Archivio per marzo 2010

Da Epolis del 23 marzo 2010

Non ci siamo arresi al cinismo, alla sfiducia, alla paura. Abbiamo provato che restiamo un popolo capace di grandi cose”, ha detto Barack Obama nel discorso con cui ha commentato la storica vittoria democratica al Congresso. E’ stata vinta ben più di una piccola guerra: quella che ha ucciso o gravemente indedolito centinaia di migliaia di cittadini statunitensi privi di un sistema sanitario universalistico. La grande guerra contro la sanità privata viene combattuta dai democratici americani fin dall’epoca di Teodoro Roosevelt, all’inizio del 900. Nell’ultimo anno tutto è stato giocato con l’intento di logorare e spaventare Obama, e portarlo a rinunciare alla storica riforma. Alcuni effetti questa campagna li ha prodotti, come si è visto dall’astensionismo nelle elezioni del Massachussets e dalla vittoria repubblicana. E’ per questo che il voto di ieri – per una riforma non radicale, come ha detto il Presidente, ma vera – può finalmente segnare la svolta della presidenza in cui hanno riposto tante speranze milioni di donne e di uomini di tutto il pianeta. Gli applausi europei a Obama – persino del centrodestra italiano – non appaiono solo tattici, ma raccontano di quanto la favola liberistica e privatistica rappresenti oramai un incubo per i popoli del vecchio continente. (continua…)

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Da Epolis di oggi

Il sorpasso negli USA da parte di Facebook di Google, nell’ultima settimana (considerando i click sulla home page) è solo l’ultima conferma della rapidità dell’esplosione dei social network. La rete è a una svolta: da straordinario luogo di ricerca individuale (Google) e collettiva (Wikipedia) diventa una forma – talvolta la forma – della socializzazione e della costruzione di comunità. Ha già conosciuto grandi esperienze politiche vincenti (l’elezione di Obama, in cui i social network hanno giocato un ruolo importante) e ora, come fu per Google anni fa, Facebook conosce una rapida valorizzazione pubblicitaria e economica. Non si può negare il fatto che oggi è sempre più difficile resistere a Facebook, rimanendone fuori, e per chi ha un ruolo pubblico o sociale è praticamente impossibile. (continua…)

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Da Epolis di oggi

Il no del Tar Lazio alla lista PdL è un atto che conferma quanto, in una democrazia, la separazione fra i poteri sia essenziale. Non sappiamo come si concluderà il gran pasticcio delle liste, dopo la ripresentazione della lista prevista dal decreto salva-PdL. A rigor di logica il no del Tar Lazio dovrebbe essere dirimente. Ma a uscire indebolita da quel decreto rischia di essere la democrazia con le sue regole. Al fondo c’è il rifiuto ad ammettere le proprie responsabilità da parte dei responsabili di questa parte politica, a chiedere scusa ai propri elettori e agli avversari e a studiare le forme migliori affinché una parte consistente dei cittadini non venga privata del diritto di voto. Malgrado le interviste, le dichiarazioni e addirittura i filmati che hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli errori del PdL a Roma e a Milano sono scaturiti dalla volontà di cambiare all’ultimo momento le liste, Berlusconi ha trascinato la sua parte politica – usando a fini di fazione i poteri del Governo – in uno scontro istituzionale (che poteva essere senza ritorno se il Quirinale non avesse esercitato una funzione di moderazione) e in uno scontro politico senza precedenti nella storia repubblicana. Se alla fine si voterà senza PdL a Roma, la colpa sarà di questa gestione sconsiderata e spregiudicata. In ogni caso sono state pesantemente toccate le regole del gioco fondamentali – con l’ipocrisia di una norma interpretativa – contro le opposizioni e le aspettative di tutti quelli che le regole le rispettano. I giovani che ai concorsi non passano perché hanno sbagliato una carta, le imprese che gli appalti non le vincono per un ritardo di qualche minuto. Si può ribattere: in un Paese in cui tanti concorsi e tanti appalti sono truccati, si tratta di dettagli. Non è così, tanto più se si parla, in una nazione che ha conosciuto l’onta del ventennio fascista e della violazione dei diritti fondamentali della persona. Quando si manomettono queste norme da parte di un governo che già vuole stravolgere l’assetto costituzionale dei poteri – e cambiare per via legislativa il corso della giustizia, come col processo breve – c’è da essere preoccupati. (continua…)

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Da Epolis di oggi

“Dilettanti allo sbaraglio”. E’ difficile non dare ragione a Umberto Bossi, quale che siano le proprie convinzioni politiche e ideali, a proposito dei grandi pasticci sulle liste alle regionali combinati in casa PdL. Solo un ingenuo può credere al panino preso intempestivamente dal buon Milioni, e solo uno stupido può credere alla versione per i propri militanti sconcertati secondo cui qualche esponente radicale ha impedito manu militari la presentazione della lista PdL. I tre fatti di queste ore (il caso del Lazio, dovuto allo scontro in extremis sulla composizione della lista PdL; quello della Lombardia, nato dalla querelle sulla candidatura della soubrette-igienista dentale del premier; e infine quello della Campania, dove il candidato governatore dichiara che slealmente nottetempo è stato aggiunto alle liste il nome di un condannato per associazione mafiosa) raccontano, per usare un termine à la page , della situazione gelatinosa del PdL. Sullo sfondo, non si può nasconderlo, c’è lo sfarinamento dei partiti, tutti: ben diversi da quelli della Prima Repubblica che, com’è stato ricordato da un esponente del vecchio PSI, prevedevano senza eccezione che i responsabili politici dei partiti presentassero personalmente liste e simboli. Oggi davanti agli uffici elettorali si tengono confusi assembramenti di aspiranti o di mancati candidati. Ma ciò che mina il PdL è il disprezzo per le regole. E’ qualcosa che segna la vita interna di questo nuovo partito, in cui – specie dopo le inchieste sulla protezione civile e sul riciclaggio- ricompaiono in  lotta fra di loro le fazioni di An e quelle di Forza Italia. Non sappiamo come il pasticcio delle liste andrà a finire. In democrazia sarebbe auspicabile che tutte le posizioni fossero presenti: ma la democrazia è un procedimento che ha norme precise che lo regolano. Solo i giudici possono dirimere le questioni, e non si può pensare che in nome del consenso si possano violare o calpestare le leggi, né che si possano immaginare leggine o decreti per sanare eventuali irregolarità accertate. (continua…)

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