Archivio per la Categoria “Politica nazionale”

Quel che dico e faccio come deputato

Qualcuno ha ricordato che ero al timone del Partito -allora i DS- quando l’Unità sospese le pubblicazioni nel luglio del 2000. La tragedia di quelle ore, documentata anche in tv e al cinema, con i giornalisti che protestavano sotto la sede delle Botteghe Oscure, dal punto di vista della proprietà pesò fortemente sulle mie spalle. Poco importava in quelle ore che negli anni precedenti ci fossero state gestioni “allegre” del giornale, e che l’immenso debito dell’Unità pesasse come voce fondamentale sul debito storico del PCI-PDS; e poco importava che sempre in quegli anni, nei tentativi fallimentari di portare privati nel giornale, fossero stati coinvolti imprenditori di dubbia fama. In quei mesi venne lasciata anche Botteghe Oscure, e cominciò la grande alienazione del patrimonio immobiliare del PCI-PDS, per pagare o consolidare un debito accumulato nella storia. (continua…)

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Non avevo mai partecipato a un’iniziativa promossa da Pippo Civati e dalla sua area. La tre giorni di Livorno mi ha molto colpito. Si tratta di un evento assai distante da quelle riunioni di corrente in cui la sinistra del PD si è frantumata in questi mesi, o si sta frantumando la stessa SEL. Quelle riunioni, quelle che ho visto di persona e quelle di cui ho letto, sono riunioni di ceto politico, sostanzialmente preoccupato della propria salvaguardia e della propria riproduzione, e per ciò ostile ad ogni cosa nuova che venga dall’esterno.

Politicamp 2014 -non ancora una Leopolda di sinistra- aveva al suo interno sicuramente del ceto politico mosso dalle stesse preoccupazioni: ma è stato soprattutto un grande evento aperto, popolare e giovanile, con un’autentica voglia di discutere, anche polemicamente, e di partecipare. Vedere per ore e ore centinaia e centinaia di compagni, iscritti e non iscritti al PD, assistere a discussioni di contenuto, ricche e plurali, e poi prendere la parola non è cosa di tutti i giorni, specie in quest’estate conformista del 2014. (continua…)

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Uomini di frontiera, è difficile trovarne. In alto, è facile: protetti dai libri e da sicuri portafogli”. Era un caldissimo giorno di luglio del 1978. La Padova della militarizzazione della politica rendeva difficile -dopo il ‘77, le gambizzazioni e gli attentati di autonomia operaia e le azioni violente dello squadrismo di estrema destra- pensare la politica in termini di conflitto pacifico. Tom Benetollo ci provava, e scrisse a me, giovanissimo segretario della FGCI veneta, una lunga “Dedica alla cinese” che cominciava così. Quella dedica la conservo sempre appesa dietro alla mia scrivania.

Dieci anni dopo quella scomparsa tragica e improvvisa, la parola che più mi rimbalza nella mente è frontiera. Tom era uomo di frontiera, e dell’abbattimento di dogane, confini, muri ha fatto la ragione della sua esistenza, così ingiustamente breve. Sapeva bene -venendo dalla campagna, orfano di padre da giovane, con la sua adorata mamma Italia, Tom che aveva brillato negli studi diventando un intellettuale autodidatta come pochi- che chi non è “in alto”, se sbaglia un bivio, paga nella vita.

Bisogna muoversi “senza mai tornare, come mobili stelle polari”. Ed essere rapidi -negli anni ‘70, non nell’era di un twit-, anzi “più rapidi di questo mondo che vuole coglierci e ingessarci nella sua vecchiaia”.

La vita pubblica di Tom Benetollo è stata segnata da tre distinte fasi. La prima, negli anni 70, quella dell’impegno politico a Padova e in Veneto, segnata dall’iniziativa per difendere lo spazio della partecipazione, negli anni delle spranghe, delle molotov e delle P.38. La seconda, quella del tentativo, nella FGCI nazionale e poi nella sezione esteri del PCI, di far prevalere un’impronta pacifista, contro i blocchi, promuovendo e organizzando il grande movimento contro i missili nucleari. E la terza, quella nell’ARCI, fino a diventarne Presidente, e a cambiare i connotati della più grande associazione culturale italiana, come si vedrà dai fatti di Genova, nel 2001, fino alla sua scomparsa tre anni dopo. (continua…)

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Centocinquanta tirocini retribuiti nei Beni Culturali non rappresentano ancora un’inversione di tendenza. Indicano tuttavia una volontà, già affermata da Dario Franceschini con altri provvedimenti, di immaginare una strategia generale per la cultura nella quale al primo posto viene l’occupazione giovanile.

Decine di migliaia di ragazze e ragazzi, per passione, si sono laureati in storia dell’arte, architettura, archivistica e in tutte le altre discipline proliferate nel settore negli ultimi vent’anni nelle Università italiane. Hanno trovato però di fronte il Muro. Il Muro del blocco del turn-over, accompagnato dai tagli lineari nel settore pubblico e, negli ultimi tempi, dall’avvio del pensionamento di un’intera generazione di studiosi che entrò nel Ministero dopo la sua costituzione, da parte di Giovanni Spadolini, negli anni 70. Oltre quel Muro, dove una volta c’era un fiorire di posti di lavoro e di professionalità, ora ci sono grandi aree di deserto, col rischio di una dispersione di conoscenza. (continua…)

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Fermatevi!

