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da Epolis di oggi

“We just made history”. In questa frase, nella consapevolezza di aver appena fatto la storia – com’è scritto nella mail che Barack Obama ha inviato ai milioni di sostenitori per ringraziarli – , c’è la chiave di lettura di quest’indimenticabile 4 novembre 2008. La realtà, come in  tutti i punti di svolta della vicenda umana, ha superato l’immaginazione. Vince Obama della giustizia sociale. La sua storia americana – figlio di un nativo di un villaggio keniota – e quella di Michelle, di famiglia operaia, hanno rappresentato l’America  non visibile ai grandi speculatori di Wall Street: ha preso il potere  il simbolo di una società che vuole redistribuire la ricchezza, tutelare la casa, rafforzare il lavoro, promuovere la salute. Vince Obama nero, e rinasce nel mondo il fascino degli Stati Uniti così colpito in questi anni. E’ un’idea di società aperta, interculturale, integrata nel mondo. L’Africa trova voce lì, nel cuore della ricchezza, e Obama – con le nuove leadership del Brasile, del Sudafrica, dell’India – incarna un’idea ben diversa del pianeta da quella coltivata negli ori del G8. “Un altro mondo è possibile”, dicevano nel 2001 i giovani di tante parti del mondo. Un altro mondo è possibile, hanno detto a modo loro col voto i giovani che hanno accompagnato Obama alla vittoria.
Vince Obama giovane, e con lui un diverso modo di sentire e vedere le cose. Di fronte a un’Europa con una moneta fortissima ma con una società impaurita e invecchiata, gli USA rovesciano il tavolo, e propongono un “new deal”. Mettono da parte i sacerdoti del mercato assoluto.
Dopo la crisi del 29, i destini dei due lati dell’Atlantico si separarono: di là, con Roosevelt, nasceva una visione sociale e democratica delle grandi politiche pubbliche. Di qua, con Hitler, Mussolini, Franco, Salazar, Petain e i regimi di  molti paesi slavi e dei balcani, prendeva forma un mostro militarista e razzista.
Oggi l’Europa, per fortuna, ha tanti anticorpi – il primo dei quali è la memoria dell’Olocausto -. Ma le sue classi dirigenti, e il sogno di Spinelli di un’Europa federalista, stagnano. E questo è anche il problema italiano. Bisogna riconoscere a chi ha perseguito il disegno del PD di aver scommesso sul dinamismo della società americana. Ora, però, i nostri democratici, la sinistra italiana, e – perché no, tutta la politica, poiché Obama ha avuto simpatie trasversali – dovrebbero umilmente imparare la lezione: abbandonare la religione del mercato, non usare né produrre la paura, costruire, con una nuova generazione, la speranza.

2 Risposte a “we just made history”
  1. Vittore scrive:

    A me Obama piace molto, anche perchè se è stato eletto in un paese che storicamente non vede di buon occhio le persone di colore, pur rappresentando na buona parte della popolazione, direi che può essere una svolta.

  2. Mauro scrive:

    Ha vinto Obama, ha vinto chi lo gha sostenuto , a vinto chi lo ha votato, ha vinto chi ha sperato in questo rovesciamento del tavolo. Ma la strada è ancora lunga, c’è tanto da sconfiggere ancora. La speranza ci accompagna da piccoli, ma come rafforzare questa speranza e non farla svilire nella vita civile e politica di tutti i giorni, amministrando ad esempio un comune, e essere circondati dalle ossessioni di un mercato, che distrugge ogni buon proposito di non essere ricattabili per ottenere la verà Libertà. Come agire per spianare la stradfa ad Obama, se ancora anche nel Pd , ad esempio,imperversa la paura di un “mondo migliore” , per timore di perdere i propri privileggi odierni molto spesso di bassa lega.