Archivio per luglio 2011
Da Sardegna Quotidiano di oggi
Pierluigi Bersani ha ragione nel sostenere che negli ultimi giorni si è messa in moto una macchina del fango per colpire il Pd e, soprattutto, il suo segretario. Sembra quasi che la forza tranquilla che Bersani ha dimostrato in queste settimane, che gli aveva fatto salire gli indici di popolarità e aveva fatto riprendere elettoralmente il Pd, sia stata vista con grande ostilità da una parte del potere economico e mediatico, anche quello influente a sinistra. Approfittare delle disavventure di Franco Pronzato, che solo per un brevissimo periodo ha collaborato con Bersani, e di quelle più recenti di Filippo Penati, che a Milano e in Lombardia per anni è stato dei Ds e del Pd una figura di primissimo piano, per colpire il segretario Ds è un atteggiamento cinico e, se praticato a sinistra, autolesionista. Esattamente come è stato cinico e autolesionista pensare, dopo l’affaire sanità in Puglia, di colpire una figura nuova e significativa come Nichi Vendola. (continua…)
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Da Lettera43 di oggi
Siamo entrati in una fase nuova. L’arresto di Alfonso Papa, al di là della vicenda in sé, imprime al destino della legislatura un’accelerazione dagli esiti imprevedibili. Tutta la linea di resistenza attrezzata da Silvio Berlusconi è in discussione: da un lato si approfondisce la frattura con la Lega – e nella Lega, col protagonismo antigovernativo di Roberto Maroni- e dall’altro si interrompono le comunicazioni con Pierferdinando Casini, visto da molti come desiderabile rafforzamento, col suo centro, di una maggioranza in disfacimento. Agli stessi magistrati e agli uffici giudiziari arriva un messaggio nuovo – e i timori di Berlusconi appaiono in questo senso non infondati- : che in Parlamento c’è un vento diverso, e che la granitica coalizione anti-inchieste è venuta meno. Siamo facili profeti nel prevedere che nuove richieste di arresto giungeranno presto alle Camere.
Per queste ragioni lo scivolone al Senato sull’autorizzazione all’arresto di Alberto Tedesco è per il Pd un vulnus da curare con estremi rimedi nelle prossime ore. Non si può non riconoscere al partito di Pierluigi Bersani la gestione rigorosa e puntuale della vicenda Papa. E, anche se dubbi potevano nascere a proposito della singolare contestualità, pare proposta da esponenti del Pd, delle due sedute alla Camera e al Senato dedicate alle autorizzazioni all’arresto di due membri delle Assemblee, non si può negare ad Anna Finocchiaro, che del gruppo al Senato è Presidente, e allo stesso senatore Tedesco di aver assunto posizioni inequivoche e determinate. Sarà stato un gioco della Lega o di settori della Lega, o sarà stato il concorso di qualche senatore del Pd, fatto sta che oggi la posizione della forza cardine dell’alternativa appare “sporcata” da quest’esito. A ciò si aggiunga che, dopo il caso di Franco Pronzato, già collaboratore di Bersani e responsabile del trasporto aereo del Pd, che alcune responsabilità di fronte ai magistrati sembrerebbe aver già ammesso, le gravissime accuse a Filippo Penati -già capo della segreteria politica di Bersani e per molti anni volto del centrosinistra in Lombardia-,indagato col sospetto di aver incassato enormi tangenti sulla valorizzazione dell’area ex-Falck a Sesto San Giovanni, quando di quella città era Sindaco, aggravano la posizione e la responsabilità del Pd. Il rischio è che la crisi della maggioranza politica – che è crisi morale e di un blocco sociale che per quasi vent’anni ha dominato il Paese- diventi la crisi di un sistema politico, come fu nel ‘92-’94. Non sono in discussione il rispetto della presunzione di non colpevolezza e il garantismo. E’ in discussione il modo in cui il Pd si rapporta all’onda nuova che scuote la società italiana, e quanto sa fare del rinnovamento dei fondamenti etici dell’agire pubblico, e di rigorose norme di comportamento ispirate a valori di sobrietà e di servizio la propria identità “democratica”. C’è una questione morale che attraversa la società e la politica italiana: e il Pd non ha eretto finora barriere sufficienti per evitatre di essere condizionato da logiche di malaffare e di malapolitica. (continua…)
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Da Sardegna Quotidiano di oggi
Barack Obama si trova di fronte alla sua prova più difficile. Entro il 2 agosto deve far approvare dai due rami del Parlamento una manovra da quattromila miliardi di tagli e riduzioni, per evitare il rischio default della più grande potenza mondiale. E il Parlamento resiste -tanto da sinistra, la maggioranza democratica al Senato, sui tagli sociali, quanto da destra, la maggioranza repubblicana alla Camera, sui tagli alle agevolazioni fiscali per i più ricchi-.
