

Ci ha lasciato Mario Ferrario
Scritto da: Pietro Folena in Diario, tags: arte, mario ferrario, pittura
Le declinazioni del verdeMario Ferrario
Mario Ferrario era un grande uomo, e un artista di valore. La sorte lo ha portato via, in modo feroce e rapido. L’avevo conosciuto l’anno scorso, e qualche giorno fa doveva partecipare all’inaugurazione di una sua personale promossa dalla CGIL di Reggio Emilia. La malattia non glielo ha permesso. Meritava più successo, più possibilità di farsi conoscere. E’ un impegno per il futuro.
Da anni viveva in mezzo alla natura, e però la sua arte più recente si era fatta più aspra, carica di denuncia sociale e civile. Scriveva anche poesie. Sui due periodi della sua pittura gli avevo scritto le prefazioni dei cataloghi.
1) Al centro c’è il fiume. Il fiume come forza incontenibile della natura che si riproduce. Come bios. Il fiume è il divenire. Le grandi civiltà, nelle loro origini, hanno dato ai fiumi, e ai loro nomi, rango di dei. Il limo del Nilo sembrava, fino alla sfida della diga di Assuan, il seme per ingravidare la secca terra del deserto, bruciata dal sole e dai venti. L’Indo, o il Gange, sono sacri. Chiunque, occidentale, con la testa che pensa ormai che l’acqua nasca già imbottigliata, sia stato in una città di fiume, in India, non avrà resistito alla tentazione di sedersi per ore e ore e guardare le abluzioni che mescolano i più poveri e i più benestanti, le caste e gli intoccabili, i lebbrosi e i pellegrini.
Il fiume è una delle forze impetuose che resistono alla privatizzazione del mondo. Vengono inquinati, la loro fauna e il loro habitat si impoveriscono, vengono deviati, e svuotati d’acqua, diventano agenti di eutrofizzazione dei mari, e però poi, nella stagione delle piogge si gonfiano in modo impetuoso, e nasce nuova natura, nuova vita, nuovo verde.
Di Mario Ferrario, che ha vissuto il clima artistico degli anni 60 e 70 a Milano, e ha imparato da grandi maestri, mi ha subito colpito el fiomm. Il suo fiume, l’Adda, la cultura lombarda e padana dei fiumi. Ma il fiume che c’è in ognuno di noi, ad ogni latitudine e longitudine. E il verde –la natura impareggiabile-, anzi i verdi e i loro timbri, specchiati nell’acqua, non annunciano quiete, ma potenza e conflitto. Suonano un notturno di Bach piuttosto che la Primavera di Vivaldi, come ci racconta una formidabile luna blu.
E così, lungo le rive così tranquille dell’Adda, compaiono una grande tigre, o un forte elefante. India? Africa? Ritorno di una natura totale, non dominata. Quella tigre, omaggio a Ligabue pittore, non nasce dall’immaginario di Disney, ma da quello di Rousseau il doganiere. Oggi, sulle rive dei fiumi padani, incontri sikh, o cingalesi, che lavorano nei campi e che sognano la loro terra, il loro fiume.
E se qui c’è una chiave della poetica di Ferrario –nel suo essere, figlio di operaio, dalla parte delle lucciole, e non di chi, per usare la metafora pasoliniana, le ha fatte scomparire dalle nostre campagne-, perché stupirsi del Ferrario partigiano, pacifista, sindacalista, ecologista dei suoi quadri-manifesto, sorta di reinvenzione di un genere cancellato dal “riflusso” degli anni 80? Non avete mai discusso di come torna l’onda dopo il riflusso, titola una di queste opere. Anche in questa produzione, in cui talvolta tornano l’acqua, e una natura più bruciata e povera, la vocazione è la stessa, quella di un critico dello sviluppo e di questa contemporaneità, e di un appassionato della vita e della natura.
Gli aironi cinerini, così eleganti in un palcoscenico tanto importante –addirittura un trittico-, sembrano la metafora della fragilità e della forza della vita. Addirittura cominciano il volo.
2) Se il 900 si è annunciato come un secolo in cui il volto
non poteva essere più raffigurato –ma tutt’al più
trasfigurato-, il secolo dell’Io che sfugge a ogni
stereotipo, il 2000 nasce all’insegna della fine della
storia. La più grande ideologia dopo più di un secolo,
quella della morte delle ideologie, ha visto affermarsi in
territori in cui faticosamente, dal Quarto Stato in poi, si
erano conquistati diritti, il predominio assoluto della
merce.
