Da Lettera43 di oggi

 

Neppure chi scrive -che già nelle ultime settimane aveva invitato il centrosinistra e il Pd alla prudenza, perché la strada per vincere le elezioni politiche è ancora lunga e tortuosa- poteva immaginare che i grandi notabili del principale partito di opposizione ci avrebbero messo così poco tempo per cercare di indebolire Pierluigi Bersani e riprendere il controllo del partito.

L’episodio dell’abolizione delle Province, proposta dall’Italia dei Valori, e non passata a causa dell’astensione del Pd, è indicativo. Si può criticare il Pd -che esprime decine e decine di Presidenti di Provincia, tra cui Nicola Zingaretti, indicato da molti come astro nascente- per aver scelto l’astensione e per non aver votato a favore di chi denuncia l’inutilità di tutti quei Presidenti. Si possono censurare il Pd e le altre forze dell’opposizione, per non essersi ancora dati un minimo di coordinamento nell’attività parlamentare che eviti spettacoli come quello di martedi scorso. Non si può infine non vedere il voluto intento polemico di Antonio Di Pietro che costruisce questa mossa parlamentare nel tentativo di riprendere uno spazio contro il Pd. Ma sinceramente dover ascoltare le denunce indignate contro questo voto di astensione da parte di Walter Veltroni -che quand’era Sindaco spinse il suo vice di allora, Enrico Gasbarra, sulla poltrona di guida della Provincia- e di Matteo Renzi, che ha usato lo scranno e il potere di Presidente per cinque anni per lanciare l’ opa sul Comune di Firenze, è un po’ troppo. Veltroni e Renzi, a capo di una folta compagnia che era stata spiazzata dal risultato favorevole delle amministrative, ora si scoprono abolizionisti convinti, per pungere e mettere in difficoltà Bersani su un problema (quello dei costi della politica) sensibile.

Ma è sulla legge elettorale e sui referendum che i mandarini del Pd si aggregano e si dividono. Incomprensibile scelta. Siamo di fronte a due proposte di referendum, quella di Stefano Passigli, proporzionalista, e quella di Pierluigi Castagnetti, Arturo Parisi e Walter Veltroni, per l’uninominale, nessuna delle quali abolisce lo scandalo del voto bloccato. La prima non ripristina le preferenze, la seconda ripristina i listini bloccati e i tavoli in cui vengono calati dall’alto i candidati nei collegi. Per esperienza personale, tendo a preferire il collegio uninominale: garantisce e obbliga un rapporto stretto tra eletto ed elettori, e considero il doppio turno (come si vede nelle Comunali) il sistema migliore per un bipolarismo plurale, fatto di quattro, cinque grandi forze politiche. Ma davvero non si capisce, per un Partito che è in Parlamento e che ha il dovere di una proposta elettorale, il ricorso disordinato e strumentale al referendum. Ci vorrebbe una proposta condividisa, almeno dalla grande maggioranza del Partito.

Anzi. Il ricorso al referendum lo capisco fin troppo bene, se letto nell’ottica di mettere i bastoni fra le ruote a Bersani e alla sua candidatura alla premiership. Dividere e bloccare il Pd su questi temi, quando l’Italia si trova in grande difficoltà a causa della crisi e ora della manovra del Governo, è un atto di sadomasochismo politico. Si convochino in autunno le primarie di coalizione, attorno ai punti principali di un programma comune: e si chiuda quest’assurda lotta intestina. Il centrosinistra ha perso, nel passato, perché alla prova di Governo ha dimostrato litigiosità e personalismi. Ora rischia di non vincere neppure perché già comincia a litigare due anni prima del voto.

Nota Bene: perché i mandarini del Pd non mettono tutti la stessa energia che adoperano sulle tecniche elettorali, per cancellare invece il vero obbrobrio del Porcellum e del Mattarellum, che è il voto su lista bloccata? Forse perché non vogliono rinunciare a un caminetto in cui stilare la lista dei prossimi eletti?

 

 

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