Buon primo maggio a tutti. Il mondo del lavoro in Italia lotta per i contratti (dai meccanici al pubblico impiego), contro la legge 30, per il Mezzogiorno. Aspetta di andare al Governo, o comunque di vedere al Governo spazio per le proprie idee e per i propri sentimenti. Ma non dimentichiamoci che in buona parte del mondo il primo maggio è un reato, come ci racconta questo articolo.

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In più di cento paesi del mondo la difesa dei diritti dei lavoratori, la partecipazione ad una manifestazione di protesta, l’adesione ad uno sciopero, l’iscrizione ad una organizzazione sindacale sono azioni che possono avere per chi le compie un prezzo elevatissimo, pagato talvolta con la vita, quasi sempre con i maltrattamenti, la tortura, la galera, il licenziamento. E’ quanto rivela ogni anno il “Rapporto sullo stato dei diritti sindacali nel mondo” della ICFTU, la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi, che rappresenta 157 milioni di lavoratori appartenenti a 255 sindacati presenti in 148 paesi. Le violazioni delle più elementari norme del diritto internazionale a tutela dei lavoratori e delle libertà sindacali avvenute in Colombia, Marocco, Algeria, Tunisia, Kenya, Cina, Indonesia, Myanmar, Bielorussia e in tanti altri paesi sono state in questi anni oggetto di denuncia da parte di organizzazioni per i diritti umani.

Ai governi di questi paesi sono state rivolte pressioni da parte della ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia dell’ONU che si occupa delle questioni sindacali e del lavoro, in richiamo degli impegni presi attraverso la ratifica di convenzioni internazionali in materia di diritti civili e politici, economici e sociali. Impegni solenni, ma che vengono rapidamente accantonati: perché i diritti “ostacolano” lo “sviluppo”.

La Colombia è tra i paesi che vantano il triste primato del maggior numero di sindacalisti assassinati: 112 nel 2000, 156 nel 2001 (cui vanno aggiunti 68 scomparsi), 179 nel 2002. Circa quattromila sono gli episodi di violazioni e abusi ancora impuniti compiuti ai danni di organizzatori sindacali colombiani, bollati come sovversivi da parte del Governo e dalle forze armate colombiane.

In Cina non esiste un sindacato libero, ma solo un sindacato di regime. Tutte le altre organizzazioni di difesa dei lavoratori sono considerate illegali. La Federazione Autonoma dei Lavoratori, nata nel 1989, ha avuto breve vita. Con la repressione di Piazza Tian An Men i suoi militanti sono stati incarcerati, altri sono caduti durante gli scontri.

Nel corso degli ultimi anni, attraverso una serie di norme legislative interne, il movimento sindacale in Bielorussia è stato imbavagliato, ostacolato, represso. Nel settembre scorso, il Presidente del Congresso Bielorusso delle Organizzazioni Democratiche Alyksandr Yaroshuk, è stato arrestato per il solo fatto di avere scritto un articolo in cui criticava la decisione della Corte Suprema Bielorussa di sopprimere il sindacato dei controllori di volo.

Sono solo alcuni esempi documentati in questi anni da Amnesty International.

Si tratta di uomini, donne, lavoratori, militanti. Sono storie di vite spezzate, di processi iniqui ad imputati senza diritti, di lunghe detenzioni in stato di isolamento. Storie di vessazioni ed abusi subiti da chi, all’inizio del terzo millennio, opera per conquistare diritti basilari e difendere la dignità nel lavoro e del lavoro, all’interno di contesti privi di protezioni, in un mondo – bisognerebbe sempre ricordarlo – dove 250 milioni di bambini sono vittime dello sfruttamento del lavoro minorile.

Denunciare che ancora oggi nel mondo ci sono persone che perdono la vita o la libertà nella lotta per il riconoscimento dei diritti sociali e delle libertà sindacali è un modo per ripensare, senza retorica, all’origine autentica della giornata di festa e lotta del 1 Maggio e per portare nelle strade e nelle piazze delle nostre città il segno di una solidarietà internazionale indispensabile perché nelle realtà più difficili di sfruttamento e oppressione possano continuare ad operare uomini ed organizzazioni convinti che non c’è sviluppo senza la diffusione e l’allargamento dei diritti.

Ha scritto un sindacalista messicano: “I regimi per i quali la parola sindacato è sovversiva ed in cui i diritti umani sono considerati un incitamento alla ribellione…stanno combattendo una battaglia persa”.

Andrea Rosa, dall’Unità del 1 maggio 2004

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