Ieri alla Camera si è svolto un dibattito sulla vertenza del contratto dei giornalisti. Riporto il mio intervento in Aula.

Signor Presidente, oggi, con un’iniziativa che non ha
precedenti, il Parlamento si riunisce per discutere del contratto dei
giornalisti e in noi di Rifondazione Comunista – e anche in me come
presidente della Commissione cultura che si è occupata attivamente di questa
vicenda negli ultimi mesi – vi è un assoluto rispetto dell’autonomia dei
movimenti e anche di un libero conflitto, che libero deve rimanere, fra le
parti sociali, perché la democrazia nasce nel conflitto fra le parti.
Tuttavia è indispensabile oggi un forte atto politico del Parlamento e a
questo fine molti di noi – insieme al collega Giulietti, Falomi e Carra -
avevamo presentato sin dalle settimane passate una mozione precisa che
rimane agli atti e che presto dovremo esaminare e votare. Un forte atto
politico del Parlamento che sostenga un forte e deciso atto politico del
Governo che fino ad oggi, con il ministro Damiano, si è comportato con
determinazione – non voglio dirlo in polemica con il collega Testoni – dopo
un lunghissimo periodo di latitanza politica da parte del Governo precedente
e terminato con le elezioni politiche del 2006, affinché si apra quanto
prima e si tenga aperto ad oltranza il tavolo delle trattative. Perché è
indispensabile un atto politico? È indispensabile perché sono messi a
repentaglio dalla prepotenza degli editori – dobbiamo dire le cose con il
loro nome e cognome – valori democratici di enorme rilievo.
La Federazione nazionale della stampa ha parlato persino di emergenza
democratica; infatti, quando per sei giorni consecutivi non ci sono i
quotidiani in edicola – sto parlando del periodo delle festività natalizie,
quando non sono usciti sia per lo sciopero sia per le festività – salvo i
quotidiani per il 90 per cento tutti dell’opposizione di centrodestra, si
verifica evidentemente un enorme problema democratico di pluralismo
dell’informazione nel nostro paese.
Quali sono i valori democratici di enorme rilievo? Il primo: il contratto
collettivo nazionale di lavoro (lo ha detto sia il collega Carra sia il
ministro Damiano); infatti, sono trascorsi due anni dal mancato rinnovo
della trattativa. Quando nell’anno passato dopo lunghi mesi – quasi due
anni – si concluse la vertenza dei metalmeccanici, molti di noi si
impegnarono attivamente per uscire fuori dal silenzio che copriva una
modesta, ma decisa, richiesta dei lavoratori
metalmeccanici di vedere rinnovato il loro contratto. Abbiamo sentito
chiaramente in Commissione cultura – non dico da parte dell’ambasciatore
Boris Biancheri che è un’ottima persona, ma da parte degli oltranzisti della
Federazione degli editori – l’esplicita volontà di cancellare il contratto
collettivo nazionale di lavoro, indicando come esempi tutti gli altri paesi
europei, facendo capire che l’Italia sarebbe un’anomalia.
Certo, l’Italia è una anomalia, insieme forse alla Germania, non solo per i
giornalisti, ma per tante categorie di lavoratori. La contrattazione
collettiva nazionale di lavoro è considerata un ferrovecchio ed il lavoro è
sempre più schiavizzato, debole, precarizzato. Oggi occorrerebbe un
contratto europeo di lavoro per tante categorie ed, invece, in molti paesi,
grandi democrazie, la forza lavoro si contratta individualmente. Così, un
lavoratore diventa un ingranaggio che viene schiacciato da questa macchina
prepotente che vuole massimizzare il profitto e descrive la situazione del
mondo dell’informazione come quella in cui il solo problema è il costo del
lavoro.
In secondo luogo, vi è l’articolo 21 della Costituzione. Noi siamo in
presenza di un contratto collettivo nazionale del lavoro e di una vertenza
in un settore al quale non si può guardare come ad un mero campo economico
regolato dalle leggi del mercato. L’informazione è un bene comune tutelato
dalla Costituzione; si garantisce la libera competizione tra privati in
questo mercato e, tuttavia, tutti i privati che operano in questo mercato
sanno che vi è un limite non superabile, in qualche modo codificato nello
stesso impianto della nostra Costituzione repubblicana.
Ebbene, nel momento in cui viene messo in discussione il contratto
collettivo nazionale di lavoro e le libertà dell’informazione, è del tutto
evidente che si mina un valore molto importante. Infine, tutto ciò avviene
quando gran parte di questi imprenditori ed editori predicano bene e
razzolano male. I loro giornali sono pieni di editoriali che spiegano che
bisogna tagliare il costo del lavoro, avere flessibilità e precarizzazione,
che si è riformisti solo se si distruggono alcune garanzie ed alcune
condizioni. Tuttavia, questi editoriali sono scritti con la mano destra
perché con la mano sinistra si bussa alla porta della Presidenza del
Consiglio, da anni, per avere finanziamenti.
Non me ne dolgo, ho un’altra opinione rispetto a quella del professore
Giavazzi e non sono d’accordo con lui. Penso che l’editoria sia un settore
che merita finanziamenti pubblici proprio perché vi è un bene comune che va
tutelato. Tuttavia, non si possono usare finanziamenti pubblici, come ad
esempio quelli delle tariffe postali per gli abbonamenti. Colleghi, anche
in questo caso, quando si parla di finanziamenti pubblici, non ci si
riferisce al Secolo d’Italia, a l’Unità, ai giornali di partito o a il
Manifesto, bensì ai quattrini che Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, il
Resto del Carlino, la Repubblica, Il Messaggero e tutti grandi i gruppi
privati ricevono dallo Stato.
Io credo nella regola per cui chi riceve soldi dallo Stato è in qualche modo
chiamato ad un supplemento di attenzione rispetto ad un valore fondamentale,
usando una parola un po’ desueta, in questa sorta di ideologia e di «grande
