Giovedì sera ci sarò, davanti all’ambasciata iraniana. Più del fastidio per la doppiezza di molti dei partecipanti –a cui con evidenza interessa poco del regime iraniano e persino di Israele, ma importa la demonizzazione del pacifismo- e per la strumentalità della convocazione di questa iniziativa –non poteva, Giuliano Ferrara, telefonare a Sansonetti, o a Polo, o a Padellaro per promuovere insieme la fiaccolata?- in me è forte, persino lacerante il bisogno di opporsi qui ed ora, con la forza delle idee, della ragionevolezza, della contestazione civica e democratica al fascismo di Teheran. Ci sono già stato, altre volte, sotto quell’ambasciata, e non posso non essere di nuovo lì davanti. Sì: quello di Teheran è autentico fascismo islamico. Col benestare distratto dei campioni occidentali dell’esportazione dei diritti umani –poiché alla Borsa dei Valori Occidentali di Washington il nemico dopo l’11 settembre era diventato Saddam, uno dei pochi despoti laici rimasti nei paesi musulmani- non un dito è stato alzato contro la feroce repressione degli studenti che avevano preso la parola. Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, in Italia è stata accolta in modo imbarazzato dai responsabili istituzionali. Nelle ultime elezioni-farsa sono state cancellate e impedite centinaia di candidature, e lo pseudo-riformismo iraniano di Katami –a cui anche la sinistra moderata aveva precipitosamente aperto linee di credito- si è dimostrato la facciata di cartapesta del fascismo iraniano. Gli intellettuali, le donne, gli oppositori radicali, come i mujaheddin del popolo, vengono ammazzati, incarcerati, torturati in un regime in cui non vige lo stato di diritto.
Gli Usa e l’Europa hanno immense responsabilità in questo stato di cose. E soprattutto la “coalizione dei volonterosi”, col disastro combinato con la guerra irakena, ha spostato ulteriormente a destra l’asse dell’Iran, e gli ha aperto un’insperata opportunità strategica nel sud sciita irakeno.
Quell’ “Israele va cancellato dalla carta geografica” riporta le lancette indietro di decenni, e avviene quando Sharon, non senza contraddizioni e stop and go all’Assemblea dell’ONU dice, finalmente, “due popoli, due stati”. Il fascismo iraniano è nemico del dialogo, della pace, della trattativa, degli interessi del popolo palestinese: per fanatismo ideologico, per conquistare consensi in fasce disperate, gioca al “tanto peggio, tanto meglio”.
Bertinotti ha ragione quando dice che questa manifestazione avrebbe dovuto promuoverla la sinistra. Non l’ha fatto, forse perché è difficile districarsi in quell’oceano simbolico e materiale che è la questione mediorientale, in cui si incrociano la memoria dell’olocausto e la cronaca dell’antisemitismo, la sfida democratica per l’Islam –di cui hanno scritto mirabilmente Fouadi Allam e Fatema Mernissi – e il nuovo fondamentalismo cristiano e occidentale. E soprattutto la percezione del tempo limitato che, dopo decenni di sofferenze, di oppressioni, di speranze e di delusioni ha il popolo palestinese. Ora che la spirale del terrore sembra rallentare, ora che anche la tragica illusione della salvezza che viene con la morte –come racconta la storia di Khaled e di Said in Paradise Now-, ora che, come avverte Yehoshua ne Il responsabile delle risorse umane, si fa strada un nuovo bisogno di riparazione, proprio ora torna la politica. La nonviolenza come visione politica del mondo è ancora di pochi –anche qui, nella sinistra italiana- e la sfida di una nuova sinistra di trasformazione, radicale e nonviolenta, ci parla del bisogno di un nuovo vocabolario, di nuove parole, di nuovo senso. Nella giostra politicista –fragile, maestra di tattica e povera di prospettive- oggi invece si aderisce a un corteo, e domani si polemizza con l’”antipoliticità” di chi pensa che in Cina i diritti umani vadano rispettati, prima di tutto dagli investitori occidentali.
Comprendo le ragioni per cui Bertinotti e il PRC non aderiscono; e so che insieme stiamo lavorando perché si esca dalla politica debole, e si fondi una universale, potente, democratica cultura condivisa dei diritti umani, capace di darci ragioni, strumenti, modalità per agire che escludano il ricorso alla forza. Vorrei quindi che si comprendesse anche la mia scelta. Non voglio che la bandiera della lotta all’antisemitismo sia lasciata in mani improprie: per me è una sola lotta al fascismo iraniano, a tutti i fondamentalismi che insaguinano il mondo –compreso quello teocon di Bush-, alla teoria e alla pratica della guerra. Anni fa era questo il nostro intento quando, al primo Time for peace, abbiamo circondato con una straordinaria catena umana la città vecchia di Gerusalemme. Poi, qualche anno dopo, è ricomparsa la bandiera della pace. L’abbiamo fatta sventolare dappertutto, in tutti i climi, in tutte le condizioni. Non è poi così male se qualcuno la farà sventolare giovedì sera, se qualcuno porterà un cartello con su scritto “due popoli, due stati”. E se qualcuno dirà radicalmente il suo no al fascismo iraniano e a ogni regime totalitario e il suo no alla logica e alla pratica della guerra e della violenza.

(testo di un mio articolo uscito oggi su Liberazione)

2 Risposte a “Peace now”
  1. gianluca poscente scrive:

    Condivido la tua posizione.
    Per molti sarà la prima volta davanti a quell’ambasciata, ma ricordo che per altri l’ultima volta è stata per la lapidazione di studenti omosessuali. Ferrara non si vide allora e neanche scrisse nulla.
    Nel frattempo però l’esercito israeliano ringrazia della solidarietà uccidendo un bambino palestinese di 12 anni. Vorrei che insieme a Israele si affermasse il diritto di questi bambini a non essere cancellati dalla faccia della terra e a vivere in pace.
    Un caro saluto.

  2. gabriele scrive:

    credo che sia giusto partecipare a simile manifestazione; non vorrei che si ripetessero gli stessi errori commessi con l’intervento in iraq. credo che sia altresì fondamentale la partecipazione della sinistra radicale, per cui compagni venite in massa. io ci sarò, gabriele