Il Riformista ha pubblicato l’altro giorno questo mio articolo sulla crisi dei Ds, il partito democratico, il “riformismo” e la prospettiva di un nuovo soggetto della sinistra.

Caro direttore, chiedo ospitalità a te, che guidi un giornale che si chiama “Il Riformista” per una riflessione su questo tema e sullo stato di salute dei Democratici di Sinistra, anche alla luce delle polemiche degli ultimi giorni innescate dalle dimissioni di Nicola Rossi dai Ds. Come sapranno i lettori di questo quotidiano anche io ho, da più tempo, lasciato la Quercia dopo decenni, e dopo aver assunto incarichi di vertice in quel partito. L’ho lasciata per i motivi opposti a quelli di Rossi e diversi anche da quelli di Caldarola.
Allora imperava incontrastato il “riformismo”. Oggi è più evidente il disagio che oramai molti provano a sentire le parole “riformista” e “riforme”. Ormai, lo ha detto anche Fassino, il termine “riforme” evoca timori e angosce. E non solo tra tassisti e farmacisti, ma anche nella “classe operaia”, tra gli insegnanti, i pensionati, i lavoratori dipendenti in generale. Non si tratta di un riflesso conservatore, anzi. Le stesse categorie, 20 anni fa, invocavano le riforme perché volevano migliorare la scuola, la sanità, la previdenza. Vent’anni di liberismo hanno trasformato il concetto di “riforma” e quindi la sua percezione presso i cittadini. “Riforma” era quella che istituì la scuola media unificata, o quella che diede a tutti i cittadini la possibilità di curarsi con il servizio sanitario nazionale. Oggi “riforma” è la legge 30, la legge Moratti, l’innalzamento dell’età pensionabile. Cioè l’esatto contrario di quello che il termine rappresentava 20 anni fa o più. “Riforme” e quindi “riformismo” è una di quelle parole che ci ha scippato la destra, o che ci siamo auto-scippati, quando abbiamo deciso di chiamare così anche leggi del centrosinistra che diminuivano l’universalità dei diritti e delle tutele.
E, allora, è chiaro che chi oggi usa questo termine ha molto spazio sui giornali, ma non viene capito, o viene osteggiato, tra i cittadini. Nicola Rossi, uscendo dai Ds, ha fatto un gran frastuono. Fabio Mussi ha giustamente sottolineato che la mia personale uscita non ha suscitato lo stesso clamore. Forse perché io non sono “riformista” alla maniera di Rossi, cioè non credo che il liberismo abbia ragione e che il ruolo della sinistra sia semplicemente quello di mitigarne (il meno possibile) gli istinti animaleschi. Sono “riformista”, o “riformatore” alla maniera di Lombardi, ai cui tempi il termine “riforme” indicava quelle “di struttura”. Oggi suscita clamore che in America latina si parli di socialismo ed persino di nazionalizzazioni. Eppure è esattamente ciò che si fece in Italia durante il primo centrosinistra. Ricette vecchie, non moderne? Può darsi, intanto però quelle “innovative”, come certe privatizzazioni (vedi Telecom) hanno clamorosamente fallito. La regionalizzazione della Sanità ha avuto più ombre che luci. La liberalizzazione della formazione ha creato un mercato di titoli più o meno fasulli.
Insomma, almeno in certi ambiti, il libero mercato non sembra essere la soluzione, come ritengono Nicola Rossi e i “volenterosi” del disciolto tavolo. Di questo, purtroppo, la maggioranza dei Ds non ha preso coscienza, ed anzi ritiene di doversi sciogliere dentro un nuovo soggetto politico che rimuova definitivamente anche il termine “socialista”. Per questo sono andato via dai Ds. Credo, invece, che il socialismo sia l’unico modo che ha la sinistra per parlare del futuro. Un socialismo certo diverso e nuovo rispetto al passato, con ricette del ventunesimo secolo (la nonviolenza al posto della dittatura del proletariato, la partecipazione al posto dell’avanguardia rivoluzionaria, i beni comuni come nuovo concetto di “pubblico” al posto della proprietà statale e quindi partitica). Un socialismo – sto riflettendo negli ultimi mesi proprio su questo concetto – che significhi in primo luogo cessione del potere dall’economia e dallo Stato verso la società.
Una riflessione molto lontana da quella dentro la maggioranza dei Ds (molto più vicina, invece, a quanto stanno elaborando le minoranze). Con rammarico, constato che quel partito ha perso oramai la sua ragion d’essere. Nomen omen, dicevano i latini, e se il nome si cambia in continuazione, se da un anno all’altro l’appartenenza al socialismo diviene da carta di identità a “problema”, allora vuol dire che la precarietà del “nome” è precarietà della “cosa”. L’unico punto sul quale io e Rossi siamo d’accordo mi sembra questo: i Ds, così come sono, non hanno una funzione, non si sa cosa sono e a cosa servano. E il partito democratico non mi pare, almeno ad oggi, una soluzione. Potrebbe esserlo (per molti, non per me), se prevalesse l’idea di una palingenesi, come Prodi e Veltroni vorrebbero. Ma lo stato dell’arte mi sembra diverso.
Vorrei che la battaglia congressuale delle minoranze potesse servire a ridare smalto e senso a quel partito. E’ un compito difficile. Ma in ogni caso, comunque vada, servirà il loro apporto al futuro della sinistra italiana. Perché di riformismo vero, quello che fa le riforme e le fa guardando alla parte più debole della società, c’è davvero bisogno e se non ne saranno capaci, come prevedo, i Ds o il partito democratico, ci sarà bisogno che qualcun altro prenda il posto che hanno abbandonato dentro la sinistra.

