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Da Epolis di oggi

A Gaza, in queste ore, si sta giocando la credibilità della comunità internazionale e, in primo luogo, dell’Occidente. La strage provocata dalle incursioni aeree dei giorni scorsi e, da quarantotto ore, la cruentissima invasione di terra da parte di Israele determinano prima di tutto una gigantesca emergenza umanitaria. Centinaia di migliaia di civili palestinese, chiusi in un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati, sono esposti agli effetti e alle conseguenze di una guerra in cui la sproporzione dei mezzi in campo è enorme. Già questa ragione, insieme a quella delle popolazioni israeliane dei villaggi del sud del paese esposte al lancio di missili di Hamas, è sufficiente per invocare a gran voce, come ha fatto ieri il Pontefice, e come ha fatto l’Unione Europea, correggendo le prime superficiali dichiarazioni della presidenza ceca, un immediato cessate il fuoco. Ma c’è una grande ragione politica, oltreché umanitaria, che chiede un’iniziativa forte, incisiva, rapida all’ONU, oggi paralizzata dal veto imposto da Bush, negli ultimi giorni di presidenza; all’Europa, imbelle e impotente dall’epoca degli accordi di Oslo sul Medio Oriente; e all’Italia, che con Frattini in questi giorni si è discostata dal tradizionale equilibrio che il nostro Paese – da Andreotti a Craxi a D’Alema – ha avuto in quest’area del mondo. E la ragione è che, dopo i tragici errori compiuti dopo l’11 settembre nella lotta al terrorismo, a Gaza, proprio nei giorni in cui si sta per aprire l’era Obama, simbolo di un’America più giusta e più pacifica, si gioca agli occhi non solo dei palestinesi o del mondo arabo e islamico, ma di tutto il sud del mondo, la credibilità di un nuovo corso internazionale.

La guerra chiama guerra, il terrorismo chiama terrorismo: da anni questa spirale non è stata interrotta nella terra di Davide, di Gesù, della grande Moschea di Gerusalemme. Ora i fanatici bruciano le bandiere – come facevano i nazisti – : ma altri pacifisti ebrei israeliani sventolano in queste ore la bandiera palestinese. Ci vorrebbe un Gandhi, ci vorrebbe un Mandela per avviare una grande riconciliazione non-violenta. Forse domani potrà nascere o affermarsi un ebreo o un palestinese capace di un linguaggio universale, ma solo a condizione che ora si fermi il massacro. Per questo dall’Italia ci attendiamo molto di più: per il Libano andarono, e sono ancora lì, i nostri caschi blu. Solo una forza di pace internazionale può garantire a Israele e alla Palestina la sicurezza e la convivenza. Presto. Subito.

 

 

Una Risposta a “L’Occidente alla prova di fronte ai cannoni”
  1. Francesco Cocco scrive:

    Gaza, è l’ora delle trattative

    -Allora, nel bagno c’infiliamo mia nonna e mio zio.
    - E i miei fratelli?
    - Nel corridoio umanitario
    - Va bene, ma se le cose vanno male, il posto in cima alla fossa è mio.
    - D’accordo. Convoca i giornalisti.