Una mia riflessione sulla vicenda politica anomala dell’Italia, nel numero 18 della rivista Infiniti Mondi in distribuzione in questi giorni

1. Il sistema politico italiano, dopo più di due decenni di
fortissima instabilità, e di una contrapposizione frontale,
reciprocamente delegittimante, si trova da qualche mese in
una sorta di sospensione. E’ come se un lungo torneo, in cui
negli anni sono cambiati i protagonisti, all’improvviso fosse
stato interrotto, e quasi tutte le forze in gioco avessero
iniziato, sotto la felpata guida di Mario Draghi, un altro gioco.
E’ abbastanza sorprendente quanto è successo in alto,
proprio quando in basso la pandemia cambiava radicalmente
la vita, e faceva precipitare le ragioni di una vera e propria
crisi di civiltà, accumulatesi negli anni della globalizzazione
senza regole. La società è in subbuglio, come non mai. E’
potenzialmente luogo di conflitti senza precedenti, e
sicuramente luogo di sofferenze, solitudini, rancori. Altro che
fine dei populismi: diffidavo di questa semplicistica previsione
un anno fa, quando i più, nella prima fase epidemica, la
facevano. Il limitato radicamento sociale delle principali forze
politiche – e quello inesistente delle minori- lascia un grande
vuoto, che si riempie facilmente alla ricerca di qualcosa o
qualcuno da odiare. Sul razzismo, accompagnato da una
rivalutazione del ventennio fascista in atto ormai da un lungo
periodo, si è assolutamente passato ogni livello di guardia. La
cronaca più recente ci consegna quotidianamente episodi
odiosi.
2. In questo contesto, almeno nel breve-medio periodo, Mario
Draghi funziona da tranquillante. La tecnocrazia gentile che
lo contraddistingue -con un tratto di continuità con le
esperienze di vent’anni fa di Giuliano Amato e di Carlo
Azeglio Ciampi- non spegne i fuochi della rabbia, ma

accompagna e in qualche modo addormenta le tensioni che
potrebbero trasformarsi in conflitti. La gestione delle
vaccinazioni, affidata a un militare, Francesco Paolo
Figliuolo, è apparsa sostanzialmente impeccabile, e ha
permesso di gestire le riaperture delle attività, per le quali forti
tensioni di piazza si erano manifestate, con saggezza e
prudenza.
Se devo trovare una somiglianza con leader politici del
passato, più che in Amato, tecnico socialista, o in Ciampi,
azionista e banchiere, la trovo in Giulio Andreotti. Misura
nell’uso delle parole e degli interventi, forte riserbo sulla vita
privata, attenzioni sociali di scuola democristiana -si veda il
capitolo relativo alla mediazione sul blocco dei licenziamenti-,
una forte religiosità, non ostentata in forme integraliste e,
soprattutto, l’attenzione alle nuove esigenze dettate dalla
scena internazionale, favorita dalle importanti relazioni
internazionali dell’attuale premier. La convinta spinta e
adesione di Draghi alla decisione di avviare una forma di
tassazione alle grandi multinazionali richiama molto la
capacità di Andreotti di muoversi oltre i confini di una stretta
obbedienza atlantica. E’ vero che questo avviene sulla scia
dell’azione sociale del Presidente americano Joe Biden, ma
non si può negare che l’Italia di Draghi si muova a suo agio in
questo contesto nuovo. Draghi, quando guidava la Banca
Centrale Europea, aveva già dimostrato nerbo nel resistere
alle posizioni conservatrici di una parte dei tedeschi e dei
nordeuropei.
A Draghi di Andreotti manca sicuramente la professionalità e
la finezza del politico di lungo corso. E anche quel di più di

