

Come si vince (e come si perde) nel Mezzogiorno
Scritto da: Pietro Folena in Diario, Politica nazionale, tags: LocaleLa sconfitta di Catania non va minimizzata. Non tanto perché rilanci Berlusconi, ma perché racconta di una sinistra sradicata e lontana dal popolo, e dell’errore che si fa quando si pensa di vincere correndo e concorrendo al centro. Quando Enzo Bianco, all’indomani dell’insuccesso, già lancia il senatore Latteri, eletto in Forza Italia e passato l’anno scorso alla Margherita, come prossimo canndidato dell’Ulivo alla Presidenza della Regione Siciliana, c’è di che preoccuparsi seriamente. Torneremo sul caso catanese. Ma qualche risposta al Mezzzogiorno che perde si può trovare nel Mezzogiorno che vince. Il contributo che segue sta per uscire sul prossimo numero della rivista Alternative.
La Puglia e l’Italia
Il “caso pugliese” non può essere archiviato rapidamente come una fortunata circostanza. Né semplicemente come il periodico proporsi, nel Mezzogiorno, di improvvise ventate di innovazione che spazzano, come una tramontana forte, le vecchie incrostazioni di potere (penso alla “primavera siciliana”, al primo Bassolino, a Falcomatà).
Il caso pugliese, e l’imprevista – non per me, non per chi vedeva la Puglia da sotto – vittoria di Vendola raccontano a un tempo di una ribellione sociale e di una rivoluzione politica. È tutto il castello teorico-politico del riformismo nostrano – inteso come corsa al centro, ricerca di legittimazione dai poteri forti, subalternità al modello culturale del berlusconismo, convincimento dell’inservibilità degli arnesi interpretativi della sinistra – a subire un colpo durissimo. La tesi riformista era in definitiva questa: per vincere in Puglia (e, quindi, in Italia) occorre un simil-Fitto e un aggregato di comando capace di garantire degli equilibri e dei poteri forti. Col maggioritario, del resto, come spiega da tempo il politologo Giovanni Sartori, le ali, e cioè l’intendenza, seguiranno.
Invece, vince un comunista eterodosso, gay e cattolico, sconvolgendo ogni pronostico. Fitto, preparatosi a oscurare un candidato pensato per fare concorrenza a lui, si è trovato all’improvviso spiazzato. È andato alla conquista del fortino del centro, senza accorgersi che alle spalle Vendola strappava uno a uno i voti popolari della destra. Il voto disgiunto ha funzionato, contro ogni previsione politologica, a vantaggio di Vendola. E così anche i teorici della conquista del centro, scoprono che la sinistra nel maggioritario – ma era valso il contrario proprio in Puglia dieci anni fa, come avevano dimostrato Tatarella, Poli Bortone, Agostinacchio – può vincere non passando dalla porta del centro, ma risalendo dal basso, dalle periferie, dagli ultimi, dai grandi agglomerati popolari, da chi ha di meno.
“Dobbiamo fare in Italia come in Puglia”, ha scritto recentemente Bertinotti. Sono d’accordo. Vorrei provare allora a dire qualcosa sugli ingredienti di quella vittoria.
L’antefatto
L’antefatto è lo sconfortante panorama di litigiosità seguito alla squillante vittoria del 2004 a Bari di Emiliano e in altre realtà pugliesi. Vale la pena ricordare lo scetticismo e la contrarietà con cui già la candidatura di Emiliano era stata inizialmente accolta da molti settori del centrosinistra. L’errore iniziale era stato poi corretto, e la vittoria barese in una città fortemente di centrodestra aveva avuto tratti non dissimili da quelli intravisti negli anni precedenti in altre città meridionali (Napoli, Palermo, Catania, Reggio, e altre). In un quadro di debolezza delle forze politiche tradizionali, un movimento politico civico legato alla figura prestigiosa di un importante magistrato aveva fatto la differenza.
Ma dopo la vittoria del 2004 il centrosinistra, da una parte i Ds, dall’altra Emiliano, Rifondazione, settori della Margherita, avevano aperto un braccio di ferro fra di loro paralizzante. I primi chiedevano genericamente un nome diessino, salvo poi nei mesi autunnali mettere in mezzo, nel tritacarne, il neo-Presidente della Provincia Di Vella. I secondi indicavano alla Regione un giovane assessore di area Margherita nella giunta Emiliano, Francesco Boccia, considerato inadeguato dai Ds locali. Da luglio a novembre la politica regionale è stata paralizzata da questo scontro, che ha aperto tensioni durissime anche nel Consiglio provinciale di Bari, appena eletto, in rivolta rispetto all’ipotesi istituzionalmente azzardatissima di candidare Di Vella alla Regione.