7 Risposte a “I Ds hanno perso la propria ragion d’essere”
  1. Massimo scrive:

    Che dire,condivido dalla prima all’ultima riga.Sono
    iscritto ai DS e parteciperò al prossimo congresso,
    non so come finirà,io so solo che in quella cosa(PD)non ci vado.Credo di non essere il solo.Auguri e saluti.

  2. Anonimo scrive:

    non sei il solo

  3. Silvestro scrive:

    Allora, vedi che a nessuno interessa, perlomeno dalle risposte (due) questo si evince.
    Allora dicci qualcosa a proposito del precariato (ATA)della scuola.
    Forse noi qualcosa da dire ce l’abbiamo

  4. michele scrive:

    Ma la cosidetta sinistra Ds, quella del correntone che fine ha fatto? Dove sono finiti? E’ rimasto il solo Mussi, che con tutto il rispetto, tra quelli era il meno rappresentativo…Gli altri sono tutti belli sistemati…Anche la tua scelta di andare via…mah…Mi avete sempre insegnato in 20 anni di appartenenza che il sistema si combatte dall’interno…nn si fugge…Ora sei lì ad aspettare cosa che ci sia ancora un’altra frammentazione….per andare con chi?? Diliberto, Rizzo, e gli altri di rifondazione? Con loro mai…mai…mai…

  5. Pietro scrive:

    Per Michele: Diliberto e Rizzo sono del Pdci, non di Rifondazione. Io, poi, non ho mai insegnato che “il sistema si combatte dall’interno”, anzi come “ragazzo di Berlinguer” so bene la fatica e il coraggio che richiedo gli “strappi”.

  6. Gianluca Poscente scrive:

    Sono un segretario di sezione che si appresta al suo ultimo congresso dei DS. L’ultima battaglia della guerra contro il progetto P2…ops…PD.
    Se però non si avvierà seriamente un processo unitario a sinistra per rafforzarne le ragioni più che i singoli apparati di partitino io credo che oltre a quella dei DS io e tanti altri stracceremo la tessera elettorale.

  7. elisabetta scrive:

    MIO PRIMO VOTO A SINISTRA IN 15 ANNI CHE VOTO.
    PRIMO E ULTIMO.