Gli avvenimenti di queste ore ci dicono che nulla, davvero nulla è più come prima del 14 aprile. La scomparsa della sinistra in Parlamento ha acceso il semaforo verde, come Montezemolo nel passaggio di poteri ad Emma Marcegaglia ha esplicitamente detto, per la volontà di procedere ora alla cancellazione del sindacato confederale e del principale strumento di cui dispongono i lavoratori, la contrattazione collettiva nazionale. Viene pubblicato in questi giorni un libro paradigmatico, una sorta di “casta-parte seconda”, dedicata al sindacato e al suo potere. Il PD, dopo aver condotto una sconsiderata campagna al centro, non sembra avere neppure le parole per contrastare quest’offensiva. Come ho scritto l’altro giorno su questo blog, avviando una discussione importante, critica, partecipata, per affrontare queste sconvolgenti novità non ci servono giustificazioni o consolazioni. Prendersela con gli altri, o con l’informazione, o credere che al nord ci sia ora un’incrollabile egemonia della Lega, vuol dire nascondere il cuore del problema. La sinistra, a partire dagli anni 80, ha vissuto un processo di lenta ma inesorabile evaporazione dalla società e dal lavoro. E’ diventata nei suoi momenti magici – l’elezione diretta dei sindaci dal 94, l’Ulivo nel 96, l’Unione, un po’ di meno, nel 2006 – forza egemone nei ceti colti, nella borghesia del sapere, nella creatività giovanile. Ma è sempre stata forza in difficoltà, o residuale, tra i redditi bassi, nel lavoro operaio, fra i senza lavoro e i precari, fra le casalinghe e, pur in misura inferiore, tra i pensionati. E così, anche, nel mondo artigiano e della piccola impresa. L’idea cooperativa, mutualistica, consortile, che aveva funzionato per decenni, alla luce dei meccanismi sfrenati della competitività globale, è stata vissuta come residuale. (continua…)
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