messa» che canta l’impresa come il cuore della società contemporanea.
Tuttavia, il candidato della destra alle elezioni presidenziali francesi,
Sarkozy, nel suo discorso di investitura dell’altro giorno ha detto: io
voglio rimettere al centro la parola «lavoro». Forse questa riscoperta, che
viene anche da culture politiche molto lontane dalle nostre, magari un po’
colbertiane – Presidente Tremonti? – e che mettono in critica una visione un
po’ povera della società e del mercato, prevalsa nel corso di tutti questi
anni, dovrebbe essere tenuta in considerazione.
Le due grandi questioni esistenti in questa situazione sono, da un lato, la
precarizzazione del lavoro giornalistico e dall’altra i fatturati di questi
gruppi. Infatti, se fossimo di fronte a gruppi economici in enorme
difficoltà da aiutare, saremmo in una condizione che non dico
giustificherebbe il mancato rinnovo ma che obiettivamente sarebbe diversa.
Iniziando dal precariato, sono soltanto 12.500 i lavoratori dipendenti nelle
più varie redazioni – dalla stampa ad Internet, dalla TV alla radio – a
fronte di circa 30 mila lavoratori precari. I primi sono dati ufficiali
dell’ordine dei giornalisti, i secondi vengono da una stima sugli iscritti
alla cosiddetta gestione separata dell’INPGI, di cui si è già parlato, dove
versano i contributi tutti i redattori parasubordinati e i collaboratori in
diverse forme.
Gli iscritti alla cosiddetta INPGI 2, alla fine del 2005, sono risultati 22
mila; ma, fra questi ultimi, la vera fascia a rischio è composta da 10 mila
lavoratori che non raggiungono i 700 euro lordi di compensi mensili.
Inoltre, i soli dati INPGI non bastano. Vi sarebbero diverse migliaia di
giornalisti che lavorano senza versare contributi di alcun tipo e che sono
invisibili anche a queste statistiche. È il mondo del lavoro nero e del
pagamento «a pezzo», ancora più sfruttato, ancor più dei contratti dei
co.co.co o dei co.pro.co. A tutto ciò bisogna aggiungere 2.500 disoccupati.
Ora, nel gruppo Riffeser o nel gruppo De Benedetti (tanto per citare due
esempi che possiamo definire bipartisan o, comunque, di colorazioni diverse)
per un pezzo di corrispondenza regionale (noi abbiamo incontrato anche i
lavoratori precari e non solo la Federazione nazionale della stampa in
Commissione cultura) si paga un compenso pari ad un euro e mezzo, due euro e
mezzo o tre euro! Allora, quel ragazzo che deve fare carriera (e che a
trenta, trentacinque o quarant’anni deve ancora fare carriera) potrà essere
un giornalista libero?
Il tema dei diritti dei lavoratori è importante per tutti i lavoratori e,
nella nostra visione, è decisivo nell’ambito di un’idea di coesione sociale;
ma quando si ha di fronte un bene come quello dell’informazione, tutelato
dall’articolo 21 della Costituzione, tale tema riveste ancora maggiore
importanza.
La FIEG ci ha inviato un dossier, in polemica con le nostre affermazioni,
sostenendo che il precariato nel settore giornalistico è pari al 6,22 per
cento, facendo riferimento alla percentuale di contratti a termine fra
coloro che sono stati assunti. Poi, anche loro, però, sono costretti ad
ammettere che 22 mila giornalisti – come ho già detto – ossia oltre la metà
di tutti i giornalisti italiani, sono iscritti al fondo separato.
Quando vi sono tanti giornalisti che vivono con 7 mila euro l’anno si può
legittimamente parlare di una proletarizzazione del lavoro culturale ed
intellettuale che non conosce paragoni nell’epoca recente. Se a ciò
aggiungiamo quanto succede in altri settori del lavoro culturale, ci
rendiamo conto che vi è una generazione, che sta invecchiando, di giovani
talenti e di ingegni, di capaci giornalisti, di creativi, di scrittori e
anche di artisti che si trova a patire la fame, senza alcuna forma di
protezione sociale.
A fronte di tutto ciò – e mi avvio alla conclusione – il mondo
dell’informazione – come il sottosegretario Levi ha giustamente ricordato a
più riprese in Commissione – è attraversato da cambiamenti profondissimi.
Basti pensare a Internet ed alla sfida multimediale, che ha visto la
riorganizzazione di alcuni gruppi, oppure alla free press: il dibattito
francese di queste ore sulla crisi della stampa a pagamento è clamoroso ed
in Francia si registrano similitudini impressionanti.
Tuttavia, i dati sono questi: la pubblicità, da gennaio a settembre 2006, è
in crescita del 3 per cento; la stampa
registra una crescita pari al 4,2 per cento (evidentemente, Internet corre
al 48,8 per cento). I dati di novembre: stampa e pubblicità registrano un
incremento pari al 3,7 per cento ed un fatturato da 1 a 8 miliardi. Per
quanto concerne il gruppo Resto del Carlino-Riffeser-Poligrafici, che
corrisponde i compensi che ho citato prima, vi è un utile netto di 2,7
milioni di euro al 30 settembre scorso. RCS porta i ricavi del 2006 a 2,3
miliardi. Per quanto concerne Caltagirone Spa, vola l’utile a più 119 per
cento: vi sono ricavi in forte aumento con l’espansione all’estero. Per
quanto riguarda il gruppo L’Espresso, il fatturato cresce a più 5,3.
C’è da domandarsi come mai il gruppo Caltagirone, per un verso, e il gruppo
L’Espresso dall’altro, all’interno della Federazione degli editori siano gli
oltranzisti che vogliono impedire il rinnovo del contratto.
Credo che questa ideologia sia volta a rendere la forza lavoro (in questo
caso la forza lavoro intellettuale) mera merce, per potere effettuare
operazioni magari anche di diversificazione: abbiamo sentito parlare di
interessi di alcuni di questi gruppi in tanti campi, dalla privatizzazione
dell’acqua (per quanto riguarda il gruppo Caltagirone) a prospettive di
privatizzazione in altri campi. Tutto ciò a mio modo di vedere merita una
fermissima posizione politica.

