Da Sardegna Quotidiano di oggi

L’Italia sta camminando sull’orlo di un burrone. Non è solo l’aspetto più evidente -la crisi finanziaria e l’attacco speculativo contro il nostro Paese e contro l’Euro- a metterci in una posizione difficile, quasi drammatica, per alcuni versi paragonabile al 92. Ma è che alla base di quanto sta avvenendo c’è la rottura di una coesione sociale e l’impoverimento della società italiana, fino alla scomparsa del ceto medio. E in parallelo c’è l’esplodere di una questione morale per dimensioni e profondità superiore a quella di cui nello stesso 1992 si occupò la magistratura milanese. Dall’inchiesta Anemone a quella che coinvolge Alfonso Papa e Marco Milanese e, per ciò che riguarda l’opposizione, il coinvolgimento di Franco Pronzato e di Vincenzo Morichini, danno una rappresentazione -della cui attendibilità va operata una verifica puntuale nelle aule giudiziarie- terribile del livello di putrefazione del sistema politico. Nell’opinione pubblica si è fatta strada la convinzione, malgrado la presenza di tante persone oneste che in politica compiono il loro dovere, che chi amministra la cosa pubblica lo faccia solo in ragione di propri interessi personali, e che non esista più alcuno spirito di servizio, senso dello Stato, etica repubblicana.

Alla base di un nuovo ciclo politico non può che esserci una strategia fondata sul binomio crescita-sobrietà, questione sociale-questione morale.

Crescita, per ricominciare a produrre ricchezza e a creare occupazione vera e stabile. Sobrietà, per contrastare tutti i privilegi delle caste, a cominciare da quelli della politica, e per estirpare il cancro della corruzione e del malaffare. La sfiducia radicale nei confronti dei propri rappresentanti è un male incurabile delle democrazie, e nella storia ha aperto la strada a regimi plebiscitari o a svolte autoritarie.

Per questo prima di ogni altro intervento – a differenza da quello che ancora avviene in questi giorni con la manovra- ci dovrebbe essere una grande strategia di austerità e di sacrificio che coinvolga tutti i privilegiati del nostro Paese. E’ una strada che va imboccata senza demagogia, per affermare principi di gratuità e di disponibilità in chi è chiamato a svolgere funzioni nell’interesse collettivo. Il caso della mancata abolizione delle Province è indicativo della debolezza e della fragilità, che spesso nasconde obiettivi strumentali e polemici, con cui l’attuale opposizione affronta il tema. Dietro c’è un problema più grande, quello del gigantismo degli apparati regionali e della necessità di rivoluzionare la pubblica amministrazione ricollocandola vicino a cittadini, famiglie e imprese. In questo senso va raccolta e sfidata la volontà del Governatore della Sardegna, Guido Cappellacci, di ridurre le Province sarde e di tagliare in una Regione così colpita dalla crisi i privilegi del potere.

Una grande strategia di austerità non può che partire dal dimezzamento dei parlamentari, da una sola Camera legislativa, dall’abolizione di privilegi, dal taglio di gettoni e emolumenti a tutte le rappresentanze elettive locali e di tutte le società partecipate dal pubblico da rigide norme di sospensione, decadenza e interdizione a fronte di rinvii a giudizio, condanne nei primi gradi e condanne definitive. E poi deve riguardare il settore privato, dove il limite agli emolumenti di banchieri e manager dev’essere stabilito per legge -in rapporto agli stipendi dei livelli più bassi delle rispettive aziende-, dove le speculazioni finanziarie vanno colpite e tassate duramente e dove va immaginata una patrimoniale per i più ricchi, come misura di coesione e di equità.

C’è un vento nuovo che spira nella società italiana, fatto di indignazione, movimenti civici, forme di protesta radicali ma composte in tanti territori. Questo vento ha riempito le vele delle opposizioni, nelle ultime amministrative e nei referendum. Ma questo vento può girare ancora, se non incontra una politica austera e sobria, che sappia parlare un linguaggio nuovo e comportarsi in modo esemplare. E il tempo concesso è davvero poco.

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