Da Lettera43 di oggi
Il Pd, e la segreteria Bersani sono al loro passaggio più difficile. Il caso Penati fa giustizia di tutte le sottovalutazioni e i bassi profili che attorno al tema centrale della questione morale sono stati assunti in questi anni. Si può dire che, malgrado tentativi e sforzi, da Walter Veltroni a Pierluigi Bersani, di tenere un profilo più alto, il compromesso costitutivo del Pd si è fondato su regole meno rigorose rispetto a quelle che vigevano nei partiti preesistenti: e così si spiega come siano potute transitare, accentuandosi, situazioni al limite o oltre il limite della legalità.
Per questa ragione si richiede oggi, come già all’indomani del caso Tedesco, una reazione eccezionale al Pd: che, senza concedere nulla alla giustizia sommaria, ricollochi e rifondi “moralmente” il Pd, con interventi decisi e dolorosi. Il Pd, alla luce degli atti del gip, e della condanna senza processo e senza pena a cui si sta giungendo, non può non chiedere a Filippo Penati di rinunciare subito alla prescrizione e di scegliere di difendersi nel processo e non dal processo. E non può non esigere, nel rispetto dell’autonomia, dal movimento cooperativo un’azione di trasparenza e di chiarezza senza precedenti. E’ la natura di una forza del cambiamento che rischia di essere messa in discussione e travolta. E per ciò che riguarda i valori mutualistici e la forza degli ideali e delle azioni della cooperazione, se si intende rilanciarli e rinnovarli, e difenderli nelle loro prerogative, non c’è altra strada che quella di un profondo rinnovamento. (continua…)
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Da Sardegna Quotidiano di oggi
L’estate 2011 della Lega verrà ricordata come la stagione del declino. Il Partito di Umberto Bossi, che nell’ultimo ventennio ha rivoluzionato la politica e la società italiana, e che ha conosciuto nel corso di questo periodo fasi di crisi e momenti di tumultuosa crescita, sembra aver imboccato, non senza tristezza, la strada del tramonto. Non si può del resto non riconoscere a Bossi una straordinaria capacità politica e umana, nel “sentire” la società delle aree più ricche del Paese. Non c’è Roberto Maroni, non c’è Roberto Calderoli che abbiano potuto sostituire il leader carismatico della Lega nella sua funzione di “profeta” del credo leghista. E di un vero e proprio “credo” si è trattato, una forma di religione politica e civile, con tanto di mitologia, di simboli sacri e di riti collettivi.
La condizione fisica e personale di Bossi è così diventata una metafora della condizione della Lega. E se poteva sembrare, quando il capo leghista fu colpito da un grave malore, che la Lega fosse destinata ad una rapida e irreversibile crisi, la capacità di Bossi, della sua famiglia e del suo partito di trasformare anche una minorità fisica in un’opportunità politica è stata uno dei fenomeni politici più sorprendenti di questi anni.
Oggi tutto questo non funziona più. Forse perché Bossi ha perso di lucidità, o forse perché un ventennio -anzi, venticinque anni- è un tempo lunghissimo di sopravvivenza politica per una leadership, o forse perché la crisi è troppo strutturale e troppo forte, la Lega non morde più. La Lega appare come un partito romano, capace solo di abbaiare, e nell’ultimo tempo di miagolare. Ma dietro alle vicissitudini personali di Bossi, e alle diatribe interne alla Lega, c’è una crisi più profonda, di un blocco sociale che la Lega, nelle sue alleanze con Silvio Berlusconi, ha rappresentato negli anni in cui è avvenuta la scomparsa della lira e l’integrazione dell’Italia nell’area dell’Euro. Il ceto medio imprenditoriale e professionista , e quello operaio e laborioso del nord per anni, sotto l’ombrello della Lega, hanno cercato la protezione dagli effetti più sconvolgenti dei processi di globalizzazione e di internazionalizzazione. La frontiera interna della lotta contro l’immigrazione e il multiculturalismo è stata istituita a questo scopo. E in molte circostanze è diventata un vero e proprio muro. (continua…)
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Da Sardegna Quotidiano di oggi
Fa caldo. Proprio nei giorni in cui torna un’estate bollente, i mercati – questi sconosciuti!- si sono incaricati di bocciare tutte le previsioni dei mesi passati. La crisi, a quattro anni dalla sua esplosione, si ripropone con tutta la sua profondità. E’ di queste ore la constatazione che l’Europa intera si trova in piena recessione, e che le prospettive a breve, perfino per il gigante cinese, sono negative. Le misure prese fin qui sono state, nel migliore dei casi, un’aspirina. La malattia del capitalismo finanziario e speculativo, che in questi giorni fa volare il prezzo dell’oro, è grave, forse incurabile. L’Europa, che ha creduto solo nelle leggi del mercato e nella supremazia della moneta, rinviando ad un secondo tempo la sua coesione politica, è colpita al cuore da questa malattia. Basti pensare alle giuste anche se tardive proposizioni di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy a proposito dell’istituzione della Tobin Tax (la tassazione delle transazioni finanziarie internazionali, vera base di una democrazia sovranazionale) e al modo negativo con cui sono state accolte, proprio perché due governi, di paesi pur messi meglio del nostro, non possono surrogare l’assenza politica dell’Europa unita. (continua…)
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