Salutiamo con favore il fatto che la RAI, pur non facendo parte della FIEG,
ha rotto il fronte e ha detto di voler concludere il contratto. Saluto con
favore, inoltre, il fatto che anche editori come Grauso – non esprimo alcuna
simpatia – o come un altro editore della provincia di Cremona hanno espresso
le medesime dichiarazioni. Ci auguriamo che anche chi, più timidamente, ha
subito la posizione degli oltranzisti della FIEG si dissoci. Noi andremo
avanti e faremo di tale questione una questione enorme, dato che il
Parlamento dovrà affrontare la riforma dell’editoria. Se questa è la
posizione degli editori, io credo che dobbiamo accelerare il processo che
porta a questa riforma e vincolare sempre più chiaramente la erogazione dei
finanziamenti alla lotta alla precarizzazione del lavoro e all’obiettivo
della stabilizzazione dei lavoratori precari, come riportato nel testo della
mozione che abbiamo presentato insieme al collega Giulietti e ad altri
colleghi.
Da parte degli editori si chiede al Governo fermezza nella trattativa
europea sulla direttiva «TV senza frontiere», fermezza che, in grande
misura, vi è stata contro le impostazioni eccessivamente favorevoli alla
televisione e ad un mercato pubblicitario che travolgerebbe la carta
stampata. Non si può chiedere, però, fermezza e, poi, rifiutare financo di
sedersi ad un tavolo delle trattative con una controparte, la Federazione
nazionale stampa italiana, che ha già dichiarato che tutti i propri punti
sono assolutamente negoziabili.
Per tutte queste ragioni, ribadiamo la nostra piena solidarietà a questi
lavoratori e facciamo della stabilizzazione del lavoro precario nel settore
giornalistico una grandissima battaglia. Chiediamo al Governo di essere
conseguente, nelle prossime settimane. Il ministro Damiano ha tenuto un
comportamento assolutamente ineccepibile, in questi mesi, nel perseguire con
determinazione l’obiettivo di sbloccare la trattativa. Per nostra parte,
anche in sede di Commissione cultura, senza condizionamenti e senza che ciò
possa sembrare ritorsivo, agiremo dal punto di vista legislativo e normativo
perché si dia una concreta mano a tantissime persone, decine di migliaia,
che non riescono a vivere e che fanno la fame, pur avendo studiato e
compiuto tanti sacrifici per poter realizzare una delle più grandi
aspirazioni: credo, infatti, che quello di
giornalista sia uno dei mestieri più difficili, ma anche uno dei più belli,
che ci siano al mondo (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione
Comunista-Sinistra Europea e L’Ulivo).

