime, più grave di quella del biennio 92-94. Si saldano in un miscuglio potenzialmente esplosivo crisi sociale e crisi politica, con rischi seri per la democrazia.
Ogni tentativo da parte della sinistra di cavalcare l’antipolitica e il populismo sarebbe suicida. Ma sarebbe suicida anche il pensare di difendere i partiti così come si sono venuti configurando nella Seconda Repubblica.
Ha ragione da vendere chi ha detto che l’antipolitica è la forma che prende il potere finanziario – messo alle corde, di fronte alle proprie responsabilità, dalla gravissima crisi che ha provocato nel mondo – per imporre un’uscita a destra dalla crisi. Il compromesso democratico del ‘900 – che ha permesso la realizzazione di grandi conquiste sociali e civili – non serve più agli spiriti animali del liberismo. A loro serve ora un potere monocratico, discrezionale, sottoposto alle proprie esigenze.
E tuttavia il punto di forza dell’offensiva antipolitica sta nella natura che la politica ha preso nell’ultimo ventennio. Il pendant del liberismo e delle sue politiche è stato il leaderismo, con un processo di svuotamento dei partiti come luoghi di mediazione e di rappresentanza, trasformati in comitati elettorali, sempre più permeabili agli affari, al dominio finanziario, agli interessi personali. Se si vuole dare una risposta credibile all’antipolitica, i partiti devono liberarsi dal leaderismo e dalle sue conseguenze. Riflessioni provenienti da ambienti diversi, da quelle di Stefano Rodotà a quelle di Gustavo Zagrebelski, vanno in questa direzione.
Il vantaggio del nostro partito, il PD, è proprio quello di non essere identificabile con un capo, o con un solo capo, e di fare del proprio aggettivo “democratico” un’identità forte. E l’iniziativa parlamentare di questi giorni, volta a applicare l’art.49 della Costituzione, a vincolare i partiti a procedure democratiche e il finanziamento – ridotto rispetto a quello attuale – al pieno e certificato rispetto di tali procedure, va giustamente in questa direzione.
Tuttavia il barocchismo delle primarie allargate a tutti quelli che vogliono votare, e non agli aderenti al PD, anche per eleggere le cariche territoriali di partito, ha finito con lo svuotare l’organismo collettivo di un significato di ricerca della mediazione tra interessi sociali, posizioni culturali e etiche, punti di vista differenti. Il PD appare come la confederazione di diversi capi, bloccata nei suoi equilibri perché obbligata a rispettare quelli che si formarono al momento della nascita del Partito.
E’ lo statuto del PD che va rimesso in discussione. Cosa vuol dire essere “democratici”, e fare della partecipazione un modo di essere alimentato attivamente ogni giorno? Vuol dire essere un partito plurale – che dà garanzie effettive di pluralità (di genere, di generazione, di culture, di storie, di interessi) -, e che organizza in una libera competizione interna il confronto plurale. E vuol dire costruire su questa base un nuovo organismo collettivo, dal cui confronto – coadiuvato da consultazioni democratiche con i circoli, anche usando le tecnologie digitali – escano posizioni chiare, fatte proprie dal partito. Che sui temi del lavoro e dell’economia esistano, come si è visto, più anime – una più sociale, l’altra più liberale – non può voler dire che si paralizza il partito, o si mette il bavaglio a chi è in minoranza: ma che si organizza una dialettica fondata sul confronto e sull’ascolto, che permette poi di decidere e di dare battaglia.
Sulla riforma e la costruzione del partito si è stentato molto , anche negli ultimi anni. Ora, prima delle elezioni, occorre mettere mano con urgenza a questo tema. Il PD deve diventare la forza che fa della lotta senza quartiere alla corruzione e al malaffare il proprio modo di essere, con una vigorosa iniziativa di autofinanziamento, con la rinuncia alla metà degli attuali rimborsi elettorali, con nuove regole che pretendano dai propri eletti e dai propri dirigenti comportamenti esemplari e sobri.
Il Laboratorio Politico che abbiamo promosso in questi mesi, e che si è già costituito in molte regioni, è uno strumento di partecipazione per rimboccarsi le maniche e cambiare le cose: non è una corrente ma una sorta di movimento per aiutare il PD e la sinistra a dotarsi di strumenti solidi ed efficaci.
Ci sembra indispensabile ascoltare in una sede solenne i nostri iscritti, in un congresso tematico, sulla nuova questione morale o almeno una Conferenza di organizzazione che abbiano il mandato di modificare lo statuto e di definire un modo di essere del PD profondamente rigenerato, rappresentativo delle forze sociali, aperto ai movimenti e ai giovani.
Pietro Folena Sergio Gentili Carlo Ghezzi
del Laboratorio politico PD
2 maggio 2012 alle 11:37
Per essere credibile il PD deve prendere iniziative dirompenti subito, non solo annunciarle. Es. finanziamento ai partiti…