Archivio per la Categoria “EuropeiGlobali”

L’Europa e il mondo… la mia attività internazionale

Un epilogo che diventa un prologo.
Tutto comincia da un epilogo. Quello che si è consumato la settimana scorsa in Parlamento, nelle ore delle elezioni del Presidente della Repubblica, è per molti versi un epilogo, la conclusione di una storia. Noi qui vogliamo vivere quell’epilogo come un prologo o, per dirla con espressione che non ebbe fortuna, come un nuovo inizio.
“La fine è il mio inizio”, racconta con saggezza Tiziano Terzani al figlio Folco.
In queste ore difficili, perfino drammatiche, in cui migliaia di militanti si interrogano sul senso stesso dello stare nel Partito Democratico, quando si va incontro ad una speriamo breve stagione (e limitata negli obiettivi) di “governo del presidente” compiamo non solo un atto di fede -nei valori costitutivi del PD- , ma decidiamo di essere protagonisti, insieme a tante e a tanti, della costruzione nel prossimo Congresso, in forma democratica e partecipata, di un punto di vista socialista, ecologista, solidale che proponga al PD un’identità forte e riconoscibile: una vera e propria “Costituente delle idee”, aperta senza pregiudizi a tutti. Il tema cruciale che ora si apre è quello del Partito: di cosa sia, nell’era digitale, un grande partito popolare di sinistra nella società.
La crisi del Partito Democratico, che approfondisce la crisi istituzionale e politica, e il solco con una parte crescente della società, è stata provocata da gravi errori di conduzione da parte del gruppo dirigente. Al fondo c’è stato non solo qualche difetto tattico: ma anche, e soprattutto, una sottovalutazione diffusa delle condizioni di vita della maggioranza delle persone, e del significato del risultato elettorale, che richiedeva maggiore consapevolezza autocritica e un’iniziativa più radicale e più innovativa.
Il PD è arrivato ad appuntamenti capitali, fino a quello dell’elezione del Presidente, come una litigiosa confederazione di capi corrente, se non di veri e propri partiti nel partito, che rispondono solo ad una loro disciplina interna, al loro feudatario di riferimento: tutto ciò è esploso nel voto dell’aula, umiliando il prestigio e la credibilità di una grande forza politica popolare nella quale credono milioni di elettori, a partire dal mondo del lavoro, e centinaia di migliaia di militanti. (continua…)

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E ora, tutti obamiani! Senza limiti politici e ideologici, rottamatori, rottamandi e rottamati, tutti riscoprono l’ammirazione per Barack Obama. Anzi: la ricerca dell’Obama de noantri.
Eppure solo tre settimane fa, come in questo blog avevo commentato, si erano sprecati fiumi di parole, nell’inguaribile provincialismo della politica e del giornalismo nostrano, sulla fine di Obama, dopo il primo duello tv, e sul disincanto di quella coalizione di nuovi elettori (nuovi per età, per genere, per etnia) che quattro anni fa decretò il trionfo del primo Presidente afro-americano della storia degli USA. In questa bolla mediatico-politica, alimentata da quegli ambienti di Wall Street e dei grandi poteri finanziari ostili ad Obama, e subito rilanciata senza criticità alcuna dai nostri media e da molti nostri osservatori politici, si è arrivati a dipingere il voto con tinte di incertezza clamorosamente smentite dall’esito elettorale. I quotidiani principali stampati la notte scorsa, a spoglio appena iniziato, talmente persuasi di questo schema, ci parlavano di una incertezza fino all’ultimo e di una possibile vittoria al cardiopalma di Obama.
Due milioni di voti nel voto popolare, e 62 grandi elettori sopra la maggioranza necessaria per eleggere il Presidente, raccontano di una vittoria assai più larga di queste previsioni. Ricordiamo, senza scomodare una storia più lontana, elezioni assai più incerte di quella del 6 novembre 2012.
Mi colpisce in particolare come un uomo attento e grande conoscitore degli USA, come Vittorio Zucconi di Repubblica, abbia continuato fino all’ultimo nel dipingere una situazione di difficoltà per Obama e un Paese irrimediabilmente spaccato. A proposito di difficoltà, si tratta delle stesse che ha dovuto affrontare in questi anni, con una maggioranza del Congresso repubblicana. Non solo non c’è stata l’annunciata débacle dei democratici al Senato, ma lo stesso Partito di Obama appare più reattivo rispetto all’ultimo biennio. Quanto alla spaccatura, non è una novità. Oggi, a differenza dal passato, è una spaccatura che racconta della capacità dei democratici di guardare al futuro, aprendosi a neri, latinos, immigrati, e di parlare e coinvolgere le donne; e della resistenza dei repubblicani che continuano, sotto l’influenza dei Tea party a raccontarsi come una forza bianca e cristiana. C’è nel voto di Obama un connotato operaio e popolare che, unito all’avvio concreto della riforma sanitaria, avvicina la sua esperienza a quella delle sinistre e dei progressisti europei. La competizione tra Obama e Mitt Romney non è stata solo tra due persone così divrese, ma tra due idee di società alternative, che hanno suscitato passioni e entusiasmo.
Quello che esce a pezzi, in Italia, è il nuovismo liberal-liberista, che oggi nel centrosinistra viene riproposto da Matteo Renzi. I democratici americani dei prossimi anni dovranno puntare tutte le loro carte sul lavoro, sul welfare, sull’educazione, sull’integrazione, non sulle privatizzazioni, o sulla flessibilità selvaggia. Oggi americanismo torna a voler dire, come all’epoca di F.D.Roosevelt, modello sociale.
Insomma: vorremmo un po’ meno di chiacchiere obamiane fuori tempo massimo, e un po’ più di consapevolezza -quella che ha avuto François Hollande al momento dell’elezione- dei compiti della sinistra europea in questa crisi: chi siamo, chi dobbiamo rappresentare, con quale visione del mondo.

