Da Sardegnaquotidiano di oggi
Malissimo farebbero i nemici di Angelino Alfano – gli avversari politici e i numerosi avversari interni – a sottovalutare questo giovane agrigentino, cresciuto sotto la protezione del Presidente del Senato, Renato Schifani. La sufficienza con cui Alfano era stato etichettato come un servo sciocco di Silvio Berlusconi, solo perché appena designato era accorso a consultarsi ad Arcore è segno di uno snobismo strabico, tanto a sinistra quanto a destra. Certo: ci sarebbe stato da stupirsi davvero delle condizioni di lucidità del premier se il delfino designato lo avesse scaricato. Solo un analista poco lucido poteva immaginare scenari di questo tipo. E invece, nel discorso di investitura, lo scorso primo luglio, e in quello che trapela delle sue effettive intenzioni, il Guardasigilli, senza peli sulla lingua, ha apertamente dichiarato guerra al ceto politico dominante nel Pdl. Con evidenza agli ex-An, ma non con meno durezza nei confronti della casta dell’ex-Forza Italia che si è insediata all’ombra di Berlusconi in questi quasi vent’anni. La difesa del premier, perseguitato dai magistrati, e la distinzione con chi non è stato onesto non può essere solo una dichiarazione di facciata. Il bluff si scoprirebbe subito. Alfano ha avuto da Berlusconi un mandato chiaro per fare pulizia nel partito, per rompere il sistema correntizio e notabilare, per mettere rimedio -vedi il clamoroso caso della Campania, dove è stata letteralmente gettata al vento dal Pdl la vittoria annunciata a Napoli- alle guerre intestine e fratricide tra i potenti ras locali. C’è un’analogia con l’ultimo Psi di Bettino Craxi, quando l’allora segretario denunciò quanto sotto la sua ombra si fossero creati potentati che bloccavano e corrodevano il partito. Ma allora Craxi non riuscì ad intervenire, rimase solo, e quando fu colpito dalle inchieste il suo partito si sgretolò rapidamente. Ora Berlusconi ha imposto Alfano, con l’obiettivo di cambiare radicalmente il partito, che il premier sente come una zavorra destinata a farlo cadere.
Certo: in questo ragionamento il premier sottovaluta quanto la propria popolarità personale sia crollata, e quanto sia sia rotto nel cuore di milioni di persone l’incantesimo della fiaba azzurra (e il suo delfino finge di non sapere). Ma tuttavia Berlusconi e Alfano colgono un punto critico, e avviano una campagna interna, in stile maoista, da “rivoluzione culturale”. Si tratterà di vedere se ministri, notabili, potenti, ras accetteranno di farsi mettere in un angolo, o nascerà una nuova aggregazione interna, con uno scontro molto duro. Intanto, però, si debbono difendere. E si tratterà di vedere come gli Alemanno o i Cappellacci, che in questi giorni hanno fatto delle primarie interne la propria bandiera, giocheranno con Alfano, o differenziandosi da lui.
E anche le opposizioni non potranno stare a guardare, etichettando Alfano come un mero esecutore. Già da Ministro di Grazia e Giustizia, il leader agrigentino ha dimostrato di avere intelligenza e abilità. Un Alfano leader, che oggi dice che Berlusconi sarà candidato premier nel 2013, è obiettivamente candidato alla premiership. Le caute aperture dell’Avvenire, le sue intenzioni verso l’area cattolica e popolare -a fronte delle difficoltà elettorali del terzo polo- potrebbero aprire una nuova stagione, con un allontanamento dalla Lega e un avvicinamento all’Udc. Staremo a vedere. Quello che è certo è che il Pd e i suoi alleati non possono contare più solo sull’antiberlusconismo. Potrebbero rischiare di presentarsi in campo avendo preparato la partita sbagliata.