È in questo scontro che è stata avanzata la candidatura di Vendola – vero ispiratore originario della scelta di Emiliano – e Boccia ha fatto un passo indietro. Solo in seguito al voltafaccia dei Ds, diventati all’improvviso ferventi sostenitori dell’assessore comunale, e alle pressioni esercitate da loro e da Emiliano, è stata riproposta la candidatura di Boccia. Nella contrapposizione Boccia-Vendola l’idea di un’assemblea larga di partiti e esponenti della società civile che, sul modello di quanto successo poco prima in Calabria, sciogliesse il nodo della candidatura è sembrata per qualche settimana possibile.
Le primarie
L’autentica mossa del cavallo che ha riaperto la partita pugliese (nel frattempo Fitto si andava rafforzando e nel disastro della litigiosità del centrosinistra sembrava ipotecare la vittoria finale) è stata la rinuncia, al tavolo nazionale del centrosinistra, da parte di Rifondazione a un’indicazione nazionale sulla candidatura, e la decisione di organizzare primarie vere, libere, democratiche. In qualche settimana, tra Natale, Capodanno e l’Epifania, le primarie che i partiti maggiori di centrosinistra avrebbero voluto sterilizzare in pochi centri e in poche sedi di partito, malgrado l’evidente sproporzione delle forze e delle risorse in campo, hanno visto esplodere il fenomeno Vendola. Ho organizzato in poco più di ventiquattro ore, di sera tardi, a Manfredonia, uno degli eventi di quella campagna. E anche in quell’occasione, malgrado il dispiegamento di tutte le forze diessine contro Vendola, è stato chiaro che il rivolgimento in atto non era frenabile. Vendola nasce come prodotto della partecipazione, e al tempo stesso come simbolo della possibilità di affermazione e di realizzazione di chi dà voce e rappresenta gli ultimi, i diseredati, i disoccupati, la questione sociale, quella ambientale, quella morale.
La primavera pugliese
È la notte della vittoria alle primarie che la partita pugliese comincia a essere rovesciata. Tutto il resto è cosa recente e nota. Dall’impegno di una parte della Chiesa e dei cattolici fino ai treni degli studenti pugliesi al Nord, dal lavoro del sindacato all’affermazione del protagonismo di territori umiliati dal centralismo regionale di Fitto. Malgrado questo, ciò che più stupisce è l’incapacità di gran parte della leadership di centrosinistra di comprendere e interpretare il fenomeno che stava avvenendo. In pochi confidavano nella vittoria nelle lunghe ore di quel lunedì in cui i risultati apparivano incerti. Chi confidava era lì, al comitato elettorale di Vendola. Non aspettava notizie sicure. Così si è rovesciata ogni previsione ufficiale e ogni modello precostituito.
La vittoria pugliese, certo, si inserisce in una crisi più profonda del centrodestra nel Mezzogiorno. Vedremo, se ci sarà un segnale di un possibile storico cambiamento il prossimo anno con le elezioni regionali in Sicilia. Ma non si può non scorgere quanto la Puglia – non sono io a dirlo, lo hanno scritto e detto intellettuali di aree diverse – sia un Mezzogiorno speciale. Una terra ricca e produttiva, che tra gli anni ‘80 e ‘90 aveva conosciuto, anche grazie alla lira debole, uno sviluppo di piccola e media impresa di tipo adriatico, in alcuni distretti simile a quello marchigiano o veneto. Nella Puglia si erano affermati nuovi ceti professionisti, specie giovani, e la sinistra era stata spiantata in realtà storiche del proprio insediamento.
La vulgata diceva che moriva il vecchio partito dei braccianti e che occorreva diventare urgentemente moderni. In altre parole, con l’abbandono del Pci, e perché no, anche con la deflagrazione del Psi di Formica e di Signorile, la sinistra doveva attraversare il deserto delle vecchie campagne per insediarsi nei nuovi ceti produttivi, professionisti, urbani. Su questa linea, fino al 2002, in Puglia la sinistra ha proceduto, sempre con lo stesso ceto politico, di sconfitta in sconfitta. Da un lato Forza Italia – vero e proprio fenomeno meridionale – interpretava il target politico-elettorale scelto come ipotesi strategica dalla sinistra. Dall’altro Alleanza Nazionale diventava partito popolare, con un passaggio anche diretto di voti dal Pci-Pds. Nelle elezioni politiche del 2001 il centrosinistra mantiene un pugno di collegi davanti a un’onda berlusconiana quasi inarrestabile.