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obama

Dove sono tutti finiti in queste ore tutti i commentatori, anche progressisti, che in Italia in modo assai provinciale avevano già decretato la fine politica di Obama? Quest’uomo, fondamentalmente una persona per bene, è un eretico di questo tempo. Interpreta la crisi di civiltà del mondo con un sentimento sconosciuto allla politica contemporanea, e molto, molto raro in Italia. Il confronto della notte scorsa non è frutto di un caso.
Attendiamo autocritiche che già sappiamo non verranno.

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Da l’Unità di oggi

L’intervento di Pierluigi Bersani alla conclusione della Festa Democratica di Reggio Emilia, dopo settimane di discussioni e conflitti incomprensibili, mette al centro del confronto i contenuti del lavoro e della lotta alla speculazione. “Occorre levare alla finanza la libertà di uccidere”: parole che ricordano da vicino quelle di François Hollande all’inizio della sua vincente campagna presidenziale (“il mio avversario non ha nome, non ha volto, non si presenta alle elezioni, ma ha un grandissimo potere, la finanza”). L’associazione Laboratorio Politico per la Sinistra, che alla vigilia dell’intervento di Bersani ha tenuto un seminario con molti interlocutori esterni su quella che abbiamo chiamato “Agenda Bersani”, è nata proprio con l’obiettivo di far diventare la candidatura alle primarie del segretario del Pd lo strumento per la costruzione di un programma di svolta progressista per l’Italia.

Creare ottimismo e produrre speranza, in un paese colpito dalla recessione e da una depressione psicologica e morale, vuol dire far propri due capisaldi di analisi. Il primo è che la morsa della crisi mondiale, che ha colpito soprattutto le grandi economie occidentali, e che si sta stringendo sulla vita di milioni di lavoratori, con un carico di paure inedito, apre una nuova domanda di sinistra: una sinistra diversa da quelle del XX° secolo, ma una sinistra nel senso di una forza che faccia suoi i valori dell’uguaglianza, della responsabilità verso la natura e della dignità della persona. Il secondo è che la disaffezione ai partiti e alle forze organizzate, soprattutto in Italia -Paese che ha già conosciuto il trauma del ‘92, e che ha vissuto sospesa nella dialettica pro o contro Silvio Berlusconi per vent’anni-, scarica una critica più generale alla democrazia rappresentativa investendo dal basso all’alto, dai Comuni al Parlamento, le fondamenta repubblicane, col rischio che i senza voce e i senza rappresentanza, a cominciare dai più colpiti dalla crisi economica, si infatuino di scorciatoie populistiche e antidemocratiche. C’è, come non mai, bisogno di democrazia.

Il Laboratorio non ha nulla a che vedere con le numerose e legittime correnti del Pd. E’ un’associazione di iscritti al Pd e di non iscritti al Pd che riconoscono che solo con un successo di questo partito le cose possono cambiare. Tanto più in ragione del fatto che sulla scena il Pd è l’unico Partito non personale: un partito da cambiare, da liberare da vecchi o nuovo patti di sindacato, autenticamente democratico.