Non è una consolazione per i milioni di italiani che da oggi cominceranno a sentire gli effetti della manovra votata a tempo di record dal nostro Parlamento (mille euro in più a famiglia) dover constatare che si trovano in una buona e larga compagnia, e che ai cittadini con le stelle e le strisce toccheranno tagli e riduzioni sicuramente superiori. Certo: a noi un Obama manca, una leadership materiale e morale capace anche in momenti come questi -come ha fatto il Presidente Usa nel suo discorso alla nazione- di mobilitare con credibilità le coscienze dei cittadini. Abbiamo invece un Premier a cui i suoi collaboratori chiedono il silenzio per molti giorni, nel timore che le sue parole facciano precipitare definitivamente la credibilità italiana. Abbiamo un titolare dell’Economia, sul cui principale collaboratore pende una richiesta di arresto con gravissime imputazioni. Abbiamo una maggioranza in frantumi, col leader della Lega che sbeffeggia l’inno nazionale. E a questo si aggiunga che non si è vista traccia, nella manovra italiana né di una riduzione dei privilegi della politica -scandalosamente salvati nelle ultime convulse ore di confronto parlamentare sui tagli- né di un’opera di giustizia sociale, cominciando a chiedere veri e forti sacrifici ai più ricchi e ai più forti. Obama si appresta invece a chiedere ai benestanti ben altro contributo alla salvezza del Paese. (continua…)
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Da Sardegna Quotidiano di oggi
L’Italia sta camminando sull’orlo di un burrone. Non è solo l’aspetto più evidente -la crisi finanziaria e l’attacco speculativo contro il nostro Paese e contro l’Euro- a metterci in una posizione difficile, quasi drammatica, per alcuni versi paragonabile al 92. Ma è che alla base di quanto sta avvenendo c’è la rottura di una coesione sociale e l’impoverimento della società italiana, fino alla scomparsa del ceto medio. E in parallelo c’è l’esplodere di una questione morale per dimensioni e profondità superiore a quella di cui nello stesso 1992 si occupò la magistratura milanese. Dall’inchiesta Anemone a quella che coinvolge Alfonso Papa e Marco Milanese e, per ciò che riguarda l’opposizione, il coinvolgimento di Franco Pronzato e di Vincenzo Morichini, danno una rappresentazione -della cui attendibilità va operata una verifica puntuale nelle aule giudiziarie- terribile del livello di putrefazione del sistema politico. Nell’opinione pubblica si è fatta strada la convinzione, malgrado la presenza di tante persone oneste che in politica compiono il loro dovere, che chi amministra la cosa pubblica lo faccia solo in ragione di propri interessi personali, e che non esista più alcuno spirito di servizio, senso dello Stato, etica repubblicana.
Alla base di un nuovo ciclo politico non può che esserci una strategia fondata sul binomio crescita-sobrietà, questione sociale-questione morale. (continua…)
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Da Lettera43 di oggi
Che neppure a fronte dell’obbrobrio giuridico e culturale partorito sul biotestamento dalla maggioranza della Camera il Pd abbia dimostrato compattezza, è un fatto su cui riflettere. Certo: ci si può mascherare dietro ai problemi di coscienza, e al voto su questione “eticamente sensibili”, come con eufemismo un po’ ipocrita si tende a dire. Ma, come ha affermato il senatore Ignazio Marino – che non è certo un estremista anticlericale- forse non c’era bisogno di fare una legge che stabilisce che una persona è morta solo quando è morta. Jacques de la Palisse ringrazia. Dietro l’operazione ideologica della destra c’è una concezione autoritaria e illiberale, per nulla disponibile a confrontarsi col tema della sofferenza umana, fino ai suoi gradi più estremi ed insopportabili.
