

Eurodemocrazia e socialismo europeo
Scritto da: Pietro Folena in EuropeiGlobali, Politica nazionaleDall’Unità di oggi
Il cuore della transizione che si è aperta con la caduta di Silvio Berlusconi e la formazione del Governo Monti riguarda il destino dell’Europa, come grande progetto comune che, con fatica, ha attraversato il Vecchio Continente dalla fine del nazifascismo ad oggi. La profezia di Altiero Spinelli -che sognava da Ventotene al Parlamento Europeo gli Stati Uniti d’Europa- rischia di essere realizzata, come il negativo di una pellicola, al suo contrario. L’assenza di una struttura democratica e legittimata del Governo Europeo ci sta conducendo a una Germania Europea, dominatrice, attraverso il suo potere finanziario, dell’intero Continente.
Il Partito Democratico e la sinistra italiana, in questo momento, non avevano alternative. Ad una situazione oggettiva, si sono aggiunti gli errori di prospettiva commessi negli anni 90 e nel decennio successivo, quando è stata negata l’autonomia politica e culturale di un campo di forze socialdemocratico e riformista in Italia. Ma ora è da qui che occorre ripartire, guardando in faccia la realtà. Da 530 giorni il Regno del Belgio, fondatore dell’Europa, è senza Governo, polverizzando ogni altro primato nell’era contemporanea. Il direttorio franco-tedesco ha imposto tempi e contenuti di una politica di rientro dal debito alla Grecia, fino a determinare un nuovo Governo di unità nazionale. In Spagna la crisi ha travolto i socialisti, e Mariano Rajoy avrà una maggioranza per realizzare gli indirizzi imposti dall’Europa. In Francia, proprio alla vigilia di una possibile vittoria delle sinistre, si odono rumori di un forte attacco speculativo. E se la sinistra italiana avesse negato la fiducia a Mario Monti per andare alle elezioni, si sarebbe votato con uno spread totalmente fuori controllo, e col concreto rischio di un default nazionale.
Non serve essere dietrologi o complottisti. Succede semplicemente che i poteri che nel trentennio liberista sono diventati così giganteschi, e che hanno originato la crisi attuale del capitalismo, manovrano per imporre il proprio punto di vista, anche se si tratta di calpestare le democrazie. Le notizie di un piano riservato tedesco per commissariare i paesi in crisi riducendo al minimo la loro autonomia decisionale non possono essere lette in modo superficiale.
Anche nelle culture progressiste ha fatto strada quest’idea. Leggo un editoriale di Michele Salvati sul Corriere della Sera in cui, paragonando Mario Monti al dictator Cincinnato, lamenta tuttavia che egli sia ancora costretto a fare i conti col Parlamento. E Stefano Fassina, responsabile economico del PD, è sotto attacco per aver manifestato alcune di queste preoccupazioni.
Perché siamo giunti fino a qui? Il primo tempo della partita è stata perduto quando la sinistra europea, con e dopo la moneta unica, non ha saputo proporre e prospettare una democrazia europea. La democrazia di una Confederazione in cui si parlano lingue differenti e ci sono tradizioni diverse, ma che deve avere un potere legislativo effettivo, un Governo unico legittimato democraticamente e delle grandi forze che, dal Baltico al Mediterraneo, sono accomunate da visioni e interessi comuni. L’euro senza l’eurodemocrazia ci ha condotto fin qui. E oggi si fotografa l’inaccettabile asimmetria tra il potere del denaro e quello del lavoro, come su queste pagine ha scritto Gianni Cuperlo.
Il tempo è poco. Il rischio è che i popoli dell’Europa, a partire da quelli a cui sono imposti oggi sacrifici, vedano con odio una prospettiva comune. Questo rischio è già una realtà: prende i nomi di razzismo, egoismo sociale, chiusura localistica e corporativa. E, proprio perché abbiamo un anno e mezzo di tempo prima del 2013, e poco più di due anni alle prossime elezioni europee, questo è il momento -come hanno suggerito il 5 novembre Pierluigi Bersani, François Hollande e Sigmar Gabriel- per una potente azione comune dei socialisti, dei democratici, dei progressisti europei. Quest’azione deve avere, a mio avviso, due obiettivi. Il primo è quello, nella larga maggioranza che sostiene Monti, di rendere chiaro il punto di vista socialista, democratico, progressista. Quello dei conservatori e dei moderati -che si riconoscono nel PPE e, in parte, nel Partito Europeo dei Liberali, è fin troppo chiaro e manifesto. Il secondo obiettivo è quello di mettere nell’agenda comune della politica italiana, come di quella dei principali paesi europei, l’obiettivo di un “secondo tempo” dell’Unione: l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. Accompagnare al rinnovo del Parlamento Europeo un referendum per chiedere nuovi poteri al Parlamento, a partire dall’elezione del Presidente Europeo -unificando le figure del Presidente della Commissione e del Presidente del Consiglio Europeo- e della Commissione da parte del Parlamento, a cui affidare i poteri attuali della Commissione e una parte di quelli del Consiglio; per trasformare il Consiglio in una sorta di Senato federale europeo; per far diventare i partiti europei veri e propri partiti politici, a cui si possa aderire direttamente e non solo tramite i loro referenti nazionali.
La vera impresa, per noi, è costruire e allargare il Partito del Socialismo Europeo come soggetto costituente della nuova Europa, dopo il fallimento di quella dominata dai poteri finanziari. Farlo nascere nella coscienza popolare come lo strumento che costringa ad un nuovo compromesso quei poteri. Proporsi di unire “quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”, come recitava il Manifesto di Ventotene.
Ho l’impressione, al di là delle ingegnerie istituzionali, che non ci siano molte alternative. A meno che non siano da considerarsi tali la rinuncia a un’istanza di cambiamento dalla parte del lavoro, o la chiusura della sinistra in uno spazio locale di resistenza.