Abbiamo tre semplici convinzioni: 1) la partita di fondo si gioca in Europa e il campo del Pd è quello socialista e democratico, a cui spetta, dopo il quindicennio di dominio delle destre, la ricostruzione di un’idea comune; lo scontro, è fra questo campo e quello moderato e di centro-destra, guidato dal Partito Popolare Europeo; 2) in Italia, con questa legislatura, finisce -dopo il centrodestra- l’epoca dei governi tecnici; la parola torna al popolo e alla politica, e va respinta in radice ogni ipotesi di grandi coalizioni che mescolino programmi e visioni alternative; sappiamo che ogni giorno in modo martellante la finanza e i poteri forti spingono in questa direzione, per impedire un governo politico segnato dall’impronta delle idee del Pd e della sinistra; 3) la legge elettorale deve salvaguardare un principio maggioritario, che permetta ai cittadini di scegliere; in questo contesto l’indirizzo proporzionale, che emerge da un asse inedito Pdl-Udc, è volto solo all’obiettivo di impedire la vittoria della sinistra e un Governo progressista. (continua…)

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Dall’Unità di oggi

Le ultime settimane si sono incaricate di spiegare a chi non l’avesse ancora capito -e, dalle parti del Governo, sono in molti- quanto sia profonda la crisi che si è aperta in Occidente e nel mondo. E’ una crisi del capitalismo finanziario, a cui fa a malapena il solletico quell’insieme di misure e di terapie -tutte fondate su un rigorismo ottuso e antisociale- che le destre europee hanno imposto a molti Stati, passando sopra alla sovranità popolare e ad una storia pluridecennale di conquiste, che va sotto il nome di “modello sociale europeo”.

Lo spread tra i Bpt italiani e i Bund tedeschi è poco sotto i 500, come nel periodo peggiore dell’ultimo Berlusconi. Sono stati bruciati i sacrifici fatti e pagati solo dai redditi medio-bassi, dal lavoro dipendente, dai ceti medi, dai pensionati, dal lavoro, dal Mezzogiorno e dalle famiglie con l’IMU. Come nel gioco dell’oca siamo tornati alla casella di partenza.

E in più: con la gigantesca e intollerabile disoccupazione di giovani e di donne, con un Paese in recessione e un governo che non ha un’idea per la crescita. A ciò si aggiungono i tagli al settore pubblico -una manovra aggiuntiva non dichiarata- che mescola strumentalmente interventi giusti contro sprechi e scarsa efficienza di molti settori, con mazzate formidabili a settori come la sanità, la scuola e la ricerca, la giustizia. Il colpo violento inferto all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nei giorni del successo italiano nella ricerca sulla “particella di Dio” non è un semplice incidente di percorso. La Germania è più competitiva perché ha mantenuto e sviluppato un forte settore pubblico, ha investito nella ricerca e nella cultura, crede nell’intervento dello Stato. (continua…)

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Da Dazebao di oggi

Giugno si avvia alla conclusione nel segno della più grande incertezza. Se infatti la sfida calcistica con la Germania si annuncia appassionante, quella politica con la Merkel sembra purtroppo perduta. Angela Merkel, infatti, con spirito bottegaio, punta a parlare solo alla pancia dell’elettorato tedesco a cui è stato spiegato, negli anni passati, che tutti i problemi dell’Euro e dell’Europa nascono dal Sud, dalla Grecia al Portogallo passando per Spagna e Italia. La cancelliera tedesca, a differenza da quanto fu Helmuth Kohl, non si dimostra una statista: dicendo no agli Eurobonds e a una nuova politica europea di crescita, affossa la costruzione europea e, alla fine, il ruolo della stessa Germania. Ripercorre un classico della storia di questo Paese: il sogno di un’Europa tedesca, ieri manu militari, oggi per mano della guerra finanziaria. Ma la Germania, che come ci racconta la sua nazionale è fatta di figli di immigrati, non può reggere, nella pace e nella convivenza civile, una situazione di questo genere. (continua…)

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Da Dazebao di oggi

Il successo di Frau Forza -Kraft, in tedesco- in Nord-Reno Westfalia è la prima vera grande sconfitta politica di Angela Merkel, e conferma che il vento, dopo il trionfo francese di François Hollande, è girato.

