Questo mio articolo è stato pubblicato da www.aprileonline.info in occasione dei ventitré anni trascorsi dall’omicidio di Pio La Torre e fi Rosario Di Salvo.

Sicilia, cosa possono insegnare gli anni Novanta
Centrosinistra. L’esempio di Pio La Torre, la “primavera” di Palermo, la sfida delle prossime elezioni

Era il 1989 quando Achille Occhetto, allora segretario del Pci, mi inviò a Palermo per dirigere il partito siciliano. Arrivai proprio nei giorni in cui i comunisti stavano per entrare organicamente nella “giunta anomala” di Leoluca Orlando. Era il risultato di quella che fu chiamata la “primavera di Palermo”: un vasto movimento che sconvolse la politica di tutta l’Isola. Una sana e giusta ribellione alla criminalità che toccò pezzi importanti della Dc, dividendo, in quel grande partito, il grano dal loglio. Anche il Pci era allora lacerato. Da una parte quelli che non solo appoggiavano la “primavera” (ricordo, tra gli altri, Luigi Colajanni, Michele Figurelli, Alfredo Galasso) ma ritenevano anche che la politica, compresa la sinistra, dovesse mettere al centro della sua azione la questione morale, senza lo scrupolo di eccedere, visto quello che stava accadendo (ricordo ad esempio l’attentato a Giovanni Falcone, fallito nel 1989 e tragicamente riuscito del 1992). Dall’altra chi, come disse Michelangelo Russo (allora deputato regionale del Pci), riteneva impossibile “fare l’analisi del sangue alle imprese”. Allora alcune cooperative rosse non si chiedevano se partecipare a consorzi in odore di mafia, che prendevano parte ad appalti “oleati”, fosse giusto o meno. Bisognava lavorare e i partner di quei consorzi erano aziende come altre. Ricordo che fu necessaria una energica riunione a Botteghe Oscure per convincere quelle cooperative a uscire, come poi è successo, dai consorzi così chiacchierati.
Erano passati sette anni dall’omicidio di Pio La Torre. La Torre avrebbe certo apprezzato e sostenuto quanto accadde nella politica siciliana nella stagione della “primavera”. Egli era profondamente convinto che la mafia andava combattuta non solo con la repressione delle forze dell’ordine e della magistratura (chiese che Dalla Chiesa andasse in Sicilia con pieni poteri, promosse l’istituzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, e per questo fu ucciso) ma anche con la mobilitazione delle coscienze e con la bonifica delle zone di influenza della criminalità. Non a caso la sua legge, che porta il suo nome e quello dell’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni, prevede la confisca dei beni dei mafiosi e il loro uso sociale: non si può combattere la mafia – era il suo ragionamento – se non si toglie ad essa il terreno in cui pascola: la povertà e l’ignoranza. Grazie a lui la villa di Riina divenne una scuola e sui terreni una volta di proprietà dei mafiosi si produce l’olio dell’Associazione “Libera” di don Ciotti. Quasi un contrappasso.
Dopo il mio arrivo a Palermo, si aprì nel partito una polemica sulla cosiddetta “pista interna”. Era una tesi realmente infondata, ma che ci fece riflettere: eravamo arrivati al punto che qualcuno poteva alzare il sospetto che La Torre fosse stato ucciso con il beneplacito di pezzi della sinistra in qualche modo connessi con la mafia. Ripeto, si trattava di una tesi assurda, senza alcun fondamento, ma il problema era che qualcuno la giudicò credibile perché, anche a sinistra, c’era chi pensava che per vincere sarebbe stato più opportuno attenuare il profilo antimafioso.
Da quel momento si aprì un duro scontro nella sinistra, uno scontro che portò compagni validissimi dentro “la Rete” di Leoluca Orlando. Il mio lavoro fu quello di aprire un dialogo con i movimenti, le associazioni, i pezzi della società civile e di quella politica che volevano disfarsi del condizionamento mafioso nelle istituzioni. Questo, soprattutto, fu la “primavera”, al di là degli errori successivi dei singoli. Dopo quella stagione, dopo i grandi movimenti seguiti alle stragi del 1992, dopo i lenzuoli bianchi, nel periodo di governo del centrosinistra si è avuto un nuovo abbassamento della tensione contro la criminalità. Cuffaro. In questo quadro si può leggere l’offuscamento di una prospettiva di alternativa nella seconda metà degli anni Novanta, dal fenomeno Cuffaro alle recenti proposte di riforma della legge elettorale regionale da parte di settori del centrosinistra. Come anche la vicenda del deputato regionale Crisafulli, prosciolto dalle accuse penali in rapporto al suo incontro con un esponente mafioso, ma non candidato dai Ds alle elezioni europee dell’anno scorso.
A un anno dalle elezioni, per onorare Pio La Torre, come centrosinistra dobbiamo lavorare a un progetto, a un profilo alternativo al centrodestra anche sulla questione morale e sulla criminalità. Dobbiamo riprendere la sua lezione e lavorare nella società.
Gli uomini di Cosa nostra forse s’aspettavano di più da questo governo. Ma sarebbe suicida pensare di lucrare su questo malcontento. La sinistra, il centrosinistra, deve continuare, o in certe zone della Sicilia deve tornare, a essere il partito dell’antimafia. A Palermo abbiamo visto nuovi fermenti in questi anni: movimenti, girotondi, intellettualità (cito, per tutti, Giovanni Fiandaca e Mario Centorrino). Tuttavia quell’esperienza non ha ancora incontrato una rigenerazione politica e morale adeguata della sinistra e delle forze democratiche. La lezione di Pio La Torre – combattere la mafia partendo da un progetto di nuova società – dovrebbe aiutarci a superare questo ritardo.

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