Da Epolis di oggi

Larga parte dei media nostrani e, in misura minore, occidentali, non vedeva l’ora di sfruttare l’occasione offerta dalla pesante sconfitta dei democratici in un importante turno di elezioni locali, un anno dopo il trionfo di Obama. La retorica sulla delusione, sulle promesse mancate, sull’eccesso di protagonismo del Presidente e di Michelle riempie le cronache tv e le pagine dei giornali. Teniamo invece le cose bene al loro posto. Quelle di martedì sono elezioni locali, fortemente condizionate da fattori specifici. Il governatore uscente del New Jersey, Corzine, sconfitto dall’avversario repubblicano, era un uomo di Wall Street, espressione odiata di Goldman & Sachs e dei responsabili della crisi, e l’amministrazione dello Stato era fortemente coinvolta in scandali locali. Bloomberg, ancora sindaco di New York, è un indipendente, popolare, e storicamente New York vota per l’uscente, che ha modificato la norma del limite dei due mandati.

Rimane certo il fatto che Obama si era personalmente e generosamente impegnato in questa campagna, ma la sua popolarità oggi permane altissima. C’è cioè da dubitare che, in caso di elezioni presidenziali, il voto del 3 novembre sia automaticamente trasferibile. Semmai gli Usa rimangono un paese in grande difficoltà, con livelli record di disoccupazione e senza ammortizzatori sociali di alcun tipo, a differenza da ciò che avviene nel modello europeo. Ad Obama, un anno dopo, va già riconosciuto il merito di aver evitato la nuova Grande Depressione, con un Pil in ripresa del 3,5% nell’ultimo quadrimestre e segnali importanti in molti settori, a partire da quello auto. La decisione di Gm di tenersi la Opel, e il lancio della nuova linea Fiat-Chrisler (non dimentichiamo che Marchionne fu voluto a Detroit da Obama) ne sono segnali significativi. Oggi i neri che non partecipano al voto, come hanno sempre fatto, salvo un anno fa, ricordano la drammatica differenza sociale che taglia in due la più grande potenza mondiale: chiedono a Obama di andare avanti con ancora più determinazione sulla linea che ha tracciato, in particolare con la sfida della riforma sanitaria per tutti. E anche il mondo, l’Islam, i paesi poveri e quelli emergenti hanno bisogno che il pensiero nuovo che ha acceso tante speranze costruisca un nuovo sistema di relazioni policentriche, una qualche forma di democrazia globale.

Guai, allora, se si premesse sul Presidente per farlo frenare sulle riforme. Sono proprio le lobbies della sanità privata, della speculazione finanziaria, degli affari senza morale a muovere una sottile campagna di denigrazione e di delegittimazione del Presidente, in atto da alcuni mesi. Per parte nostra rimaniamo invece accesi sostenitori del riformismo di Obama: vorremmo anche noi vivere in un paese che è portato a guardare in avanti, e non, come ci succede, dal buco della serratura.


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