7 Risposte a “Giornalisti. No al precariato”
  1. Silvestro scrive:

    A proposito di precariato perche non parli più del personale ATA?
    Qualche notizia ce la puoi dare o non ti interessa più il nostro problema?
    Ho ti sei stancato di noi perche ti stiamo scocciando.
    Aspetto democraticamente e gentilmente una tua risposta.
    grazie

  2. Precari Ata scuola scrive:

    Non rispondera mai, perchè i ns posti sono già stati assegnati ad altri della P.A.(tipo lsu, articolist, etc, etc.

  3. Silvestro scrive:

    Allora, vedi che a nessuno interessa, perlomeno dalle risposte (zero) questo si evince.
    Allora dicci qualcosa a proposito del precariato (ATA)della scuola.
    Forse noi qualcosa da dire ce l’abbiamo

  4. Precari docenti e Ata scrive:

    Milano , 24/01/2007
    Appello alla sinistra radicale che tiene in ostaggio il Governo
    ——————————————————————————–
    di Marco Donati

    Se le indiscrezioni riportate dai quotidiani online si riveleranno veritiere il prossimo anno scolastico ci troveremo ad avere 32 alunni per classe (senza compresenze nel tempo pieno).

    Sono passate poche settimane da quando la viceministra Bastico cercava di convincere il popolo della scuola che l’innalzamento dello 0,4 unità per classe non avrebbe sortito nessun effetto nelle città metropolitane ma che serviva per riequilibrare il numero di alunni nelle scuole dei paesini che hanno rapporti docenti/alunni non in linea con le medie europee.

    All’insistenza ridicola dei media che continuano a dipingere questo governo come ostaggio della sinistra radicale vogliamo rispondere per una volta prendendoli sul serio.
    Noi siamo un popolo pacifico, rispettoso dei diritti delle persone.

    LIBERATE GLI OSTAGGI!
    Se proprio non volete liberarli tutti, date una dimostrazione di buona volontà: fate tornare a casa Fioroni e la Bastico.
    Riaccenderete il sorriso sul viso dei loro famigliari e su quello di noi tutti.

    PS. Padoa Schioppa no, voi che potete tutto, lui mandatelo a insegnare in una di quelle classi da 32, composta per l’80% di bambini immigrati, senza facilitatori, senza fondi, senza palestra o giardino.
    E se non produce risultati apprezzabili sotto il profilo didattico, se ci fa fare una brutta figura con l’OCSE bollatelo come “fannullone” ed esponetelo al pubblico ludibrio.

  5. alessandro scrive:

    E’ una vergogna apprendere che 70 mila docenti entreranno in ruolo(Buon per loro per carita’)mentre per gli oltre 90 mila ATA non si sa nulla di nulla,anzi sarebbe da dire che per il Sig.Ministro e per la Viceministro tale tipologia di personale non esista.Vada per il Sig.Ministro che di professione fa il medico ma certamente non vale per la Signora Bastico che e’ professoressa e che oltretutto viene da una esperienza come Assessore alla cultura della Regione Emilia e Romagna,non sanno che esiste questa tipologia di personale. Complimenti vivissimi

  6. alessandro scrive:

    E’ una vergogna apprendere che 70 mila docenti entreranno in ruolo(Buon per loro per carita’)mentre per gli oltre 90 mila ATA non si sa nulla di nulla,anzi sarebbe da dire che per il Sig.Ministro e per la Viceministro tale tipologia di personale non esista.Vada per il Sig.Ministro che di professione fa il medico ma certamente non vale per la Signora Bastico che e’ professoressa e che oltretutto viene da una esperienza come Assessore alla cultura della Regione Emilia e Romagna,non sanno che esiste questa tipologia di personale. Complimenti vivissimi

  7. alessandro scrive:

    E’ una vergogna apprendere che 70 mila docenti entreranno in ruolo(Buon per loro per carita’)mentre per gli oltre 90 mila ATA non si sa nulla di nulla,anzi sarebbe da dire che per il Sig.Ministro e per la Viceministro tale tipologia di personale non esista.Vada per il Sig.Ministro che di professione fa il medico ma certamente non vale per la Signora Bastico che e’ professoressa e che oltretutto viene da una esperienza come Assessore alla cultura della Regione Emilia e Romagna,non sanno che esiste questa tipologia di personale. Complimenti vivissimi