Da Lettera43 di oggi
Che la spinta propulsiva dell’Antonio Di Pietro di sinistra, talvolta di estrema sinistra, si fosse esaurita, era chiaro da tempo. Prima Nichi Vendola, con la sua nuova formazione politica, e poi, lentamente ma inesorabilmente Pierluigi Bersani, hanno progressivamente occupato lo spazio di sinistra. Quello squisitamente giustizialista, contro tutti i politici, Di Pietro compreso, è stato di recente (regionali del 2010 e amministrative di quest’anno) occupato dal Movimento Cinque Stelle e da Beppe Grillo. Una ricollocazione in senso più moderato dell’Italia dei Valori – partito che ha pochi anni di vita, ma nel quale si sono ricollocati e talvolta riciclati esponenti del vecchio ceto politico di ogni parte- era prevedibile e persino auspicabile, ed obiettivamente aiuta il difficile compito di Bersani di costruire una coalizione equilibrata, salda, vincente.
Quello che tuttavia non si poteva immaginare, è il fotogramma del colloquio tra il premier e Di Pietro, sui banchi della Camera. E poi ancora, quell’intervista delll’ex PM di Mani Pulite, già carica di compassione umana per l’antico avversario “sconfitto”.
Ho l’impressione di assistere a un film già visto. Nel 1998, quando i sondaggi davano Forza Italia in grave crisi e Berlusconi sembrava a tutti in un angolo, Massimo Cacciari rilasciò un’intervista al Corriere esprimendo preoccupazione per il rischio di un’asimmetria nel sistema politico italiano, con uno dei poli, quello di centrodestra, tagliato fuori. Si sa come siano andate le cose, dopo quella profezia. Sono passati tredici anni, e a tratti è sembrato al contrario che il centrosinistra fosse liquefatto: e che, anzi, andasse dal nuovo centrosinistra liquidata la sinistra politica erede del Pci e del Psi.
Silvio Berlusconi, certamente mai in difficoltà come in questo momento, non è sconfitto. Il centrosinistra non ha ancora vinto. Le difficoltà programmatiche e politiche da superare sono sotto gli occhi di tutti. Ci vorrebbe quindi prudenza. Certo è che, la crisi di Berlusconi rischia di trascinare con sé anche quella di chi ha fatto dell’antiberlusconismo la propria irrinunciabile identità -leader politici o leader mediatici che siano-. Di Pietro, che è uomo con grande fiuto e molto scaltro, sente questa possibile crisi e si ricolloca. Ma la coperta dell’Italia dei Valori è molto stretta, e si può rompere. Già il neo-sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che prima di candidarsi aveva aperto da sinistra un fronte interno all’IdV contro gli uomini di Di Pietro, non ha atteso un minuto per criticare il Presidente del suo (ex?) partito. E De Magistris non è certo solo.
Ecco perché, qualche settimana fa, mettevamo sull’avviso chi la fa facile (un’alleanza tout court tra Pd, Sel e IdV, o addirittura un nuovo soggetto comune, “oltre i partiti”). Il nodo riguarda il contenuto e la qualità del riformismo del Pd, e la capacità di Pierluigi Bersani di liberarsi dalla noiosa e un po’ stucchevole litania per cui essere riformisti vuol dire compiacere Marchionne o le grandi banche, e correre in un buco grigio chiamato, dai nostalgici del passato, “centro”. Se il Di Pietro più centrista incontrerà un Pd robusto e con la schiena dritta non ci sarà da preoccuparsi. Se invece gli orfani anzitempo di Berlusconi trovassero un Pd in perenne e indefinita ricerca di legittimazione e di identità, non ci sarebbe da stare allegri.