capacità di intrigo e di connessioni oscure che ha
rappresentato la forza e al tempo stesso la debolezza del
leader democristiano. Ma Draghi, in più di Andreotti, ha una
forza tecnocratica internazionale che ne fa oggi uno degli
uomini di governo più ascoltati.
3. In qualche modo, quindi, la sospensione del sistema
politico italiano è stata una forma di commissariamento
morbido da parte dei soggetti forti dell’economia nazionale e
europea. Non nel senso che il commissariamento aveva
avuto all’epoca della crisi della Grecia e degli interventi della
troika: non solo perché si tratta di un auto-
commissariamento, non imposto da nessuno ma semmai
dettato dall’incapacità delle forze politiche di rispondere alle
nuove sfide, ma anche perché il contenuto, nel nuovo
contesto della crisi pandemica, è espansivo, e non rigoristico.
Questa sospensione prende la forma di una tecnocrazia
gentile, consociativa, mediatrice, capace al fine di
raggiungere il proprio obiettivo, di fare concessioni e di
trovare mediazioni. Non una tecnocrazia contro i partiti, e che
cavalca sentimenti antipolitici -come fu anche in un recente
passato-: ma una tecnocrazia con i partiti, che prende atto
della loro intrinseca fragilità e che ne ha bisogno per le
proprie finalità.
4. La ragione della nascita di un governo tanto anomalo nel
contesto europeo -unico nel suo genere, capace di fondarsi
su europeisti e sovranisti, altrove radicalmente contrapposti-
sta nella gestione delle risorse che l’Italia ha acquisito
nell’ambito del Recovery Fund, il Next Generation EU. Il
Governo Conte- bis aveva strappato un risultato importante in

ragione del modo in cui l’Italia, aggredita per prima dalla
pandemia, ha reagito; ma anche perché l’Europa sa bene
che non può esistere senza l’Italia. La crescita italiana
bloccata da anni e l’enorme indebitamento pubblico
nazionale rappresentano per l’Europa uno dei principali fattori
di rischio. Mettere molte risorse sull’Italia, e avere garanzie
sulla loro gestione è stato un passaggio vitale per l’Unione.
Queste garanze non sono venute. Il Governo Conte ha
cercato di operare in autonomia dai soggetti forti, ma non ci è
riuscito. Ha lasciato che si sedimentasse, in quella parte di
capitalismo nazionale che vive attorno al sistema pubblico, e
che possiede il controllo dell’informazione, un clima di
sfiducia e di irrisione. Questo scontro è stato gestito nel
chiuso del Palazzo, senza renderne chiare le ragioni ai
cittadini. Gli Stati Generali dell’estate scorsa, nel chiuso di
Villa Doria Pamphilj, furono una grande occasione mancata.
Lì ha cominciato a venir meno la forza del Governo. Sarebbe
servito un processo partecipativo e territoriale reale, unico
possibile contrappeso al bombardamento mediatico
quotidiano e agli appetiti crescenti dei grandi gruppi finanziari
e editoriali del Nord. Conte così si è consegnato alle manovre
nella maggioranza e alle incursioni di chi operava per nuovi
scenari.
Scrivo questo non perché pensi a un complotto -i poteri forti-
di cui Draghi rappresenta lo strumento. Si tratterebbe di
un’evidente idiozia. Scrivo questo perché il punto di
compromesso che si è costruito attorno a Draghi è molto più
in grado di tener conto e di rappresentare gli interessi

dell’economia del Nord, e soprattutto quelli dei suoi soggetti
più forti.
Alla gestione elitaria e senza popolo del PNRR da parte della
vecchia maggioranza giallo-rossa, si è preferita una gestione
altrettanto elitaria, più professionale ma soprattutto più
mediatrice fra interessi come quella di Draghi.
5. Il Partito Democratico, i Cinque Stelle e la sinistra hanno
subìto una durissima sconfitta in questo passaggio. La loro
alleanza dall’alto, teorizzata dagli strateghi dell’alleanza, si è
sciolta in pochi giorni, dopo i goffi tentativi di acquisire
qualche sostegno parlamentare trasversale. Le dimissioni di
Nicola Zingaretti, l’elezione immediata di Enrico Letta -
accompagnata da dichiarazioni di rifondazione-, l’ingresso di
Conte nel M5S e le sue difficoltà ad assumerne la leadership
raccontano una situazione che avrebbe meritato un dibattito
severo e attento su quanto fatto e su quello che si deve fare.
Tutto invece si è compiuto in forma anestetizzata, fino,
appunto, alla sospensione.
Diciamo la verità: non ci aspettavamo chissà cosa. Negli anni
scorsi, dopo Matteo Renzi e la sua crisi, l’elezione di
Zingaretti aveva animato forze e persone lontane dalla
politica, disponibili ad un nuovo progetto aperto. Nulla è
invece successo, e occorre prendere atto della nuova
occasione perduta. Il tatticismo e il governismo -l’incapacità
di pensarsi se non come forza di governo- hanno cambiato la
natura del PD, non so se in modo irreparabile. Non ci sono
realistiche alternative al tentativo di condizionare sulle
questioni sociali, sui temi del lavoro, sul futuro del
Mezzogiorno -di cui si parla molto poco-, sulla centralità

