Archivio per giugno 2008
da articolo21.info di oggi
Tibet: dov’è finita l’indignazione del Pdl?
Il Governo Prodi, malgrado alcuni meriti in politica estera –penso al ritiro dall’Iraq e alla missione di pace in libano-, sul Tibet dimostrò grande ignavia. Per due volte, nella breve legislatura passata, il Dalai Lama in Italia non venne ricevuto dal Presidente del Consiglio. La Camera, su nostra iniziativa, per la verità organizzò la prima volta, nell’aula della Commissione Cultura che allora presiedevo e poi, su richiesta dell’intergruppo, nella sala della Lupa, con Bertinotti due iniziative ufficiali senza precedenti col capo della lotta tibetana. Ma, malgrado l’interesse di D’Alema e della Bonino, il Governo, fino ai tragici fatti di marzo, manifestò la propensione a privilegiare un’ottusa e non lungimirante realpolitik a un’autentica lotta per i diritti umani. Non facemmo sconti al nostro Governo, e ricordo la passione dei colleghi di Forza Italia e di An nella denuncia delle reticenze governative. (continua…)
Commenti disabilitati
da Epolis di oggi
Si può apprezzare il buon senso di Rosi Bindi –che un qualche legame popolare lo ha coltivato- che ha preso le distanze da Parisi e dal rischio di un’accelerazione della crisi del Pd. Ma la rissa di tutti contro tutti, messa in scena in un partito in palese difficoltà, non può non suscitare un allarme in ogni democratico –inteso come amante della democrazia, non come associato ad un partito- e in ogni persona di sinistra. Qual è l’origine di questa difficoltà? Il non aver voluto fare davvero i conti con la sconfitta elettorale, tragicamente accentuatasi in Sicilia, pensando che, in definitiva, riguardasse solo altri. “Tutto bene, madama la marchesa”, ripete Bettini senza convinzione. (continua…)
4 Commenti »
Dall’Unità di oggi
Al Piccolo Eliseo, la mattina della prossima domenica, anziché andare al mare, molte e molti della sinistra diffusa e dispersa si ritroveranno in un’assemblea promossa da associazioni e movimenti della sinistra. Vogliamo lanciare un messaggio positivo: la sinistra del fare. Vengo da un’educazione, e da un’esperienza politica, che ha dato molta importanza al dire. Le parole sono pietre, si ripeteva in anni in cui gli eccessi verbali formavano senso comune. E oggi si potrebbe dire lo stesso, in quest’Italietta malata di futuro, incapace di sognare, che non crede più che la legge sia eguale per tutti, che vede scivolare pericolosamente in giù l’asticella delle garanzie democratiche. Siamo malati, anche noi; e la sinistra, con le sue idee e con le sue emozioni, è gravemente malata. Dov’è finita l’Italia che reagì alla sconfitta, nel 2001, e alle prime leggi ad personam ben meno inquietanti di quelle erga omnes di oggi, con un sussulto democratico imponente? Dove sono il popolo di Genova, e la moltitudine altermondialista che riproposero il tema di una trasformazione di civiltà profonda e radicale? Dov’è quella CGIL –impegnata oggi nei suoi equilibri interni e incerta sulla propria strategia- che divenne, col quadratino rosso, l’ombrello popolare di un avvio di ricostruzione di una tensione democratica e di valori di libertà, eguaglianza e fraternità? (continua…)
1 Commento »

E’ morto un grande scrittore. Sul suo altopiano. Ne parla in modo mirabile Claudio Magris sul Corsera di oggi. Fa parte della storia dell’adolescenza e della giovinezza della mia generazione, cresciuta con Rigoni Stern, Lussu, Primo Levi. Loro ci hanno preparato all’opzione assoluta della nonviolenza. Lì, in montagna, al fresco delle Alpi, sembra lontano, lontanissimo il fragore violento, cialtrone, volgare, ingiusto della nuova Italia del 2008. Viene voglia di andarci, in montagna.
