Archivio per 9 febbraio 2011

In occasione della mostra su Beccaria, con l’esposizione del manoscritto originale del Trattato dei delitti e delle pene, che si svolge alla Camera dei Deputati, organizzata da MetaMorfosi, ho svolto ieriquesto intervento

Sale, anche nel mondo di oggi, dal profondo delle coscienze -come fu nel 44 e nel 45- la domanda spasimante che sempre risorge di fronte all’inutilità del dolore: “perché?”. Hannah Arendt ha scritto che “quando l’impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile”. Il cuore del 900, tra le dittature nazifasciste e il totalitarismo sovietico, ha consegnato all’umanità una tragedia infinita che avrebbe forse, per il suo orrore, annichilito anche i grandi padri dell’illuminismo e della libertà.

Anche noi, dedicando a Cesare Beccaria – troppo trascurato nella sua patria ancora oggi – questo evento, fuori da ogni retorica celebrativa, dobbiamo porci due perché.

Perché nel 2011, nell’epoca in cui il digitale ha reso la comunicazione tanto veloce e la conoscenza tanto prossima, e quindi l’ignoranza più facile da contrastare, la pena di morte e la tortura -due delle barbarie contro cui il Trattato dei delitti e delle pene ha scritto duecentocinquanta anni fa parole così emozionanti- rimangono sistemi così diffusi? Perché, poi, la giovane nazione, l’Italia unita, che dopo l’unica vera rivoluzione politica che ha conosciuto il nostro Paese, il Risorgimento, abolisce nel 1889, grazie al contributo decisivo di Giuseppe Zanardelli, la pena di morte, centocinquanta anni dopo appare inquieta e incerta, e perché ancora oggi il principio di legalità, come prima condizione della libertà (non operare, come scrive Beccaria, “con leggi arbitrarie e non stabilite da un codice che giri fra le mani di tutti i cittadini”) sembra vacillare? (continua…)

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