Insomma: ci avevano pensato le componenti più reazionarie del centro-.destra a costruire la compattezza dell’opposizione. Una cattolica democratica convinta e appassionata, come Rosi Bindi, intervenendo in aula ha dichiarato che “se prima le Dichiarazioni anticipate di trattamento non erano regolate, adesso sono impedite”. Ma come mai tutto questo a Pierluigi Castagnetti e a tredici deputati del Pd non sia bastato è davvero un mistero. Non dubito, conoscendo Castagnetti, dell’autenticità del travaglio morale dell’ex-leader dei Popolari. Ma dubito della lucidità politica sua e di chi, di giorno in giorno, pensa possa essere sfottuto e svilito il patrimonio di fiducia che il Pd ha raccolto nelle ultime tornate elettorali. A meno che non cantino le sirine d’Oltretevere, che cercanoi di ridare vita alla Balena Bianca. (continua…)
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Da Sardegna Quotidiano di oggi
La guerra senza esclusione di colpi, condotta con ogni mezzo, tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti rischia di portare a fondo l’Italia. Non si tratta più di una contesa interna al Pdl e al centrodestra: ma di una patologia che sta già offrendo agli speculatori internazionali il destro per un’operazione molto pesante sul nostro Paese. Nella detestata Prima Repubblica si sarebbe corso ai ripari, stringendo le fila del Governo nell’emergenza. Nella detestata Democrazia Cristiana – dove gli odii e i rancori interni non erano certo inferiori a quelli che vengono rappresentati oggi- rimaneva tuttavia un collante, ideologico e di potere, che impediva la dissoluzione. Dopo aver assistito alla guerra tra il premier e Gianfranco Fini, nella quale furono usate armi proibite, con un ricorso a scorciatoie giudiziarie e a veline più o meno attendibili dei servizi, il film, sotto forma di tragedia – poiché è in gioco la manovra economica e l’accoglienza internazionale che ad essa si riserva-, si ripete, cambiando uno dei protagonisti. Il coinvolgimento dell’on.Milanese, e il fango che viene spruzzato addosso al Ministro dell’Economia -inconsapevole di utilizzare l’abitazione romana dell’amico deputato, per la quale quest’ ultimo pagava la bellezza di 8500 euro mensili- fa svanire la credibilità del grande rigore rispetto ai costi della politica, sbandierato da Tremonti come premessa per la manovra lacrime e sangue da lui proposta.
Certo: non sosterremo la tesi che dietro ai magistrati ci sia la politica. Non la pensavamo così ieri, quando il sospetto veniva agitato contro la sinistra, non la pensiamo così oggi quando si potrebbe discettare della convenienza che ha Berlusconi nel vedere minata la credibilità del proprio Superministro, da molti ambienti indicato come possibile protagonista di una fase di transizione post-.berlusconiana. Ma che ambienti della polizia giudiziaria, connessi ai vertici della Finanza o di altri corpi dello stato, abbiano potuto avvisare per tempo gli avversari interni di Tremonti, e che questi ultimi abbiano orchestrato una campagna mediatica a lui ostile, è un’ipotesi assolutamente plausibile. Tutto è poi precipitato con il pasticcio della norma pro-Fininvest, inserita e poi ritirata nella manovra.
Del resto, come avevamo già segnalato, l’investitura di Alfano -oggi giunta fino all’indicazione diretta della sua candidatura a premier nel 2013- sancisce la totale indisponibilità di Berlusconi ad una transizione diversa da quella di una sua successione, quasi monarchica, alla guida del Pdl. La rivolta di Formigoni e i malumori di molti settori del partito principale di governo la dicono lunga.
Ma è l’Italia che ora rischia. Non siamo in grado di prevedere le mosse o le reazioni di Tremonti all’inchiesta di Napoli e all’intervista del premier a La Repubblica. Certo è che le vittime di questa condizione rischiano di essere gli italiani: o perché, nello scenario peggiore, quest’avvitamento politico-morale del Governo fa precipitare l’Italia in una situazione greca; o perché, com’è più probabile -viste le risorse grandi dell’economia e della società italiana-, questo conflitto intestino rende più difficile cambiare la manovra nei suoi numeri generali e, soprattuttto, nella sua composizione. L’Italia dovrebbe avere il coraggio, come ha scritto sul Corriere uno dei più bravi banchieri italiani, Pietro Modiano, di darsi come misura di giustizia e di coesione sociale una patrimoniale che intervenga sulle grandi ricchezze, costruita nella concertazione e nel consenso, e misure che chiedano a tutte le caste -politiche, economiche, mediatiche- di rinunciare a privilegi odiosi ed inaccettabili.