dell’ambiente l’opera dell’attuale Governo. Quanto PD e
sinistra appaiono reattivi su temi civili, sembrano invece nel
complesso fragili su quelli sociali, sui quali in molte occasioni
si sente di più la voce della destra. La crescita del partito di
Giorgia Meloni, in concorrenza con la Lega salviniana,
sembra inarrestabile, proprio perché sempre ancorata a
questioni sociali. Meloni appare una voce che interpreta i
sentimenti del basso, pur in assenza di proposte e di una
strategia.
6. Mai come in questo momento ci sarebbe necessità di una
sinistra del tempo nuovo. Dal tema dei brevetti dei vaccini e
dei farmaci a quello della tassazione delle grandi
multinazionali, il campo d’azione è già segnato. Sono passati
vent’anni dal G8 di Genova, quando una nuova generazione
contestava l’ingiustizia della globalizzazione , che la sinistra
del passato si ostinava invece a non vedere. Ma non c’è stata
la capacità di esprimere politicamente in modo compiuto quel
punto di vista.
Il processo trentennale, seguito al 1989 -di cui ho
recentemente trattato nel mio Servirsi del popolo (La Nave di
Teseo, 2020)- si è così definitivamente esaurito. Ho parlato io
stesso, anche su queste pagine, di evaporazione.Tanto la
forza principale, il PD, con un’identità culturale e ideale
sempre meno marcata, al punto di riuscire a transitare senza
traumi prima in una maggioranza politica con la forza che di
più l’ha aggredita e poi nella maggioranza col partito più
avverso per antonomasia, la Lega di Salvini, quanto le forze
minori, sempre più piccole ridotte parlamentari della sinistra
di altri tempi, non sembrano avere energie vitali (prima

ancora che politiche) per avviare un percorso nuovo. Né
credo che abbia senso immaginare che dai “movimenti” -
anch’essi in difficoltà, e alla ricerca di nuove strade – la spinta
decisiva per aprire un processo nuovo. Basti pensare alla
crisi delle sardine.
Le elezioni locali del prossimo autunno potrebbero essere
l’occasione -così com’è successo in altri paesi in cui la
sinistra è in grande difficoltà- per veder nascere aggregazioni
di tipo nuovo. Al momento si fa tuttavia fatica a vedere segni
in questa direzione.
Occorrerebbe forse che alcune donne e uomini, personalità
indipendenti, rappresentative e prestigiose si facessero
carico di una proposta, da presentare ai partiti, ai movimenti,
alle forme associative diffuse, al mondo della cultura e delle
professioni. Una sinistra federale e federativa, a guida
femminile, inclusiva, capace di accendere entusiasmo e
voglia di partecipazione, segnata dall’esperienza dei giovani,
oltre l’anestesia di questo tempo. E che questo avvenisse
prima di tutto immaginando una potenza comunicativa,
nell’era della tv e della radio streaming, che aggreghi le tante
forme diffuse di informazione. Una sorta di app di chi si
riconosce in alcuni valori fondanti -antifascismo, femminismo,
democrazia, lavoro, beni comuni- e che dà, nell’epoca della
comunicazione globale, uno spazio comunitario e identitario a
milioni di donne e uomini che non si sentono rappresentati.
Occorrerebbe, appunto, questo ed altro.

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