Da Lettera43 di oggi
La settimana si apre all’insegna della “riforma epocale della giustizia”. In realtà a noi appare, a proposito di giustizia, l’ ennesimo scoppiettante annuncio di rivoluzione destinato a finire nel nulla. Cominciamo da qui: nei diciassette anni di berlusconismo si contano decine di annunci come quello di questi giorni. Forse arriviamo a quota cinquanta. Ogni volta si attendono separazione delle carriere tra Pm e giudici, revisione radicale del Csm, qualche volta -più raramente, per la verità, perché il tema è controverso nell’elettorato di centrodestra- revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, ripristino dell’immunità, limite alle intercettazioni, e così via. Alcune di queste norme richiedono revisioni costituzionali, altre leggi ordinarie: ma in fin dei conti non si sono fatte per diciassette anni e non si vede perché all’annuncio di ora dovrebbe seguire qualche atto concreto.
Le sole norme andate avanti sono quelle ad personam, rimesse in discussione dalla Corte Costituzionale, con l’obiettivo di frenare le azioni giudiziarie nei confronti di Berlusconi.
A questa “manutenzione del consenso” l’elettorato è abituato: l’unico effetto concreto che provoca è radicalizzare le due parti, e a sinistra alimentare inevitabilmente uno spirito giustizialista e sommario.
Ma in questi giorni c’è una novità – se all’annuncio corrisponderanno i fatti- : la decisione del premier di presenziare, parlare, intervenire ai processi che lo riguardano, a cominciare dal Ruby-gate. Se avverrà questa scelta -magari con l’obiettivo di trasformare le aule giudiziarie in un palcoscenico politico, come suggerisce in queste ore l’amico e sodale Marcello Dell’Utri-, non potendo o non riuscendo a riformare la giustizia, il premier riforma il suo rapporto con la giustizia. Pesa, in questa scelta, la consapevolezza che a fronte delle accuse sulla prostituzione minorile non basta un’invettiva contro i giudici comunisti, ma andrà giocata ogni carta possibile nella sede del processo. E soprattutto si sa che l’attenzione mediatica su quelle udienze per un attore esperto come Berlusconi è un’opportunità.
E la giustizia, quella di ogni giorno? Che domande. Non c’entra nulla con questo lunghissimo tormentone. Non interessa a Berlusconi e ai suoi avvocati, non interessa neppure ai grandi oppositori mediatici di Berlusconi, che senza le sue vicende ed esternazioni non avrebbero un grande ruolo. Né interessa granché all’opposizione. Parlare di carceri e delle loro condizioni disastrose, istituire pene efficaci alternative, riformare il codice penale adeguandolo alla società di oggi, far funzionare i nuovi istituti della mediazione e della conciliazione, riconoscere i diritti di cittadinanza dei migranti, questi e altri sono temi poco popolari. Sembrano levare consenso, non darlo.
E tuttavia la civiltà di un paese si vede dalla civiltà delle sue carceri, e la forza di una democrazia è un vero stato di diritto. L’Italia è la terra di Beccaria, il primo stato al mondo che abolito la pena di morte era il Granducato di Toscana, l’Italia ha promosso la moratoria alle Nazioni Unite contro la pena capitale: ma oramai siamo portati a pensare che la giustizia è solo un’eccitazione da tricoteuses di fronte allo show mediatico-giudiziario.