La televisione rovescia ogni sera, in un mondo che bolle e
che soffre, le ultime evoluzioni dei principali delitti di
cronaca. Un eterno presente, lo chiamava, proprio agli
albori del turbocapitalismo che poi ha trionfato, quasi
trent’anni fa, il grande Heinrich Boll. Non c’è
passato, non c’è futuro. Ogni giorno cancella il suo
precedente.
Solo una grande indignazione –perché si è complici se
si tace-, e la volontà di partecipare a un nuovo corso di
idee, possono avere spinto un pittore e un poeta come Mario
Ferrario –pittore e poeta di fiume, di verde, di vita- a
intraprendere la strada coraggiosa, controcorrente, scomoda
di dipingere la memoria. Ci sono momenti della storia, e
delle vicende umane in cui nessuno può tirarsi fuori. Fu
così con la Resistenza e la ricostruzione, quando una
generazione di pittori, registi, attori, scrittori,
giornalisti costruì la tanto deprecata –negli anni del
riflusso- egemonia culturale della sinistra.
Queste opere raccontano il 900. Lo fanno col linguaggio
dell’artista, quasi dei manifesti-quadro, che coi loro
messaggi danno evidenza alla denuncia, o necessità alla
riflessione. E così Auschwitz, Birkenau, Fossoli cuore
della memoria, del bisogno anche nel 2000 di scrivere la
storia. E quindi la Resistenza, i Fratelli Cervi,
quell’immagine di partigiani con il tricolore. E poi
l’atomica, e le guerre, sempre ingiuste e criminali, il
Medio Oriente, la democrazia da esportare (!).
Il contributo più intenso è quello sul lavoro. 1141,
denuncia delle morti bianche; ora, dopo la strage di Torino,
bisogna impedire che si richiuda una cappa di silenzio sulla
condizione operaia. Precariato italiano è un pugno nello
stomaco e un atto di accusa a chi ha ridotto il lavoro a
condizioni servili e sottopagate. Nuove schiavitù parla,
cinquant’anni dopo, della terra in cui Di Vittorio
insegnava invece l’abc dei diritti ai braccianti.
Tragica e splendida la rappresentazione, quasi oleografica,
del potere. Dall’altra parte si muore, alla Thissenkrupp.
Grazie a Mario Ferrario, per un’esperienza che rompe il
pensiero unico. Grazie alla CGIL di Reggio Emilia che ha
voluto quest’occasione.
Trovo, nella consapevolezza –dopo l’Olocausto- che il
verde delle betulle ha le radici nel rosso di
un’indicibile sofferenza, una grande forza per provare,
ciascuno nel suo piccolo, a dare tutti sé stessi per un
altro mondo possibile.
12 febbraio 2008 alle 0:33
3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.
Provveda per favore: le leggi valgono anche per i legislatori.
12 febbraio 2008 alle 9:55
Mario Ferrario era un uomo e un artista attento a leggere la nostra società ad interpretarne, con la sua arte, i cambiamenti e le contraddizioni. Un artista fuori dal coro. Capace sempre di stupire. Mai, da lui, opere banali, mai dei versi poetici o delle riflessioni che non ti obbligassero a riflettere, a pensare. Ad aprire gli occhi sulla realtà.
Non accettava compromessi. Coerente nelle sue scelte sociali, politiche e di vita. Amava provocare con quell’ironia con cui era capace di lasciarti sempre sorpreso. Amava la Politica. Raccontava le storie dei più deboli, degli oppressi con una naturalezza e con una capacità straordinaria.
Non amava comparire pubblicamente. Era però un attento lettore di tutto ciò che accadeva, in campo artistico sia a livello nazionale che locale. Le sue critiche, rispetto agli eventi culturali del nostro territorio, erano severe ed obbligavano ognuno, ciascuno nel proprio ruolo, ad una riflessione e ad una seria analisi.
Ha insegnato a molti di noi il dovere civico e politico di fare memoria, di non dimenticare il nostro passato, le nostre origini e specialmente come alcune tragedie o fatti storici si sono sviluppati.
In questo senso alcune sue opere possono e devono essere rilette in un quadro di strettissima attualità. Atomica, opera del 2000, ci ricorda che oggi il tema della nuova proliferazione degli armamenti nucleari, si pensi alla vicenda (vera o presunta) dell’Iran o alla neonata passione nucleare di Putin, è all’ordine del giorno delle vicende politiche mondiali.