La linea rigoristica imposta dalla Merkel all’Europa non ha convinto i tedeschi: i quali non sono andati a destra, ma chiedono di fatto una politica più attenta alla crescita e all’equità, e una politica più europea. Invocavano una svolta in Europa, e piano piano questa si sta delineando.
La strada in Germania, per il cambiamento, è ancora lunga. E tuttavia la più antica e la più forte socialdemocrazia europea, quella tedesca, che nelle sue vittorie e nelle sue sconfitte ha segnato l’intero corso politico continentale, soprattutto nel secondo dopoguerra, torna prepotentemente alla ribalta. E’ come se francesi e tedeschi, le cui guerre hanno insanguinato per secoli le grandi pianure e colline europee, e che nel ‘900 sono stati protagonisti dei due più tragici conflitti contemporanei, dimostrassero insieme la consapevolezza che Nicolas Sarkozy e Angela Merkel avevano finito, blandendo gli interessi forti dei mercati e della finanza (che come dimostra l’osceno scandalo di JP Morgan hanno continuato a truffare e speculare sulle spalle dei popoli europei), col minare alla base l’intera costruzione comune. Fino al grande sogno di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene, di costruire un giorno, prima possibile, gli Stati Uniti d’Europa. (continua…)

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Da L’Unità di oggi

Quello che colpisce della polemica di questi giorni non è la critica all’ipotesi di un partito socialdemocratico classico, che sinceramente si fa fatica a vedere in campo, ma è lo scandalo derivante dal fatto che qualcuno (e sono fra questi) si senta, da democratico, socialista, e apertamente sostenga che nel Partito democratico ci si possa dichiarare antiliberisti e critici del pensiero unico di questi anni. “Il mio avversario non ha volto, non si presenta alle elezioni, ma governa: è la finanza”, ha dichiarato François Hollande, che aspira con buone possibilità di successo a diventare Presidente della Francia. Sostenere queste idee, per i critici, vuol dire arroccarsi nel ‘900, e non essere moderni. Trovo invece terribilmente datata la posizione di chi ancora subisce il fascino del Mercato come luogo metafisico, in grado -se liberato dallo Stato e dal pubblico- di rispondere alle sfide terribili di questo tempo. “I santuari intoccabili che hanno bloccato l’Italia”, di cui parla Walter Veltroni, per me, sono i poteri finanziari, ed è quella grande area grigia di rendita che li collega all’evasione fiscale, alla corruzione, alle mafie. La diseguaglianza, la disperazione sociale, la paura di questo tempo non sono figlie del “conservatorismo” della sinistra, ma di un trentennio di liberismo sfrenato che ha incantato anche la sinistra. Che l’incapacità di innovarsi delle socialdemocrazie del 900 abbia lasciato un campo più aperto al modello liberista, è vero. Ma la medicina -dalla terza via blairiana al Neue Mitte- ha gravemente peggiorato la situazione. (continua…)

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Da Lettera43 di domenica 12 febbraio 2012

Il successo internazionale di Mario Monti è oramai cosa conclamata. I riconoscimenti di Time e del Financial Times e il tributo riservatogli da Barack Obama danno il segno del profondo cambiamento intercorso dal novembre passato. Di questo anche i più critici del Governo non possono non tenere conto. L’importante ora è che il Premier non si monti la testa, come alcuni dei suoi ministri e delle sue ministre nei giorni scorsi hanno fatto, inanellando una gaffe dietro l’altra anziché occuparsi con efficacia dei problemi concreti, ultimo fra tutti in ordine di tempo l’emergenza neve e freddo di questi giorni. Monti non nasconde, e quando lo fa rischia davvero di scivolare sul ghiaccio, un’ambizione politica molto forte: quella di riuscire a far prevalere una visione liberale, temperata rispetto agli effetti liberisti, ma sostanzialmente alternativa a quella che le forze socialdemocratiche propongono in tutta Europa. Nel colloquio di Washington, nel quale Monti e Obama -a differenza dal duo Angela Merkel- Nicolas Sarkozy – parlano di crescita è evidente quanto Obama ne parli guardando al modello europeo (maggiori sicurezze sociali e garanzie, grandi progetti per sostenere la crescita) e quanto Monti ne parli guardando a quello americano (più flessibilità, più competizione, fiducia nelle forze spontanee del mercato). (continua…)

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Dall’Unità di oggi.

Il fallimento dell’egemonia neoliberista ha innescato una gravissima crisi nel mondo. Gli schieramenti progressisti in Europa hanno subìto per lunghi anni una pesante offensiva politica e culturale mentre la sbornia liberista aveva prodotto alcuni guasti anche al loro interno.

Il disfacimento di una visione distorta e sregolata della globalizzazione ci impone di ripensare modelli sociali, sistemi economici e democratici; si è aperta una fase di transizione che si misura sul come riprendere a crescere, con quali modelli di consumi e con quale qualità ambientale, sul come riorganizzare il welfare a fronte dei nuovi processi migratori, degli andamenti demografici e della diversa composizione del mercato del lavoro. (continua…)

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