Da Lettera43 di oggi
Il Partito Democratico, nella sua giovane vita, si trova di fronte alla prova più difficile. La caduta di Silvio Berlusconi, oramai certa -né sono a questo punto immaginabili sorprese in altra direzione-, fa venire meno il collante che ha tenuto insieme il Partito e i rapporti con le altre opposizioni. Se la fine di questo Governo, avvenuta in modo tortuoso e tumultuoso, segna un punto a favore dell’iniziativa del Pd e delle opposizioni, ora cominciano i problemi seri.
Mario Monti formerà un Governo, sotto tutela delle istituzioni europee e sotto la spada della speculazione dei mercati, di cui non si conosce, al momento, né la base parlamentare né la forza politico-programmatica. Se va dato atto al Pd di non aver esitato, così come hanno fatto Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, a dare la propria disponibilità in modo assai generoso, due punti andranno chiariti nelle prossime ore. Il primo riguarda la posizione di Antonio Di Pietro, che nella sua apparizione televisiva nel salotto di Bruno Vespa, è stato addirittura sprezzante verso il principale alleato. Un no di Di Pietro trascinerebbe con sé, con tutta probabilità -malgrado le caute aperture manifestate nelle ore trascorse- anche Nichi Vendola, il quale privo di una forza parlamentare, difficilmente potrebbe dall’esterno sostenere il tentativo di Monti. E il fossato che si scaverebbe tra le forze del patto di Vasto -Pd, Sel e Idv- sarebbe difficilmente ricomponibile in una futura alleanza elettorale. Per il Partito Democratico questo sarebbe un serio problema, e le componenti che più guardano al socialismo europeo e al sindacato si troverebbero in una posizione del tutto minoritaria rispetto alle componenti moderate della futura maggioranza.
Ma anche per ciò che riguarda la forza politico-programmatica del futuro Governo, si tratterà di vedere se la componente di centro-destra che lo sosterrà -il Popolo della Libertà in modo ufficiale, o una sua cospicua componente- consentirà a Mario Monti di fare quelle scelte (dalla patrimoniale al ripristino dell’Ici, dalla lotta alla precarietà a quella all’evasione fiscale) che sole possono dare respiro, accanto al taglio dei costi della politica, all’azione del Governo.
E, in questo contesto, la natura ambigua del Pd -per metà moderato e popolare e per metà socialista e progressista- è destinata ad essere messa in discussione. Lo scontro, in Italia e in Europa, nei prossimi mesi ed anni, sarà su quale politica sociale, quale ruolo del lavoro, quale costruzione e legittimazione democratica di un’Unione monetaria senza un vero governo politico condiviso. Sarà tra socialisti da una parte, popolari e moderati dall’altra.
Ecco perché è facile prevedere che se Monti non avrà una forza sufficiente, il suo Governo durerà qualche mese, farà la riforma elettorale e ci porterà a votare in primavera avanzata. Se invece il bocconiano di ferro avrà i numeri e il sostegno, nel prossimo anno attorno al terzo polo si riaggregheranno i moderati e attorno al Partito Democratico, se saprà aprirsi, i progressisti.
Andare alla cieca in quest’avventura sarebbe, invece, la certificazione della fine di un tentativo nato male, destinato a concludersi con la fine del ciclo politico di Silvio Berlusconi.