

Linke (senza aggettivi) !
Scritto da: Pietro Folena in EuropeiGlobali, Politica nazionaleLe elezioni tedesche sono state interpretate in Italia nei modi più bizzarri. Il centrodestra, con un contorcimento logico a dir poco acrobatico, cerca di dimostrare contemporaneamente che la destra ha vinto ma che la sinistra, al governo, è riuscita a recuperare e che quindi la maggioranza di centrodestra potrebbe fare altrettanto in Italia. In parte della sinistra, poi, (basta leggere “il Riformista”) si cerca di accreditare la tesi che l’Spd ha “vinto” grazie al suo profilo riformista e che la socialdemocrazia (tedesca e non solo) è viva e vitale.
I più onesti intellettualmente (penso a Pierluigi Bersani) hanno però ammesso che da Berlino arriva perlomeno un “campanello d’allarme” per i riformisti. Io direi ben più che un campanello: la grande novità delle elezioni tedesche, i veri vincitori di una scommessa politica, sono le compagne e i compagni del Linkspartei.
Oskar Lafontaine e Gregor Gysi sono riusciti ad aggregare intorno alla “Linke” lo scontento di sinistra nei confronti nelle politiche liberali del “neue mitte” di Schroeder. Hanno indicato una strada socialista originale, che non è il comunismo (soprattutto non è il comunismo della vecchia Sed), ma non è neppure la socialdemocrazia sbiadita dell’Spd. Il quasi 9% della Linke è una novità assoluta nella patria del socialismo “moderato”, in un paese in cui non c’era una grande tradizione comunista democratica come in Italia o in Francia (all’Ovest il partito comunista era bandito per legge, all’Est vigeva un regime oppressivo). Soprattutto, è stata l’unico argine alla annunciata vittoria della coalizione Cdu-Fdp: senza il Linkspartei non ci sarebbe stato nessuno a raccogliere i voti in uscita dalla Spd che sarebbero finiti nell’astensionismo, mentre grazie al partito di Lafontaine e Gysi la sinistra tedesca, nel complesso, ha oltre il 50% dei consensi.
“Die Linke”: la sinistra. Wasg e Pds non potevano scegliere nome migliore per presentarsi alle elezioni. La sinistra “senza aggettivi” (come con Genovesi e Nerozzi abbiamo titolato un libro che cerca di porre il problema di uscire dagli schemi novecenteschi). La sinistra che non ha bisogno di caratterizzarsi per un tratto distintivo (riformista, socialdemocratica, comunista…) perché è cosciente che queste sono parole che guardano più al passato che al futuro. Parole eredi di grandi tradizioni certo, ma, appunto, troppo tradizionali nella società della globalizzazione.
Sarebbe sbagliato negare che in questi anni il campo riformista non abbia tentato una risposta alla fine del modello fordista. E’ accaduto che la socialdemocrazia, il riformismo, hanno cercato di “assecondare” la precarietà, pensando così di essere più “moderne” e al passo con i tempi. In realtà hanno così rinunciato alla loro funzione, o almeno alla funzione che gli elettori, dalla seconda metà degli anni ’90, hanno loro affidato: quella di rappresentare, cioè di portare nella politica, gli interessi, le aspettative e la voce della larga parte degli europei che si sentivano (e si sentono) minacciati. La sinistra che prometteva un nuovo welfare in molti casi lo ha riformato restringendo i diritti di chi già era protetto e non allargando la platea dei tutelati.
L’Agenda 2010 di Schroeder, il programma di Tony Blair sono figli di questa impostazione. Anche le politiche del centrosinistra italiano, negli anni ’90, si sono accostate a tale logica. Per questo tutte e tre sono state sconfitte nelle urne (Blair è rimasto in sella a Downing Street, ma raggiungendo i minimi storici nel consenso popolare). Per questo, in Germania, come nel resto d’Europa, cresce la sinistra che non ha rinunciato a difendere in primo luogo gli interessi di chi rischia di perdere la gara del turbocapitalismo. Ora questa nuova sinistra (radicale nel suo progetto di cambiamento, riformatrice, democratica, pacifista, nonviolenta e libertaria nell’azione politica) è chiamata dalle elezioni tedesche ad un salto di qualità. Il progetto della Sinistra Europea prende forza e ora se ne comprendono più a fondo le ragioni. Si apre una stagione nella quale le forze che si collocano a sinistra dei riformisti hanno bisogno di trovare forme nuove di agire e di unirsi.
Per questo noi di “Uniti a sinistra” guardiamo con grande interesse all’esperienza della Linke tedesca, nella quale sono confluiti un partito radicale come la Pds e una nuova formazione (la Wasg) che ha le sue radici nella sinistra della socialdemocrazia e nel sindacato. Un progetto non identico ma molto simile a ciò che stiamo mettendo in campo cercando di dare risposta alla domanda di sinistra manifestatasi con i grandi movimenti di questi anni. Serve davvero questa nuova sinistra. Ma per farla non bastano le aggregazioni elettorali, le “biciclette” (come quella tra Verdi e Pdci) che mettono tra parentesi le divergenze strategiche (basti ricordare che Pecoraro Scanio presentò la sua candidatura alle primarie come “anticomunista”) per rispondere all’immediato problema elettorale di superare la soglia di sbarramento. Occorre al contrario procedere “dal basso”, dalla sinistra diffusa, dai movimenti, dal sindacato. Porsi l’obiettivo di far nascere, a sinistra, una nuova soggettività politica e una nuova cultura politica figlia di questo secolo e non di quello passato.
E’ un progetto ambizioso e di più lungo termine rispetto alle scadenze elettorali. Nel nostro piccolo stiamo cercando di portarlo avanti con ottimi riscontri sul territorio, in settori del sindacato e dei movimenti. Perché, non per retorica ma per convinzione, pensiamo che in questi luoghi può nascere la sinistra di cui c’è bisogno.
22 settembre 2005 alle 14:05
Poche righe di commento, poiché concordo con molte cose scritte da Folena. Solo un piccolo approfondimento che riguarda lavoro comune e tempi di aggregazione. Infatti, sul sito della Die Linke-PDS tedesca, si può leggere che le due aggregazioni, prima hanno discusso e lottato assieme, nelle piazze, contro i progetti di Schroeder di tagli allo stato sociale, e così sono arrivati ad un lavoro comune. Lavoro che proseguirà per altri due anni, con la strutturazione binaria dei vari esecutivi, ad esempio il gruppo parlamentare avrà due copresidenti, uno della Wasg e uno della PDS. Alla fine dei due anni, poi, sarà formalizzato con un Congresso fondativo il processo di fusione nella Die Linke.
Tutto questo per dire dell’esempio che arriva dalla Germania, paese di secolare avanguardia delle sinistre, dove i percorsi comuni si costruiscono sul serio, senza almanaccare di liste arcobaleno e di continui ed estenuanti confronti/scontri velati tra i gruppi dirigenti. Ma questa è un’altra storia, e purtroppo è storia nostra……perciò guardiamoci bene dal ceto politico autoreferenziale (penso all’articolo con intervista a GP Patta, letto oggi su Avvenimenti)…
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