Da Epolis di oggi

Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Così Leonardo Sciascia ha voluto fosse scritto sulla lapide della sua sepoltura, nel cimitero di Racalmuto. Avevo cercato di incontrarlo, in quelle prime settimane siciliane. Correva l’anno 1989. Nel giugno i ragazzi di Tienanmen erano stati repressi nel sangue, e all’inizio di novembre era caduto il muro di Berlino. A trentadue anni ero stato eletto segretario del PCI – che in quei giorni diveniva Pds – in Sicilia: e per me, che mi ero abbeverato fin da ragazzo ai romanzi di Sciascia, la possibilità di incontrare uno dei grandi della letteratura del dopoguerra mi entusiasmava. Sapevo che era malato, e conoscevo il suo pessimismo. Ma per un giovane comunista berlingueriano del nord, inviato a commissariare il suo partito in Sicilia, essere semplicemente confortato da una parola di Sciascia – guidato, nel Contesto siciliano – era una straordinaria opportunità. L’incontro venne rinviato a più riprese per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, fino alla notizia del 20 novembre : e rimase solo la possibilità di partecipare al suo funerale, nella Chiesa di Racalmuto, e di ascoltare le parole di Gesualdo Bufalino.

Non spetta a me dire del posto di Sciascia nella storia della letteratura del 900: di come, con un maestro come Brancati, abbia costruito – sulla scia dei grandi siciliani dell’800 e del ‘900 – un genere letterario a sé, scrivendo dei veri capolavori, e abbia ispirato grandi films e aiutato a crescere e a svilupparsi una preziosa casa editrice come Sellerio. Qualcosa invece va detto della sua passione civile. Oggi si fatica a trovare chi, scrivendo, milita per le proprie idee e convinzioni. I migliori scrittori contemporanei sembrano usciti da un’industria culturale: sono sì disponibili a firmare appelli e a aderire a proclami, ma non si sporcano le mani. Sciascia polemista è stato come Pasolini (pur così diverso, così lontano) polemista. Entrambi scrivevano sul Corriere della Sera: provocavano, non col gusto del narcisista, ma con lo scopo di svegliare dal torpore e dal conformismo. Solo in un paese balordo come il nostro si poteva scambiare la polemica sui “professionisti dell’antimafia” come un rifiuto della lotta alla mafia. La lezione di Sciascia sulla lotta alla mafia e sulla Sicilia è in verità molto semplice: un invito a essere critici e liberi, a ragionare con la propria testa, a rifiutare gli schemi e gli accomodamenti, a non fare dell’antimafia una moda parolaia e vuota. La sua lezione ha il volto di Gianmaria Volonté, in A ciascuno il suo. Ha la morale del giudice, in Porte aperte, che rifiuta di condannare a morte, su richiesta del regime fascista, un assassino. Non c’entra nulla con la volgarità urlata, in Tv e nelle piazze, di questi tempi.


Una Risposta a “Sciascia, vent’anni dopo”
  1. http://liberalvox.blogspot.com scrive:

    Caso Cucchi: la cartina tornasole di una dirigenza incapace!

    Sono stati reintegrati, nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini, i tre medici indagati per omicidio colposo nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni, arrestato il 15 ottobre scorso dai carabinieri per detenzione di droga e deceduto una settimana dopo nell’ospedale romano. La decisione “ibrida” di trasferire i tre medici in un altro ospedale era stata adottata il 18 novembre scorso dalla direzione sanitaria del nosococomio, che con quel procedimento aveva deciso di prendere le debite distanze dall’accaduto, trasferendo d’ufficio i tre medici senza far valere la benchè minima “presunzione d’innocenza”: un principio del diritto penale secondo il quale un imputato è innocente fino a prova contraria! Non sarebbe stato più giusto aspettare gli esiti dell’indagine giudiziaria per stabilire eventuali colpe e se colpe c’erano perchè il trasferimento e non il licenziamento? Comunque, se la decisione del “trasferimento” è stata affrettata e profondamente sbagliata, pure quella di oggi – che lo “revoca” – arriva in maniera altrettanto “discutibile”! Tant’è. Il reintegro è stato deciso dal direttore generale dell’Asl Rmb, Flori Degrassi. Riguarda Aldo Fierro, responsabile del reparto penitenziario, ed i medici Stefania Cordi e Rosita Caponnetti. Nel provvedimento appositamente emesso, si leggono le risultanze dell’indagine interna effettuata dalla Uoc Risk Management aziendale che nella relazione depositata il 30 novembre 2009 ha concluso: “Il gruppo audit ha individuato nel carattere improvviso e inatteso del decesso, in rapporto alle condizioni generali del paziente, l’elemento dell’avversità in oggetto delle indagini. L’analisi non ha messo in luce, sul piano organizzativo e procedurale, alcun particolare elemento relativo ad azioni e/o omissioni da parte del personale sanitario con nesso diretto causa-effetto con l’evento avverso in questione. Contestualizza e configura pertanto l’oggetto dell’indagine sotto il profilo dell’evento non prevenibile”. È davvero sconcertante l’operato della Asl che prima condanna, poi assolve i suoi dipendenti in maniera del tutto arbitraria, chiude la propria inchiesta interna, ancor prima di quella penale e, oltretutto, sostiene che la morte di Cucchi sarebbe stata “improvvisa e inattesa”. Ma, allora, cosa dovrebbe fare un ospedale se non prevenire un decesso e individuarne le cause? Nessuno vuole provvedimenti punitivi nei confronti dei medici prima che si concludano le indagini e quindi il processo. È evidente, tuttavia, che anche in questo caso, come in altri mille che passano inosservati in altrettante corsie d’ospedale, ma pure tra le scrivanie e le scartoffie della P.A. in senso lato, si è tristestemente misurato il peso di una classe dirigente a dir poco “leggera”! Ancora una volta, dobbiamo denunciare una dirigenza assai “confusa” e poco “preparata”!