Da Epolis di oggi
“Essere veramente amici di Israele significa avere il coraggio di dire: queste cose non si fanno, stai perdendo la testa”. Non si possono non sottoscrivere le parole del Patriarca Latino di Gerusalemme Fuad Twal rivolte alla comunità internazionale. E’ stato, con tutta evidenza, varcato un limite ultimo in questa spirale estremistica che da anni ha avvolto il Medio Oriente. L’assalto militare alla Freedom Flotilla – preparato in modo superficiale, e gestito in forma catastrofica, come si dice sui giornali israeliani- è diventato per Israele un boomerang senza precedenti. Un’inchiesta indipendente deve chiarire la dinamica di quanto è successo, anche se appaiono evidenti le bugie delle prime ricostruzioni ufficiali israeliane. Al fondo la logica del blocco navale di Gaza, che impedisce rifornimenti per questa metropoli passata, qualche anno fa, sotto il controllo totale di Hamas, e l’ostinazione contro la popolazione civile palestinese sono la premessa di questo episodio. Estremisti e terroristi di ogni parte sicuramente si rallegrano, e pensano che per loro c’è nuovo sangue innocente da versare, ci sono nuove azioni stragiste eclatanti da progettare.
Israele è una democrazia: che, tuttavia, dopo l’assassinio da parte dell’estrema destra del premier Rabin, è scivolata in quindici anni su una linea che non dà alcuno spazio alla politica e alla dialogo. Nel cuore della società israeliana, colpita dalla crisi economica, si sono fortemente rafforzate le posizioni estremiste, e la sinistra è evaporata nei suoi fondamenti culturali.
Ero stato protagonista, insieme ai giovani di altri partiti democratici, di una forte iniziativa all’epoca della prima intifada, negli anni 80, quando un potente movimento pacifista aveva preso piede in Israele. E successivamente ero presente alla catena umana di palestinesi, israeliani e cittadini di ogni parte del mondo che nel 90 circondò le mura di Gerusalemme antica, dopo aver attraversato le due parti della città. Sono passati vent’anni da quelle speranze, e la violenza si è purtroppo fatta strada come soluzione più semplice per tutti. Ora, non si può che auspicare che dopo questo avvenimento in Israele si riapra un fronte pacifista largo e unitario che dica che la sicurezza del proprio Stato viene così messa in discussione, e che si ridia credito alle posizioni dialoganti presenti nel campo palestinese. La pace potrà poggiare solo su questa base.
Ma sono prima di tutto gli Usa e l’Unione Europea a dover far sentire il proprio peso: la Turchia, membro della Nato, fedele alleato degli americani, paese europeo, sponsor di Freedom Flotilla, ha reagito con estrema durezza all’attacco. Se non verrà assunta un’iniziativa adeguata, la potenza militare turca può mutare tutti gli equilibri del Mediterraneo. Questa strage, insomma, invoca la politica e un’azione coraggiosa e determinata, prima che sia troppo tardi.