Commenti disabilitati
da E-polis, di lunedi 16 giugno
Ero in Sicilia, segretario regionale del PCI dopo Pio La Torre, quando venne decisa l’operazione “Vespri Siciliani”. I soldati venivano inviati in quella terra –erano gli anni più drammatici dell’offensiva mafiosa, culminata con le stragi con cui sono stati uccisi Falcone e Borsellino- per liberare uomini di forze dell’ordine da compiti di vigilanza passiva. Ma la ragione vera, non si può nasconderlo, di una misura eccezionale, ai limiti della costituzionalità, stava nella convinzione che la mafia avesse dichiarato la guerra più aperta e sanguinosa alla democrazia. E che occorresse anche un atto simbolico estremo, in territori largamente sotto un controllo diverso da quello della Repubblica.Ora siamo più modestamente a una fiction post-elettorale, della serie: “noi sì che siamo dei duri”. L’esercito, nell’ultima versione solo per i prossimi sei mesi, sarà a disposizione del Governo per qualsiasi emergenza. Ma non era il Presidente della Repubblica –e non il Governo- a comandare le Forze Armate? Contro chi si dichiara guerra, fuori dal controllo del Parlamento? Protesta la polizia, protestano i sindaci, protesta (mollemente)l’opposizione, protesta anche la Lega.Il bravo e preciso sottosegretario Mantovano dice che la colpa è della sinistra –e fin qui nulla di nuovo- che avrebbe bloccato i concorsi in polizia. Ma non dice che l’Italia è un paese con più di mezzo milione di addetti delle forze dell’ordine e della sicurezza interna,una delle percentuali pro-capite più alte del mondo. Abbiamo tre polizie principali, spesso in contrasto fra di loro, con più di 300.000 lavoratori. Poi c’è la polizia penitenziaria, la guardia costiera (sul mare vigilano imbarcazioni di cinque diverse polizie), la guardia forestale, le polizie provinciali e i vigili urbani e le municipali. A questi bisogna aggiungere le guardie giurate e le polizie private, a cui sono demandati crescenti compiti di sicurezza interna (vedi la vigilanza negli aeroporti). Ora ci si aggiungono i militari, non più di leva.Si tolgano tutti gli uomini delle forze dell’ordine dagli uffici. Si rafforzino le municipali (ma non voleva il Governo muoversi in questo senso?), si combattano sprechi e doppioni. Forse al buon Brunetta qualche consiglio, Maroni e La Russa, lo possono chiedere. Ma si eviti –tra la pessima proposta sulle intercettazioni, che imbavaglia la stampa, e l’annunciato nuovo lodo Schifani- il ridicolo con cui, dopo i rifiuti, verremmo sommersi in Europa e nel mondo. In guerra, tuta mimetica e nuove tecnologie, con la nostra coscienza.
Commenti disabilitati
da E-Polis del 9 giugno 2008 Che l’Italia sia un colabrodo, dai cui buchi è consuetudine spiare tutti, è cosa nota. Nessuno dimentica le più recenti indagini sulla struttura deviata della Telecom, quelle sulla sede delle intercettazioni illegali di via Nazionale, legata a uomini dei servizi e una lunga serie di voyeurs, ricattatori, fabbricanti di falsi dossier. Ma che l’Italia possa diventare il primo Paese in cui gli unici che non possono disporre intercettazioni legali e garantite sono i magistrati, supera ogni ragionevole immaginazione. L’annuncio di Berlusconi di un imminente intervento del governo (addirittura c’è chi parla di un decreto-legge), volto a limitare alle indagini sulla mafia e a quelle sul terrorismo le intercettazioni è stupefacente. L’osservazione sul peso che una decisione di questo tipo (accompagnata da gravissime sanzioni penali per i magistrati che non rispettano questo limite) avrebbe sui procedimenti in corso è persino banale. La stessa Corte Costituzionale ha rinviato un proprio pronunciamento in materia per non prestare la propria giurisprudenza ad un uso strumentale.Sarebbe stupido negare i gravissimi abusi che sono stati compiuti in molti casi con le intercettazioni e la. loro pubblicazione. E non vedere che l’eccesso che in Italia si fa del ricorso a questa procedura di indagine –sommaria, delicata, indistinta, che consegna nelle mani di pochi informazioni di rilievo non solo penale, alla cui utilizzazione impropria è difficile resistere- fotografa la debolezza storica e cronica dello stato di diritto in Italia, l’inerzia fortissima dei principi del processo inquisitorio se non di un vero e proprio stato di polizia. Ma la terapia che si propone aggrava questa debolezza. Ben venga, com’è stato proposto, un giudice collegiale, e non più monocratico, che valuta le proposte di intercettazioni del PM. Si distruggano le intercettazioni che riguardano fatti privati. Si tutelino totalmente le persone estranee alle indagini. I giornalisti, coi propri strumenti di deontologia professionale, si autoregolamentino. Si colpiscano con esemplare durezza gli spioni e le intercettazioni illegali, raccogliendo le indicazioni che da tempo fornisce, per esempio per le compagnie telefoniche, il Garante della privacy. E si aiutino i magistrati e gli investigatori a rafforzare altre modalità di indagine. Ma il Governo ci ripensi, Presidente Berlusconi: limitare le intercettazioni ad pochissimi reati, escludendo quelli dei colletti bianchi e dell’economia, e mettere il bavaglio alla stampa, in un paese in cui si vuole la tolleranza zero solo per i poveracci, sarebbe un pessimo esordio. Come scriveva Piero Calamandrei, nelle aule di giustizia andrebbe fatta un’errata corrige: “la legge non è uguale per tutti”.
Commenti disabilitati
|