Archivio per novembre 2013
Comunque vadano le cose, in questi giorni si produrrà una svolta politica. Non mi riferisco solo alle conseguenze del voto, previsto per stasera, relativo alla decadenza da senatore della Repubblica di Silvio Berlusconi, e del previsto passaggio di Forza Italia all’opposizione. Mi riferisco soprattutto a cosa si produrrà nel Partito Democratico col voto dell’8 dicembre.
Il “finish” pronunciato da Matteo Renzi, a metà tra una pubblicità della Dixan e un anatema di Beppe Grillo, racconta più di ogni ragionamento la determinazione di andare a votare nella prossima primavera. Ma quello che è certo è che la svolta di cui c’è bisogno riguarda il lavoro e l’eguaglianza. Il PD dovrebbe fare, né più né meno, quello che la SPD ha fatto in queste ore in Germania. Angela Merkel è stata costretta a delle concessioni di grande rilievo, per poter varare la Grosse Koalition. La prima riguarda l’istituzione del salario minimo, novità assoluta per la Germania e cavallo di battaglia della sinistra in campagna elettorale, che viene fissato a 8,50 euro l’ora a partire dal 2015. L’obiettivo è sostenere i redditi da lavoro più bassi e stimolare i consumi interni, come chiesto a Berlino dalla Commissione europea e da diversi governi Ue, e anche dall’Ocse e dal Fmi. In Germania 5,6 milioni di persone, pari al 17% dei lavoratori dipendenti, guadagna attualmente meno di 8,50 euro l’ora. La seconda vittoria socialdemocratica riguarda i miglioramenti nel trattamento pensionistico dei lavoratori a più basso reddito e la possibilità di andare in pensione a 63 anni anziché a 67 per chi abbia già 45 anni di contributi. Esattamente la direzione di marcia opposta rispetto a quella della legge Fornero, difesa a spada tratta da Matteo Renzi. (continua…)
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L’altra sera, in una trasmissione trash, Matteo Renzi ha annunciato che se diventerà segretario pretenderà disciplina da chi sarà in minoranza. Troppo facile osservare che pretende un comportamento che in questi due anni, appoggiato da poteri mediatici imponenti, Renzi non ha garantito. In televisione, quasi ogni sera, i fan e le adoratrici del Sindaco di Firenze, usano un “noi” che si riferisce non al Partito Democratico ma al Partito personale di Renzi che ha celebrato il suo Congresso senza simboli alla Leopolda. Ancora in queste ore, sul caso Cancellieri, si assiste alla tipica doppiezza, di vecchia scuola dorotea, di tirare il sasso e di ritirare la mano.
Ciò che conta, tuttavia, non è quello che è stato, e quanto il PD abbia passivamente tollerato un vero e proprio partito nel partito. Ma quanto Renzi ora vorrebbe imporre. Obbedienza al Capo e disciplina. Una delle ragioni principali per cui sostengo Gianni Cuperlo, ragione che scaturisce dall’ età e dall’ esperienza, (ne ho viste tante, e ho combattuto a viso aperto le posizioni moderate che si sono imposte prima nei DS e poi col PD, subalterne al credo liberista), è il fatto che sono certo che se Cuperlo diventa segretario il PD, come tutti i partiti socialisti europei, e come i democratici americani -nel quale convivono liberisti e trotskisti, liberal e moderati- sarà un partito plurale. Plurale, non un bazar confuso. Nel quale in Parlamento, salvo i casi di coscienza, si vota in modo comune (a differenza dallo spettacolo vergognoso fornito nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica) dopo aver discusso e votato nei gruppi parlamentari, e si difende l’orgoglio e l’onore del Partito. Ma nel quale vivrà una sinistra sociale, plurale, organizzata, capace di avanzare proposte e idee concrete, come quelle che hanno fatto vincere a New York City Bill De Blasio, agli antipodi dei tardo-blairiani in salsa nostrana che vogliono colpire le pensioni, contrapporre i giovani agli anziani, liberarsi dai sindacati e dai corpi intermedi, lasciare mano libera al mercato. Questa sinistra sociale, con Cuperlo segretario, collaborerà per imporre una rapida svolta a sinistra del Governo, oppure chiederà’ di girare pagina e di tornare al voto. Ma questa sinistra sociale, è bene che chi invoca preventivamente obbedienza lo sappia, sarà organizzata, forte, visibile anche se Renzi diventa segretario.