Non si può che auspicare, a fronte della confusione e delle preoccupazioni di queste ore, un dibattito aperto in Parlamento che cambi sostanzialmente la manovra e che eviti all’Italia l’onta di scivolare in fondo al già sgangherato barile europeo.
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Da Lettera43 di oggi
Neppure chi scrive -che già nelle ultime settimane aveva invitato il centrosinistra e il Pd alla prudenza, perché la strada per vincere le elezioni politiche è ancora lunga e tortuosa- poteva immaginare che i grandi notabili del principale partito di opposizione ci avrebbero messo così poco tempo per cercare di indebolire Pierluigi Bersani e riprendere il controllo del partito.
L’episodio dell’abolizione delle Province, proposta dall’Italia dei Valori, e non passata a causa dell’astensione del Pd, è indicativo. Si può criticare il Pd -che esprime decine e decine di Presidenti di Provincia, tra cui Nicola Zingaretti, indicato da molti come astro nascente- per aver scelto l’astensione e per non aver votato a favore di chi denuncia l’inutilità di tutti quei Presidenti. Si possono censurare il Pd e le altre forze dell’opposizione, per non essersi ancora dati un minimo di coordinamento nell’attività parlamentare che eviti spettacoli come quello di martedi scorso. Non si può infine non vedere il voluto intento polemico di Antonio Di Pietro che costruisce questa mossa parlamentare nel tentativo di riprendere uno spazio contro il Pd. Ma sinceramente dover ascoltare le denunce indignate contro questo voto di astensione da parte di Walter Veltroni -che quand’era Sindaco spinse il suo vice di allora, Enrico Gasbarra, sulla poltrona di guida della Provincia- e di Matteo Renzi, che ha usato lo scranno e il potere di Presidente per cinque anni per lanciare l’ opa sul Comune di Firenze, è un po’ troppo. Veltroni e Renzi, a capo di una folta compagnia che era stata spiazzata dal risultato favorevole delle amministrative, ora si scoprono abolizionisti convinti, per pungere e mettere in difficoltà Bersani su un problema (quello dei costi della politica) sensibile. (continua…)
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Da Sardegnaquotidiano di oggi
Malissimo farebbero i nemici di Angelino Alfano – gli avversari politici e i numerosi avversari interni – a sottovalutare questo giovane agrigentino, cresciuto sotto la protezione del Presidente del Senato, Renato Schifani. La sufficienza con cui Alfano era stato etichettato come un servo sciocco di Silvio Berlusconi, solo perché appena designato era accorso a consultarsi ad Arcore è segno di uno snobismo strabico, tanto a sinistra quanto a destra. Certo: ci sarebbe stato da stupirsi davvero delle condizioni di lucidità del premier se il delfino designato lo avesse scaricato. Solo un analista poco lucido poteva immaginare scenari di questo tipo. E invece, nel discorso di investitura, lo scorso primo luglio, e in quello che trapela delle sue effettive intenzioni, il Guardasigilli, senza peli sulla lingua, ha apertamente dichiarato guerra al ceto politico dominante nel Pdl. Con evidenza agli ex-An, ma non con meno durezza nei confronti della casta dell’ex-Forza Italia che si è insediata all’ombra di Berlusconi in questi quasi vent’anni. La difesa del premier, perseguitato dai magistrati, e la distinzione con chi non è stato onesto non può essere solo una dichiarazione di facciata. Il bluff si scoprirebbe subito. Alfano ha avuto da Berlusconi un mandato chiaro per fare pulizia nel partito, per rompere il sistema correntizio e notabilare, per mettere rimedio -vedi il clamoroso caso della Campania, dove è stata letteralmente gettata al vento dal Pdl la vittoria annunciata a Napoli- alle guerre intestine e fratricide tra i potenti ras locali. C’è un’analogia con l’ultimo Psi di Bettino Craxi, quando l’allora segretario denunciò quanto sotto la sua ombra si fossero creati potentati che bloccavano e corrodevano il partito. Ma allora Craxi non riuscì ad intervenire, rimase solo, e quando fu colpito dalle inchieste il suo partito si sgretolò rapidamente. Ora Berlusconi ha imposto Alfano, con l’obiettivo di cambiare radicalmente il partito, che il premier sente come una zavorra destinata a farlo cadere. (continua…)
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