Da Epolis di oggi

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Anzi: l’oceano. Quello che separa i paesi benestanti del Nord del mondo, e con loro le grandi potenze emergenti del Sud del pianeta, e i paesi nei quali un miliardo di esseri umani vive in condizioni di assoluta povertà e fa la fame. Ma c’è anche un oceano che separa la durezza delle denunce – lo sciopero della fame del Direttore Generale Diouf nei giorni precedenti l’Assemblea della Fao, la denuncia durissima fatta ieri dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, e la grandiosa forza morale del discorso di Papa Benedetto XVI° al vertice – dall’inconsistenza degli impegni concreti per raggiungere l’obiettivo di dimezzare la povertà da qui al 2015. Il documento conclusivo della riunione romana è un gigantesco imbroglio, come hanno denunciato le Ong di tutto il mondo. Qualcuno aveva suggerito di posporre più realisticamente l’obiettivo del dimezzamento della povertà e della fame al 2025, dieci anni dopo, in presenza di risorse finanziarie scarse e spesso, com’è successo recentemente anche per l’Italia, neppure disponibili. Nel frattempo i grandi monopoli mondiali delle sementi e degli Ogm rappresentano per gli agricoltori un condizionamento insopportabile, spesso snaturando in modo irrimediabile equilibri agroalimentari più antichi. Le regole del commercio mondiale, sancite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (che conta assai più di quella della Fao), rendono impossibile la valorizzazione dei prodotti delle campagne di quei paesi. I cambiamenti climatici, con l’incedere dei processi di desertificazione, fanno il resto. E così l’urbanizzazione selvaggia in atto negli slums in tutte le aree metropolitane dei paesi poveri svuota le campagne, cambia le abitudini alimentari, impoverisce milioni di esseri umani. Questi sono i problemi che andrebbero risolti non sottraendo risorse ai lavoratori e ai disoccupati dell’Occidente, ma iniziando a tassare le transazioni finanziarie internazionali, come di recente ha riproposto il premier britannico Gordon Brown.

E così, mentre si annuncia il declassamento del prossimo vertice mondiale sul clima, le organizzazioni internazionali rischiano di perdere ancora credito. Obama non è Superman, e ha bisogno di tempo. Tuttavia, anch’egli è consapevole che o si crea una nuova governance mondiale più democratica capace di risolvere questi problemi, o il suo progetto, in cui tanta parte del pianeta ripone speranze importanti, verrà sconfitto. Con buona pace delle parole rassicuranti di Berlusconi sugli impegni del G9 all’Aquila. Per il momento non se ne vede traccia concreta.

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