Archivio per giugno 2013

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La navigazione a vista del Governo Letta prosegue, fra mille ostacoli. Il topolino partorito sul lavoro, forse senza alternative, in assenza di risorse, si accompagna con la sospensione dell’aumento dell’IVA, per tre mesi, nelle ore in cui il Partito Democratico, e poi la maggioranza, sospendono anche l’autorizzazione all’acquisto degli F35. Questo oggi passa il convento.

E’ evidente la sproporzione tra Piazza San Giovanni, sabato scorso, e il vuoto di rappresentanza politica che oggi ha il lavoro nelle sue diverse forme, con le brucianti domande di sicurezza e di garanzie che propone. Così come sono sotto gli occhi di tutti gli strettissimi margini europei e interni di azione della “strana” maggioranza e del Governo. Sui margini europei, vedremo se il vertice europeo produrrà qualche risultato più consistente del previsto. Non nascondo un certo scetticismo. Mi permetto di suggerire ad Enrico Letta di avviare contestualmente una forte iniziativa coordinata dell’Europa meridionale e mediterranea, che ponga il problema alla Germania e ai paesi del Nord Europa di fare nel Mediterraneo un’operazione analoga a quella che dopo l’89 si fece verso l’Est europeo. Un altro ciclo economico italiano di crescita sostenibile è infatti ipotizzabile solo se il motore dello sviluppo in questa parte del mondo sarà a cavallo tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di liberare risorse europee e nazionali, oltre i vincoli dell’austerità, per questo progetto che è anche un interesse tedesco e nordeuropeo. (continua…)

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Di seguito la mia relazione al seminario di ieri presso la Direzione del Pd, promosso dal Laboratorio Politico per la Sinistra, da Lavoro e Welfare, da Politica e Società, dai Cristiano Sociali e dalla Fondazione Bruno Buozzi

Con il ballottaggio a Roma e in tutte le altre città non solo si è giocato il destino di comunità territoriali, ma si è verificata la vitalità di un’idea di centrosinistra, in un quadro bipolare, che ha profondamente segnato l’Italia, non solo negli ultimi vent’anni, e che oggi si misura col governo “strano” col centrodestra.
Avviamo oggi una discussione che coinvolge associazioni espressioni di un pluralismo di idee. Già questa è una buona notizia, in un periodo in cui la frammentazione correntizia e micro-correntizia è divenuta patologica. La presentazione di un ordine del giorno all’ultima Direzione, sottoscritto da esponenti di aree diverse, che proponeva prima della scelta del segretario una Costituente delle idee, è un fatto importante. Non abbiamo una visione negativa di una forza plurale, in cui si organizzano tendenze e correnti di pensiero, in forme democratiche e trasparenti. Chi promuove questa discussione, e propone che nei prossimi giorni la proseguiamo in forma pubblica -l’idea è il 21 giugno-, ha sostenuto candidati diversi all’ultimo Congresso e fatto parte di aree differenti, oppure -come chi parla- solo più recentemente si è avvicinato al Partito Democratico, o ancora come tanta sinistra diffusa che, senza essere entrata nel Pd,ma avendolo votato, vorrebbe ora contribuire in prima persona a un corso nuovo.
Vogliamo verificare se esistano le condizioni perché, attorno alle idee di una rottura col paradigma neo-liberista che ha dominato negli ultimi vent’anni, condizionando e talvolta plasmando l’azione delle forze progressiste, e a quelle della centralità del lavoro, di idealità socialiste, ambientaliste e dei beni comuni, di ispirazione cristiano sociale, si possa pensare a un “programma fondamentale” del Partito Democratico, che ne ridefinisca natura, missione, forma organizzata.
Un programma fondamentale e due no
Il riferimento al Congresso rifondativo della SPD a Bad Godesberg non è casuale. Allora la socialdemocrazia tedesca abbandonava dogmi marxisti, ed elaborava una strategia riformistica che la avrebbe portato a grandi successi. Oggi l’operazione che va fatta è rovescia, e non riguarda solo il PD, ma anche le forze politiche progressiste che hanno contribuito alla sua fondazione. Si tratta di abbandonare i dogmi neo-liberisti e la religione del Mercato Assoluto, non per tornare a vecchi orizzonti novecenteschi, ma per immaginare quello che alcuni di noi hanno chiamato un “neo-riformismo”, distinto e distante dal riformismo dell’età neo-liberista. Il tema cruciale che ora si apre è quello del Partito, di cosa sia, nell’era digitale, un grande partito popolare di sinistra nella società.
Il tema oggi è quindi quello del “programma fondamentale” del PD, a partire dalla nostra aggettivazione, democratico, e dal suo contenuto semantico, dalla potenzialità inespressa, in tutti i i campi, di un’idea pienamente democratica, di socializzazione del kratos e della politica. (continua…)

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Enrico Letta, appassionato di Subbuteo (raccontano i giornali), con la sua calma serafica, di antica scuola democristiana, ha compiuto in questi giorni un doppio passo tanto inaspettato quanto spettacolare. Prima si è dichiarato favorevole al presidenzialismo (semi, intero, in salsa italiana: ancora non si capisce), plaudito dalla destra di governo e soprattutto dalla folta e trasversale lobby di Vedrò -la fondazione del premier- presente al Governo. Si è inteso per un attimo quale intendimento profondo abbia Letta, e quale riscrittura della dialettica nel Partito Democratico e nel sistema politico voglia proporre dalla poltrona di Palazzo Chigi.
Poi, e in un certo senso l’uscita è ancora più sorprendente, Letta ha annunciato per la prima volta l’idea che il suo è un Governo per cinque anni, per tutta la legislatura. Ma come? Non era emergenza? Eccezionalità? Convergenza temporanea ed obbligata per fare alcune riforme, fra avversari che presto sarebbero tornati a combattersi, esattamente come in queste ore si sta facendo senza esclusione di colpi fra Ignazio Marino e Gianni Alemanno? No. Avevamo capito male. Se non si faranno le riforme in questi diciotto mesi, Letta si dimetterà, ma se si faranno, il Governo durerà cinque anni. Un incubo. (continua…)

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