Archivio per maggio 2011

Da Lettera43 di oggi

Anche se occhi e orecchie di tutti sono in queste ore rivolti verso Milano e Napoli, e le altre città dai ballottaggi al cardiopalma, già si è aperta la campagna referendaria. Era da molto tempo – a causa dell’abuso che si è fatto negli anni dell’istituto referendario- che una competizione di questo tipo non suscitava tanto interesse, per i contenuti sollevati, e non aveva tanto rilievo politico.

Diciamo la verità: in particolare per il Pd -che come ha scritto Paolo Madron dovrebbe in queste ore stare immobile attendendo i continui scivoloni dell’avversario per vincere i ballottaggi- i referendum sono una sorta di benedetta rivoluzione copernicana. In questi anni in cui al centro ci sono stati solo i partiti, i leaders e le formule, e i contenuti sono stati evocati come satelliti destinati a ruotare intorno a chi comanda, e alle forme della politica, e si è allargato a dismisura il fossato con la vita della gente, ora al centro vengono i contenuti, e occorre scegliere, semplicemente, con un sì o con un no. Si dirà: il Pd ha scelto di votare sì a tutti i quesiti. Bene. Se per il legittimo impedimento era scontato, lo era di meno per il nucleare -ammesso e non concesso che con l’imbroglio della moratoria imposta a colpi di fiducia dal Governo si arrivi a votare- e soprattutto per l’acqua. Sul primo punto una politica energetica realmente innovativa, fondata sulle rinnovabili e sul risparmio, non è stata ancora pienamente sposata dal Pd. Ma sul secondo non si può dimenticare che -Bersani, D’Alema, Veltroni in testa- i leaders del Pd sono stati tra i principali propugnatori, per anni, della liberalizzazione -leggi privatizzazione- del servizio idrico. Le conseguenze di quella politica sono sotto gli occhi di tutti: aumento stellare delle tariffe, disservizi, potere smisurato delle ex-muncipalizzate oggi quotate in borsa ma controllate dai Comuni e loro finanziatrici. Scegliere il sì vuol dire operare una svolta netta a favore di un’idea di beni comuni, e di salvaguardia di un patrimonio decisivo come l’acqua. Obtorto collo il Pd, a cui non manca una ricchezza programmatica, ma talmente ampia da prevedere posizioni fra di loro divergenti se non opposte, imbocca ora questa strada. Ed è tanto forte la posizione di merito, da essere la ragione del possibile e probabile raggiungimento del quorum del 50 più uno degli elettori, e da spingere la Lega, in evidente polemica col Pdl anche sul legittimo impedimento, a aprire alle ragioni del sì e della partecipazione al voto. (continua…)

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Da Lettera43 di oggi

Il terremoto elettorale di domenica e lunedi è, per intensità e segno politico inequivocabile, fortissimo. E, come qualche giorno fa avevamo previsto, Milano e Napoli la fanno da padrona. Berlusconi, con un flop di preferenze che ne segna un declino personale forse irreversibile, e Bossi sono i grandi sconfitti: vedremo con quali conseguenze sulla maggioranza di governo e sul quadro politico. Un ciclo di espansione illimitata al nord, che negli ultimi anni cominciava a dilagare al centro, sembra essersi interrotto. L’epicentro è Milano, capitale economica del Paese, città moderata certo, ma capitale nazionale del socialismo riformista e dell’antifascismo, grandi memorie ambrosiane che Giuliano Pisapia ha risvegliato. Ma anche Napoli, che un anno fa ha regalato al centrodestra una vittoria schiacciante alla Regione, vede Lettieri inchiodato al 38,5%, insidiato da vicino da chi non ti aspetti, Luigi De Magistris. Certo: guai a pensare a un centrodestra in rotta. In tutto il nord, con oscillazioni, conferma un grande radicamento ed è presto per cantare vittoria.

Ma la vera novità è a sinistra. Non vince né il Pd, tout court -che ha splendidi risultati a Milano e a Torino-, né si afferma Sel, i cui candidati a sindaco vanno benissimo, ma le cui liste hanno risultati assai modesti, o Idv, premiata da De Magistris, ma con risultati alterni in tutto il Paese. Il terzo polo non sfonda, al punto di rendere neppure così rilevante un’alleanza sistematica con le altre opposizioni.

