Per il Pd, senza dubbio, si apre una fase nuova. Ciò che è davvero si è esaurito, col voto delle amministrative, è il progetto originario del Partito Democratico. Aveva suscitato interesse e passione – al punto che nelle riunioni di partito, gli iscritti, per lo più giovani, al Pd senza una storia comunista, democristiana, socialista o simile alle spalle, si autodefinivano “nativi”-, aveva drenato e svuotato voti a sinistra, fino a quel 33% del 2008 (con l’eccezione di Di Pietro, cui Veltroni aveva concesso l’alleanza), aveva creato l’illusione che un modello bipartitico americano fosse alle porte anche in Italia. Il particolare che Veltroni e i suoi non avevano valutato nella sua portata era il sistema elettorale, che non premia il partito che ha la maggioranza relativa (che poi neppure il Pd ha avuto, perché nel frattempo è nato il Pdl), ma la coalizione di forze, comunque aggregata, che prevale.

Al fondo della scommessa di Veltroni – su questo punto senza sostanziali differenze con D’Alema, all’epoca con lo stesso Bersani e con Fassino, per non parlare di Marini e di Fioroni- c’era la convinzione che l’ex-sinistra, divenuta centro, o centro che guarda a sinistra, dovesse tagliare i ponti con la storia, le idee, i valori della sinistra storica della Repubblica, e troncare ogni rapporto con la sinistra “radicale”, considerata la responsabile unica della crisi del Governo Prodi. L’ideologia liberale -depurata dalle sue estremizzazioni liberiste- era l’approdo di quel progetto.

Tutto ha ruotato in un altro senso. Bersani, con la sua candidatura un anno e mezzo fa, ha scommesso su un’idea coalizionale, e non più mono-partitica del centrosinistra. Lo ha fatto con lentezza, con contraddizioni, con errori di comunicazione clamorosi, ma lo ha fatto. In questo modo, grazie alle primarie di coalizione nelle città -le primarie sono il vero lascito positivo della stagione veltroniana-, Bersani ha governato il fenomeno Vendola, contenendolo: se qualche mese fa Vendola appariva col vento in poppa, e Sel si proponeva come alternativa al Pd, oggi, dopo il voto, il Presidente della Puglia propone addirittura un nuovo partito col detestato Pd, citando idee suggerite in questi giorni da coloro che fino a poco tempo addietro sostenevano la rottura a sinistra, come Bettini, fra gli artefici della liquidazione della sinistra nel 2008, e Latorre. Bersani ha poi governato e contenuto il fenomeno Di Pietro, alle prese con una struttura di partito molto friabile, anche sul piano morale, fino alla dichiarazione coraggiosa del leader dell’Idv di sostegno alla candidatura a premier del segretario Pd.

Certo. L’effetto di questo lento processo è che oggi il centrosinistra è più complicato: non è solo Bersani+Vendola+Di Pietro che si debbono o non si debbono aprire al centro, ma è una pluralità di persone e di movimenti -da Fassino a De Magistris, da Pisapia a Zedda, dal movimento per l’acqua pubblica a quello dei pastori sardi, fino al movimento sindacale- che debbono trovare rappresentanza, una voce, una forza, un’idea di società.

Qui il Pd deve ora accelerare, abbandonando la corsa al centro, il liberalismo vacuo degli ultimi anni. Cogliendo le ansie di una società che propone la questione sociale -reddito, precarietà, futuro delle imprese, servizi- in modo potente, e che scopre la questione morale, in termini di cittadinanza, partecipazione, rifiuto di una delega in bianco, e non solo di critica al berlusconismo.

Molti dirigenti di questo partito non erano e non sono pronti. Del resto le sfide lanciate da Renzi e da Veltroni nei mesi passati non tenevano conto di questo nuovo umore della società italiana. Ora Bersani ha la possibilità di aprire la seconda fase della sua opera: proporre alcuni punti di programma che parlino ai sentimenti dell’Italia di oggi, e immaginare, già nel prossimo autunno, le primarie per la scelta del candidato premier. Oggi il segretario del Pd è in pole position come interprete di una stagione incentrata più sul “noi” che sull’ “io”. E questa potrebbe anche essere l’occasione perché una nuova generazione prenda la guida del Partito, e si dedichi a costruire la grande forza popolare e unitaria di cui ha bisogno il Paese.


Una Risposta a “Una fase nuova del Pd”
  1. roberto scrive:

    FASE NUOVA DEL PD?? A SI D’ALEMA,VELTRONI,FASSINO,BERSANI,TURCO,SERAFINI,AMATO,MIGLIAVACCA,FIORONI,BOCCIA, CHE GREAT AGGREGAZONE DEL NUOVO,E POI DITEMI CHE NON HA RAGIONE RENZI….. A VOLTE MI CHIEDO SE CI SEI O CI FAI.