Il fenomeno Vendola irrompe in questo vuoto politico, culturale, organizzato. Ho già detto come e quanto la candidatura di Emiliano, nell’inverno 2003-2004, sia stata pensata e voluta principalmente da Vendola. Ma questo fenomeno ha la sua origine nel fatto che negli anni precedenti Vendola è stato, con pochi altri, protagonista di battaglie controcorrente: dalla parte degli ultimi, per la legalità, per l’ambiente, per l’autogoverno dei territori. Finché le leadership si alternavano tra litigi di Palazzo e modeste prestazioni televisive, Vendola era invece nei territori, nelle periferie, denunciava nelle piazze politici malfattori, difendeva ospedali e presidi sanitari dalla chiusura. Interpretava, nell’epoca mediatica, l’idea di una politica al servizio; moderno capopolo che richiama alla memoria i sindacalisti, i capi-Lega, gli agitatori politici e sociali della sinistra di una volta. Sono questa coerenza, questa presenza, questa costanza che hanno dato a Vendola una visibilità altissima con il suo essere anti-mediatico, antisalottiero, fuori dai giochi di partito. Il punto più alto di questa visibilità sono state le lotte di Scanzano e di Melfi. La prima, sul terreno ambientale, la seconda, su quello sociale, hanno raccontato di un Mezzogiorno non solo in rotta con la fabbrica di illusioni di Berlusconi, ma con un’idea di politica trasformistica, tatticistica, talvolta clientelare assai diffusa in tutto il sistema politico meridionale.
Come Mitterand in Francia aprì un ciclo politico usando il sistema istituzionale che il gollismo aveva pensato per riprodursi in eterno, Vendola in Puglia fa diventare televisione, immagine, politica l’altra faccia della realtà, quella nascosta dal potere. In questo senso parlo di una ribellione sociale e di una rivoluzione politica. Se la primavera siciliana, quindici anni prima, e poi la stagione dei sindaci nel Mezzogiorno erano nati come rivolta etica trasformatasi poi in politica, la primavera pugliese è prima di tutto rappresentazione rovesciata della realtà. È una cartina girata sottosopra, in cui i Sud sono Nord, le periferie sono centro, i poveri sono importanti, i giovani precari sono protagonisti, gli studenti universitari tornano coi treni carichi del loro sapere, i malati nelle corsie in dismissione parlano (e tacciono invece i proprietari delle grandi cliniche).
Il blocco sociale non è costruito con complicate alleanze né con continue trasfigurazioni, sempre più pallide, della sinistra. Ma dopo le grandi lotte per i diritti sociali promosse dalla Cgil, e dopo l’altro mondo possibile proposto da Porto Alegre, Vendola con la sua vita, con sua madre, con le sue lotte, con la sua storia, racconta di questa Puglia rovesciata. Fa votare i deboli e gli ultimi. Richiama alla solidarietà i più forti o i più fortunati. In un certo senso vince senza un programma. Ma con un progetto, un’idea, una fortissima convinzione.
Questa ribellione sociale – proposta non in forma estremistica, temperata dalle necessarie attenzioni e alleanze, e pur tuttavia prevalente – è stata prima di tutto ribellione giovanile, e ha vinto perché ha preso le forme non dei partiti tradizionali ma della democrazia partecipativa. È stata nonviolenta e democratica, nel senso di proporre un’idea umile del potere: non il potere per il potere, ma il potere per cambiare la società, e il potere stesso.
È questa la scommessa aperta: Vendola cambierà il potere o il potere cambierà Vendola? Chi di noi lo conosce pensa che la seconda cosa non è possibile. Ma chi di noi conosce il potere, le istituzioni, la politica strutturata sa che è ben difficile sottrarsi a tante sue regole. Voglio dire che è una sfida difficile, che si può vincere solo se la Puglia rimarrà rovesciata, e solo se la democrazia partecipativa sarà il parametro di ogni scelta.
Fare in Italia come in Puglia
Credo che una parte di questa sfida si giocherà fuori dalle stanze del Palazzo della Regione. Credo che una giovane generazione – penso a Nicola Fratoianni (Segretario pugliese di Rifondazione, N.d.R.) vero protagonista di questa vittoria – abbia il compito di organizzare soggettività politiche, democratiche, partecipative di tipo nuovo, accanto e oltre l’attuale conformazione dei partiti. Nelle periferie, infatti, in condizioni sociali di disagio, si ripiomba in un attimo in una condizione di dipendenza, di disperazione o di afasia. È lì che va pensata la politica, la democrazia, la cultura.
Fare in Italia come in Puglia vuol dire, in definitiva, proprio questo. Provare a rovesciare la carta geografica del Paese, e anche le nostre carte segnaletiche sociali, culturali, interiori. Non si faranno le primarie sul leader. Il contesto è diverso, e non si è aperta una contesa su chi possa guidare la coalizione. Ma se l’Unione non decide di aprire nei mesi che rimangono prima delle prossime elezioni una fase di coinvolgimento dal basso, di partecipazione, di democrazia vera, se non si crea un vincolo al di là dell’alleanza tra i partiti dell’alleanza, il rischio è di giungere all’esperienza di governo, dovendo risanare i drammatici guasti della destra, con una costruzione fragile. È per questo che sulle principali scelte programmatiche occorre pensare a un vero processo decisionale democratico, con votazioni aperte e libere attorno a ipotesi alternative.