Un conto sono gli errori gravi, e anche gravissimi, fatti da una sinistra che ha rinunciato a sé stessa negli anni del pensiero unico liberista. Un altro conto è immaginare che in questo Paese si possa vivere senza un’autonomia politica, culturale, finanziaria della sinistra. Non è che, dopo vent’anni di partito-impresa di Silvio Berlusconi, vogliamo ora aprire altri vent’anni di un partito-impresa di Carlo De Benedetti e del gruppo Repubblica.
Pietro Folena
L’altra sera, in una trasmissione trash, Matteo Renzi ha annunciato che se diventerà segretario pretenderà disciplina da chi sarà in minoranza. Troppo facile osservare che pretende un comportamento che in questi due anni, appoggiato da poteri mediatici imponenti, Renzi non ha garantito. In televisione, quasi ogni sera, i fan e le adoratrici del Sindaco di Firenze, usano un “noi” che si riferisce non al Partito Democratico ma al Partito personale di Renzi che ha celebrato il suo Congresso senza simboli alla Leopolda. Ancora in queste ore, sul caso Cancellieri, si assiste alla tipica doppiezza, di vecchia scuola dorotea, di tirare il sasso e di ritirare la mano. (continua…)
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E alla fine, come in una favola, il buon Matteo tornò democristiano. Lo scrivo senza spocchia, e con grande rispetto per la storia di un grande partito popolare. L’innovatore, il rivoluzionario, il rottamatore nel voto dei circoli del PD non conquista i ceti urbani e le aree dinamiche: ma ottiene risultati bulgari in aree più tradizionali, accompagnati da un massiccio schieramento di pezzi dei vecchi sistemi di potere per lui. Non parlo solo delle tessere fatte a pacchetti nelle settimane passate: ma di un profumo di anticomunismo, inconfondibile, che fu la leva fondamentale della vittoria del centrodestra nel 94, e che oggi viene agitato nel PD. (continua…)
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Tutto ci si poteva aspettare, ma non l’ondata di polemiche, da Beppe Fioroni a Pierluigi Castagnetti a Enrico Gasbarra, per l’enfasi con cui da Guglielmo Epifani è stato annunciato il prossimo Congresso del Partito del Socialismo Europeo a Roma, nella prossima primavera. Sinceramente il percorso segnato prima dalla costituzione del Gruppo al Parlamento Europeo dei Socialisti e dei Democratici, e poi dall’apertura operata dalla più antica forza della sinistra europea, la SPD, verso un’alleanza dei progressisti, sembravano rendere del tutto naturale -anche se tardivo e un po’ obtorto collo- l’ingresso a pieno titolo del Partito Democratico nel PSE. Centinaia di circoli si sono espressi ancora in questi giorni, malgrado le ingessature correntizie del Congresso, in questo senso, come proposto da un ordine del giorno presentato dal Laboratorio Politico per la Sinistra e come suggerito dalla Costituente delle Idee che abbiamo promosso con Vannino Chiti, Cesare Damiano, Mimmo Lucà. (continua…)
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Quando mi sono iscritto alla FGCI -non venivo da una famiglia comunista, e i miei fratelli erano più a sinistra del PCI-, ho cercato l’indirizzo sull’elenco telefonico e, col cuore in gola, ho suonato al campanello. Sono entrato in una comunità, una specie di famiglia, che ha accompagnato una parte importante della mia vita. Ci emozionava il Gramsci dell’Ordine Nuovo: “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.La mia è l’esperienza di tante di tanti: che sentivano e vivevano l’iscrizione come un atto importante della propria vita, una scelta libera, di parte, impegnativa. Ancora con dolore lacerante ho lasciato la tessera dei DS quando è stata fatta la scelta del PD; così come la tessera del PD, dopo anni vani di ricerca di strade nuove, l’ho fatta non a cuor leggero, pensando che -come oggi può succedere- questo debba diventare il nuovo grande partito della sinistra plurale. (continua…)
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