Da Sardegna Quotidiano di oggi
La straordinaria ed imprevista partecipazione allo sciopero indetto dalla CGIL, sbeffeggiato da Raffaele Bonanni, dev’essere un’occasione di riflessione per tutti. Anzitutto per chi nel Pd ha criticato Pierluigi Bersani per la coraggiosa adesione manifestata senza esitazioni fin dal primo momento. Che l’abbiano fatto personalità legate alla CISL è cosa comprensibile, ma che alcuni esponenti che vengono dalla sinistra -da Sergio Chiamparino a un gruppo di giovani quarantenni- si siano dissociati da Bersani, è segno di un grave scollamento con la realtà vera del Paese. Rimane il fatto che il Pd e le altre forze della sinistra hanno fatto, questa volta, la scelta giusta.
Il successo della mobilitazione popolare va al di là dei confini della politica, e anche delle sempre più incerte frontiere sociali tra sinistra e destra. La reazione scomposta della CISL, della Confindustria e del Governo racconta di una scomposizione, di un vero e proprio sfarinamento del blocco sociale e geografico che per vent’anni è stato maggioranza nella società italiana, e per una parte importante di questi vent’anni anche maggioranza politica. Qualsiasi cosa faccia ora il Governo, per rispettare i saldi, per frenare la speculazione internazionale che vede nell’Italia di Silvio Berlusconi e di Giulio Tremonti l’anello debole dei paesi forti dell’Europa, e per trovare quel po’ di ossigeno per continuare a sopravvivere, non funziona. La coperta è cortissima. Ora la maggioranza annuncia, per placare la rabbia operaia e popolare, l’aumento dell’IVA e un contributo di solidarietà per i redditi sopra i 500000 euro. Domani partirà la protesta dei commercianti e dei piccoli imprenditori. Nessun settore sociale è risparmiato, e la sfiducia investe i responsabili politici della destra italiana che avevano promesso, anche all’inizio di questa legislatura (in cui Pdl e Lega avevano conquistato una maggioranza storica), ben altro futuro.
Susanna Camusso ha giustamente parlato di futuro, della necessità di riconquistare il diritto a questa parola per una generazione e per un’intera società. Pdl e Lega sono invece devastati da gelosie, lotte intestine, posizionamenti sulle leadership prossime, dopo Berlusconi e dopo Bossi. La Lega sente gli umori del nord, il fiato caldo della pancia delle terre padane, che gli si stanno rivoltando contro. Il perdonismo leghista nei confronti delle vicende giudiziarie di Berlusconi e del Pdl non è stato ricompensato né dal federalismo (che oggi è sinonimo di aumento vertiginose di tasse locali) né dalla diminuzione degli immigrati (che, anzi, sono cresciuti, pur con meno diritti e con maggiori vessazioni) né da una ripresa economica e dei consumi in quei territori. La Lega si trova di fronte ad un vero bivio.
Il Pdl, dal canto suo, persa la sua capitale, Milano, incapace di conquistare Napoli, regalata sulla carta dalla sinistra, perde uno ad uno i pezzi principali del proprio insediamento sociale.
L’annunciata fiducia richiesta dal Governo sulla manovra è quindi l’estremo, quasi disperato tentativo di salvare la baracca. Ma anche dovesse essere accolta dal Parlamento, la fiducia non sarà fiducia del blocco sociale che nel passato ha dato una maggioranza tanto larga alla destra. La strada delle elezioni appare sempre più come l’unica via per aprire un cammino nuova, anche nella destra italiana, di cui la democrazia ha un grande bisogno. E compito del centrosinistra è quello di aprire una stagione costituente, capace di accogliere ceti sociali e temi culturali senza schemi o preclusioni ideologiche, e di conquistare forze e persone che, pur avendo creduto fideisticamente nell’uomo della provvidenza, non per questo vanno considerate avversarie o ostili.