Il tema riguarda prima di tutto la sinistra. Ho deciso di impegnarmi in forme nuove, accanto e vicino al Prc, proprio per provare a dar vita a modalità politiche e partecipative nuove, che mettano in rete esperienze, movimenti, lotte sociali, territori. Il tempo necessario per quest’impresa è lungo. Cominciare fin da ora vuol dire avere la consapevolezza che il governo è uno strumento, non un fine, e che il governo non può essere la vera forma-partito, com’è stato nell’ultimo decennio. Nel cuore del progetto dell’Unione ci deve essere l’idea di dare pieno accesso alla democrazia a tutti coloro che ne sono esclusi, di cambiare e allargarne procedure e forme, e in qualche modo – soprattutto per chi ha fatto della rifondazione una propria identità – pensare che la rifondazione della sinistra (necessaria e urgente) passa attraverso la rifondazione della politica.
Pietro Folena
da Alternative – giugno 2005
18 maggio 2005 alle 12:20
leggo dagospia e scopro che esiste questo blog, sono messinese e sono assolutamente convinto di quanto la sinistra sia lontana, lontanissima dai siciliani. Un popolo con aspettative “diverse” che credo tu conosca benissimo.
Un cavallo di ritorno come Bianco non ha convinto, nonostante la campagna strepitosa ed i testimonial di alto rango. Non basta questo ai siciliani. Spero che gli uomini e i tempi siano maturi cosi come in Puglia. Staremo a vedere.
Ti leggero con costanza e spero interesse.
18 maggio 2005 alle 12:27
E’ vero che non è un dato da trascurare la sconfitta di catania, ma non dobbiamo dimenticare che la sicilia è sempre stata una roccaforte del centrodestra! la cosa che non riesco a capire è perchè tutte le 6 reti di berlusconi diano così tanta importanza a questa vittoria e magari poca importanza alla conquista di Enna da parte del centrosinistra?!?! Sono d’accordo del fatto che non è un comportamento da sinistra quello di avere un certo distacco dal popolo, ma d’altra parte è quello che sta succedendo in tutta italia, e se non erro è proprio questo uno dei motivi per i quali lei ha lasciato i DS per approdare nel PRC, in pratica la sdradicalizzazione della sinistra!
Meditiamo meditiamo!
18 maggio 2005 alle 13:43
Un’analisi per certi aspetti condivisibile. Stiamo però attenti a non confondere le cose. Qui non si tratta di una corsa al centro. D’altronde tu stesso ricordi che fu proprio Vendola il vero ispiratore della candidatura di Boccia alla presidenza della regione. Poi le cose, per fortuna, sono andate come sappiamo. A proposito di quella fase non capisco perchè deve sempre e per forza esserci quella verve polemica nei confronti dei DS, non credo che con questo spirito il tuo voler gettare un ponte fra le diverse anime della sinistra avrà successo. Il punto è che vi è una larga parte, anzi la maggiorparte di elettori di centrosinistra che chiede una sintesi fra le diverse, troppe, forze politiche. Io aggiungo anche la necessità di un nuovo soggetto politico in grado di guidare politicamente la coalizione. Nessuno vuole snaturare la sinistra, anzi. L’identità della sinistra è il cambiamento, ed io ricordo il tema di un nostro congresso: cambiare noi stessi per cambiare l’Italia. E’ un processo lungo ed è un progetto ambizioso. Ci vuole molto tempo, molto coraggio e molta pazienza. Sono però sicuro che quella indicata da D’Alema e Fassino è la strada giusta.
18 maggio 2005 alle 14:48
Dietro il “nuovo” soggetto politico vedo logiche e personaggi che di nuovo non hanno niente e che quindi non possono essere la guida della coalizione.
19 maggio 2005 alle 11:35
caro aldo, dovremmo forse dimenticarci i nomi dei nostri gruppi dirigenti e iniziare a discutere un po’ delle idee che li animano. da quando sono iscritto ai ds non si fa altro che litigare al proprio interno per decidere per chi fare il tifo. no, mi dispiace ma questo triste e inutile modo di partecipare democraticamente al processo di formazione politica davvero non mi interessa per niente. accolgo comunque a braccia aperta le tue riflessioni, purchè tu no ritenga polemica semplicemente aprire una discussione su un tema, quello della sinistra, che non è appannaggio di questo o quel partito , ma che appartiene a chi vede certi universi di vita. un caro saluto
19 maggio 2005 alle 16:52
antonio sono assolutamente d’accordo. un caro saluto anche a te
16 agosto 2005 alle 7:24
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19 maggio 2006 alle 14:49
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