Vince invece una sinistra che non c’è. Le sue persone sono le meno “berlusconiane£ -come modello ultrapersonalistico e carismatico, sia detto senza offesa, come fu invece per Veltroni e per Vendola-: rappresentano un noi, più che un io, una politica gentile, non urlata, sobria. Fassino e Pisapia, con storie politiche differenti, trasmettono corde umane simili. Così come Merola, sindaco di Bologna. Quando il Pd si affida e appoggia persone di questo tipo, ottiene un risultato brillante. I milanesi, con sagacia, hanno risposto alla campagna della destra sull’estremismo presunto di Pisapia, accompagnando il suo successo non a quello di Sel o di Rifondazione, ma a quello del Pd.

Il caso di Napoli è a parte. Qui il Pd ha fatto un errore strategico a non approfittare del fallimento delle primarie per schierarsi a favore della possibile ‘alternativa a sé stesso, al bassolinismo, rappresentata da De Magistris. Lo deve fare ora, pagando un prezzo assai più elevato. Ma la destra può clamorosamente perdere la città partenopea. (continua…)

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Da Lettera43 di oggi

La tornata di amministrative del 15 e 16 maggio si è caricata, via via, di un significato politico ben superiore rispetto a quello di analoghe precedenti elezioni. Da un lato il voto – in piena offensiva del premier contro i giudici e contro la sinistra- dirà se funzionano ancora quelle grandi riserve ideologiche presenti nel ventre più profondo della società italiana che, ben sollecitate, hanno premiato il Cavaliere a più riprese in questi quasi vent’anni. Le elezioni di Milano – nelle quali la Moratti gioca ora alla disperata la carta della diffamazione di Pisapia- sono diventate, come avevamo previsto su queste colonne qualche settimana fa e come ora tutti gli analisti e i commentatori riconoscono, un test politico decisivo. Se dovesse andare male al ballottaggio il sindaco uscente, e se dovesse perdere, il colpo per Berlusconi sarebbe senza precedenti, segno di un declino irreversibile. Ma la posta in gioco è molto alta anche per le opposizioni. Sarà messa alla prova la capacità di coalizione a livello locale – con le novità della presenza di Sel e del terzo polo, al momento in crisi solo nelle alleanze col centro-destra, come si è visto a Crotone-, una rinnovata propensione a scegliere candidature vincenti e, infine, la forza di attrazione delle singole forze politiche, pur tutte condizionate dalla presenza ovunque di liste civiche che sottraggono loro consensi. Un grosso successo (continua…)

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Da Lettera43 di oggi

Alla vigilia di elezioni amministrative che, a causa del declino di Berlusconi, visibilmente invecchiato e meno lucido, e delle divisioni nella maggioranza e nel PdL (di cui col voto alla Camera sulla missione in Libia è andata in scena una rappresentazione tragicomica: lo stesso Bossi, quasi per autoconvincersi, visto che c’è da nutrire qualche dubbio, assicura che “la Lega ce l’ha sempre duro”), l’opposizione può vincere, nel Pd regna sempre sovrana la confusione. Non si può dar torto a Veltroni, dopo mesi di assalto da parte di Renzi, in puro stile maoista, all’arma bianca al quartier generale, il quale chiede sul Foglio, nei giorni scorsi, di “aprire con il segretario Bersani una discussione seria per capire se il percorso scelto dal partito è quello giusto”. Né si può dar torto al giovane responsabile organizzativo del Pd, Nico Stumpo, incaricato da Bersani di rispondere a Veltroni -secondo una vecchia tradizione stalinista volta a ignorare il proprio avversario interno-, che risponde che dopo le amministrative il Pd si deve occupare di come mandare via Berlusconi, e non Bersani. Certo è che questa discussione, animata dagli eredi del Pci-Pds-Ds, dà il senso di quanto il veilletario progetto pensato in origine di mettere in un solo partito ex-democristiani ed ex-comunisti sia in crisi. Possono vincere le coalizioni di centrosinistra, possono vincere o avere affermazioni sorprendenti candidati “gentili”, come Pisapia a Milano: ma il Pd, come forza coalizionale, larga, aperta, al momento non sembra funzionare. (continua…)

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