Archivio per agosto 2006

Questo mio articolo è stato pubblicato ieri da “il Riformista” e risponde all’intervista di Armando Cossutta pubblicata sulla stesso giornale venerdì scorso.

Caro direttore,
le riflessioni di Armando Cossutta, ospitate dal Riformista sul numero di venerdì, mi inducono a qualche considerazione sui processi che – con alterne fortune – avanzano nel centrosinistra, il partito democratico e la nuova soggettività della sinistra di trasformazione.
Molte delle radici della sinistra sono oggi secche e così anche tanti rami. Ciò che però non accetto è che la soluzione dell’annosa crisi della sinistra sia “non più sinistra”. Lei stesso, in un articolo di poche settimane fa, sottolineava come per conquistare il centro non ci sia bisogno di diventare di centro. Io vado più in là: secondo me il centro – inteso come luogo politico dei moderati – non esiste, o se esiste è ben poco affollato di elettori. Esiste, invece, una domanda di cambiamento spesso inespressa e spessissimo contraddittoria. L’attuando ritiro dall’Iraq (ma anche l’auspicabile ritiro dall’Afghanistan) è condiviso da un’ampia maggioranza di italiani, così come i pacs, l’abolizione della precarietà nel mondo del lavoro, il mantenimento del carattere pubblico dei servizi e del welfare. Sono “cose di sinistra” che però – checchè ne pensino alcuni politologi – non sono minoritarie.
Per fare “cose di sinistra”, però (mi si scusi la banalità), serve una sinistra. I Ds, il mio ex partito, hanno da tempo deciso di incamminarsi in un’altra direzione. Poco importa, davvero, se il “partito democratico” si farà quale somma di Quercia e Margherita, oppure in un modo differente, magari sull’onda di qualche movimento di sindaci e di giornalisti. Poco importa se lo si farà domani o tra tre anni. Il punto è che è quella la prospettiva politica della sinistra riformista italiana. E’ una prospettiva legittima, ma che non condivido. Ed è una prospettiva che già adesso fa la sinistra riformista molto distante da quella forza capace di incarnare la domanda di discontinuità che è fortissima negli elettori, non solo del centrosinistra. Non in tutti i campi, evidentemente, altrimenti non saremmo al governo insieme. Ma la finanziaria che avremo di fronte, così come la riforma del mercato del lavoro, o ancora tante vertenze anche locali, non saranno passeggiate. Avvisaglie le abbiamo avute già con il Dpef. Servirà responsabilità ma anche determinazione nel chiedere il rispetto del programma dell’Unione ed una conseguente azione riformatrice che dia al paese segnali chiari.
Anche per questo serve una sinistra. E allora occorre farla. Come? Voglio mettere i piedi nel piatto, riprendendo il ragionamento di Cossutta. Non si può fare così come la vorrebbero settori della sinistra radicale che Cossutta criticava nella sua intervista. E qui entra in campo il progetto della nuova soggettività, proposto da Rifondazione. Cossutta ha ragione, sia quando dice che si tratta di una proposta seria ed impegnativa che quando ne avverte il limite, l’essere una proposta che arriva da un partito organizzato e che si rivolge però a gruppi, associazioni, movimenti, persino ad aree di pensiero che per loro natura non sono organizzate e non vogliono esserlo. In questo contesto, è facile scambiare la Sinistra europea come un semplice allargamento del Prc. Quello che serve, invece, è un soggetto davvero nuovo, una sinistra di questo secolo e non del secolo passato.
Uniti a sinistra, l’Ars e Rossoverde hanno provato a ribaltare l’approccio. Ad Orvieto siamo partiti dai fondamenti. Serve una sinistra. Serve pacifista, del lavoro e della libertà. Serve radicale nei contenuti e riformatrice nel metodo. Che non abbia paura di “sporcarsi le mani” con il governo del paese e che però non punti a “conquistare il potere”, ma semmai a cederlo alla società. Questo credo sia il socialismo di cui abbiamo bisogno: il socialismo che mette la società e la persona (non lo Stato, non il privato) al centro. Che si batte, ad esempio, per la gestione dell’acqua, dell’energia, dei trasporti, del welfare, della formazione, della cultura, come beni comuni attraverso la partecipazione dei cittadini alle decisioni, e rifiuta tanto il modello privatistico quanto la mera gestione statale. Un socialismo che reinvesta il concetto di pubblico. Come nella scuola dei decreti delegati, una scuola di Stato ma non comandata dallo Stato.
Cossutta elenca alcune caratteristiche che condivido: una sinistra plurale, popolare, fatta di movimenti, giovani, intellettuali. Aggiungo di lavoratori, perché credo che i lavoratori siano anche in questo capitalismo il principale soggetto del cambiamento e perché il lavoro è oggi senza una rappresentanza adeguata.
Questa sinistra, questo socialismo, ha bisogno di un soggetto che non può essere né la somma di gruppi dirigenti (come sarebbe la confederazione che propone, devo dire piuttosto strumentalmente, il Pdci), né Rifondazione più qualche indipendente. Dev’essere una cosa nuova e diversa da ciò che è oggi. Anche Rifondazione ha bisogno di cambiare, di mettersi in gioco. Entrando nel nuovo soggetto non potrà rimanere immutata. Del resto una parte del cammino è già stata compiuta con l’assunzione della nonviolenza come fondamento culturale e politico. Ma occorre andare avanti in questa direzione. E’ un processo che mi rendo conto essere complicato, perché come in tutti i partiti vi sono resistenze ad abbandonare certe sicurezze. Ma è un processo necessario se non si vuole rimanere un partito che dice magari cose giustissime, ma non è in grado di concepirsi come potenzialmente maggioritario e quindi capace di incidere sulla realtà. Qualcosa si sta muovendo. Per la prima volta, nella storia di un partito comunista, la conclusione della festa nazionale non sarà l’occasione di un solitario e unidirezionale comizio del segretario, ma un evento a più voci. Un evento della Sinistra europea nel suo complesso. Certo questo non basta. Il coraggio di cambiare, di costruire dei ponti, di navigare in mare aperto, ha bisogno di un radicale ripensamento di se stessi per potersi incontrare con altre culture. Serve anche non considerare i partner di questa avventura come dei comprimari, così come è accaduto con la Cosa 2. Ma serve soprattutto mettere in campo una soggettività che non sia, per cultura e prospettiva politica, la riedizione di un film già visto.
E questo sarà possibile solo se molte nuove culture, e molte persone in carne ed ossa, potranno intravedere nel nuovo soggetto una risposta credibile alla crisi della sinistra. Solo se questo soggetto sarà “meticcio”. E’ una sfida, e come tutte le sfide non ha un esito predeterminato. Ma è una sfida necessaria.