Profughi. Vengono dal mare, un quadro che ci aiuta a ricordare che la parte più ricca del mondo (20%) consuma la maggior parte delle risorse disponibili (80%). Si potrebbe continuare con ogni sua opera senza mai stancarsi di legare ogni suo quadro, ogni sua raffigurazione al contesto sociale e politico di oggi o di ieri.
Esprimeva – penso alla mostra Malebolge del 2000 – con le proprie opere le una pittura controtendenza, quasi di denuncia. Una pittura scomoda che difficilmente si conciliava con le esigenze del mercato che molte volte chiede e impone di non parlare di certi argomenti. Andava avanti per la sua strada, orgoglioso, sicuro sempre pronto a raccontare con una straordinaria passione ogni sua opera.
Caro Mario, lasci a tanti di noi un impegno gravoso, tentare di guardare sempre la realtà e il nostro passato con un collegamento continuo per non dimenticare, per non banalizzare, per non fare finta di non sapere. Speriamo di esserne all’altezza.
andrea ferrari, Assessore alla Cultura del Comune di Lodi
andrea.ferrari70@libero.it
12 febbraio 2008 alle 9:55
Mario Ferrario era un uomo e un artista attento a leggere la nostra società ad interpretarne, con la sua arte, i cambiamenti e le contraddizioni. Un artista fuori dal coro. Capace sempre di stupire. Mai, da lui, opere banali, mai dei versi poetici o delle riflessioni che non ti obbligassero a riflettere, a pensare. Ad aprire gli occhi sulla realtà.
Non accettava compromessi. Coerente nelle sue scelte sociali, politiche e di vita. Amava provocare con quell’ironia con cui era capace di lasciarti sempre sorpreso. Amava la Politica. Raccontava le storie dei più deboli, degli oppressi con una naturalezza e con una capacità straordinaria.
Non amava comparire pubblicamente. Era però un attento lettore di tutto ciò che accadeva, in campo artistico sia a livello nazionale che locale. Le sue critiche, rispetto agli eventi culturali del nostro territorio, erano severe ed obbligavano ognuno, ciascuno nel proprio ruolo, ad una riflessione e ad una seria analisi.
Ha insegnato a molti di noi il dovere civico e politico di fare memoria, di non dimenticare il nostro passato, le nostre origini e specialmente come alcune tragedie o fatti storici si sono sviluppati.
In questo senso alcune sue opere possono e devono essere rilette in un quadro di strettissima attualità. Atomica, opera del 2000, ci ricorda che oggi il tema della nuova proliferazione degli armamenti nucleari, si pensi alla vicenda (vera o presunta) dell’Iran o alla neonata passione nucleare di Putin, è all’ordine del giorno delle vicende politiche mondiali.
Profughi. Vengono dal mare, un quadro che ci aiuta a ricordare che la parte più ricca del mondo (20%) consuma la maggior parte delle risorse disponibili (80%). Si potrebbe continuare con ogni sua opera senza mai stancarsi di legare ogni suo quadro, ogni sua raffigurazione al contesto sociale e politico di oggi o di ieri.
Esprimeva – penso alla mostra Malebolge del 2000 – con le proprie opere le una pittura controtendenza, quasi di denuncia. Una pittura scomoda che difficilmente si conciliava con le esigenze del mercato che molte volte chiede e impone di non parlare di certi argomenti. Andava avanti per la sua strada, orgoglioso, sicuro sempre pronto a raccontare con una straordinaria passione ogni sua opera.
Caro Mario, lasci a tanti di noi un impegno gravoso, tentare di guardare sempre la realtà e il nostro passato con un collegamento continuo per non dimenticare, per non banalizzare, per non fare finta di non sapere. Speriamo di esserne all’altezza.
andrea ferrari, Assessore alla Cultura del Comune di Lodi
andrea.ferrari70@libero.it
29 febbraio 2008 alle 8:26
Ho saputo solo ieri, per caso, della scomparsa di Mario Ferrario. Ci conoscevamo da molti anni e sebbene le occasioni per vederci, per incontrarci, negli ultimi tempi si erano rarefatte eravamo sempre vicini col pensiero e con la condivisione dell’interpretazione della vita e del senso della giustizia. Sono ancora disorientato da questa notizia e vorrei tanto essere vicino a Tilde ed alla figlia Arianna ma sono senzaparole.
19 marzo 2008 alle 17:49
fiero di ricordarlo con martini dry e l’olivetta…