Pietro Folena

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In risposta alle iniziative della magistratura contro i lavoratori di Melfi, noi che c’eravamo (Di Siena, Vendola e il sottoscritto) ci siamo autodenunciati alla Procura di Melfi. Ecco cosa scrive la Gazzetta del Mezzogiorno.

ECCO COSA SCRIVONO GLI AUTODENUNCIATI

Melfi«Non c’eravamo davanti alla Fiat di Melfi il 21 aprile 2004, giorno sul quale la procura di Melfi ha aperto un’indagine in cui sono coinvolti il segretario della Fiom di Basilicata, Giuseppe Cillis, e altri 17 lavoratori e rappresentanti sindacali di fabbrica. Ma c’eravamo i giorni successivi e soprattutto il 26 aprile, giorno nel quale la polizia caricò i lavoratori davanti i cancelli della fabbrica per rimuovere impedimenti simili a quelli contestati come reati il 21 aprile». È quanto scrivono, in una lettera aperta alla Procura di Melfi, il senatore Piero Di Siena, l’onorevole Pietro Folena e il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. «Possiamo affermare con assoluta certezza che nelle ore che abbiamo trascorso con i lavoratori in lotta a nessuno è stato fisicamente impedito di recarsi al lavoro e presumiamo che altrettanto sia accaduto nei giorni precedenti. Comunque se di reato si trattasse, a maggior ragione esso ci sarebbe stato quando le forze dell’ordine hanno ritenuto di dover intervenire. E noi ne saremmo responsabili al pari dei lavoratori indagati. Insomma, se si vogliono perseguire lavoratori e dirigenti sindacali si abbia il coraggio di essere conseguenti e di mettere sotto processo un’intera classe dirigente ? parlamentari, consiglieri regionali e provinciali, sindaci e amministratori locali ? che seppe in quella occasione schierarsi attivamente dalla parte delle giuste rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori della Fiat di Melfi».

02/08/2006

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