Prima che sia tardi Matteo Renzi e i suoi consiglieri, con l’appoggio di larga parte dell’ex-minoranza, dovrebbero evitare un cortocircuito traumatico nella coscienza del Paese. Non basta evocare i “voti”, come si è fatto in queste ore: non c’è voto, né “plebiscito” che giustifichi atti di prepotenza e di intolleranza come quello che ha visto il PD cacciare Vannino Chiti e Corradino Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali perché non “allineati”. Non ho memoria, in epoche recenti, di un atto di questa brutalità. Il tema va al di là del merito della riforma: viene messo in discussione un principio costituzionale sacro, e cioè la non esistenza di un vincolo di mandato del parlamentare, il quale non deve rispondere al Partito, ma alla Sua coscienza, interpretando lì il senso del mandato ricevuto.

Ricordo le sacrosante polemiche bersanian-renziane contro Beppe Grillo quando a più riprese è intervenuto per imporre un vincolo agli eletti del M5S. Oggi Anna Finocchiaro, che presiede la Commissione, giustifica questa sostituzione affermando che il problema della libertà di coscienza esiste solo per l’Aula! (continua…)

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Applausi. La norma voluta da Dario Franceschini e approvata dal Consiglio dei Ministri merita applausi. L’ Art bonus, sul modello dell’Ecobonus, e cioè un sistema di incentivi fiscali per un privato che decide di fare donazioni, mecenatismo, con un credito d’imposta del 65% in tre anni, davvero come ha detto Franceschini “rivoluziona il rapporto tra pubblico e privato nella cultura”. Si colma una parte dello spread tra l’Italia e gli altri Paesi Europei – a partire dalla Francia- in rapporto alla defiscalizzazione delle donazioni e degli interventi di mecenatismo, di cui anch’io recentemente avevo parlato (ne Il potere dell’arte, Datanews 2013). Si tratta non solo di una buona notizia per i privati che -come MetaMorfosi- hanno imboccato questa strada. Ma per il PIL del settore culturale, che ne trarrà giovamento, e per la capacità di attrarre nuove imponenti risorse per la cultura. (continua…)

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Con Chiti, senza se e senza ma.

Trovo abbastanza incredibile il clima conformista e intimidito che in molti, nel Partito Democratico, hanno assunto a fronte del progetto di riforma costituzionale. Capisco quando Matteo Renzi chiede coesione e compattezza sull’azione di Governo: per ottenerla bisognerebbe, anche su materie economiche e sociali, ascoltare di più tutte le opinioni. Ma non capisco sinceramente il clima intimidatorio che si è creato alla Camera in occasione della discussione sull’Italicum, che ha visto anche la minoranza del PD sostanzialmente subalterna e incapace di un’iniziativa significativa. E ancor di meno capisco il clima che si sta creando al Senato, o le parole di dileggio dei “professori” che il Segretario-Premier ha pronunciato alla Direzione. (continua…)

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Venerdì prossimo 4 aprile si terrà a Roma un importante convegno il cui titolo” L’Europa della solidarietà contro la crisi” indica di per sé stesso l’obiettivo che si propone: contribuire a promuovere in vista delle elezioni europee un dibattito serio su cosa e come deve cambiare l’Europa. Promosso dalle associazioni Network per il socialismo europeo e Laboratorio politico e dalla Fondazione Friedrich Ebert, l’iniziativa che vede la partecipazione di altre importanti associazioni dell’area della sinistra politica e sindacale, sarà anche l’occasione per un confronto con intellettuali e ricercatori del socialismo tedesco e scandinavo. Non c’è dubbio che il fatto che per la prima volta il Pse presenti con Martin Schulz un candidato comune alla direzione della futura Commissione Europea dia alle prossime elezioni una dimensione più politica di altre volte e rafforzi gli impegni del suo programma per un cambiamento significativo degli indirizzi europei finora dominanti. Un cambiamento che auspichiamo sarà appoggiato anche dalla lista Tsipras, che si muove anch’essa su una linea di riforma dell’Europa, rifiutando l’ antieuropeismo che caratterizza i movimenti populisti e nazionalistici che stanno crescendo in tutta Europa. (continua…)

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A noi figiciotti “eretici”, Gianni Borgna, da segretario della Fgci romana e poi come responsabile culturale della Fgci nazionale, ci aiutò a cercare nella cultura e nella società i percorsi non ortodossi. L’amore per Pier Paolo Pasolini e per la sua lezione, è stato un seme che ha piantato Gianni, e che dieci anni dopo il suo assassinio portò la Fgci che dirigevo a fare della pasoliniana “disperata passione di essere al mondo”, col sostegno attivo di Borgna, il manifesto di una ricerca collettiva e esistenziale. La cifra della sua vita e del suo percorso politico, intellettuale e umano è stata sempre quella della ricerca, anche controcorrente: in un’epoca e di fronte a un Potere in cui si manifestano prepotenza e superficialità, la “gentilezza” di Gianni Borgna è una lezione su cui tutti quelli che lo piangono dovrebbero meditare. E del resto -se si può ragionare su un “dare/avere”- Borgna è uno di quei rari dirigenti della sinistra che al suo partito  ha dato molto (oltreché e prima ancora alla sua città), e che, forse proprio perché così diverso dal tempo che stava arrivando, non ha avuto tutto quello che avrebbe meritato.

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Ciak. La prima non era buona. Il confuso stop and go di Matteo Renzi e dei ragazzi del suo staff sull’articolo 18 e sul lavoro non fa presagire nulla di buono. Ora Renzi frena gli ardori del suo staff, che forse non ha ancora capito quale responsabilità ha di fronte a milioni di persone, sentendo il rischio di prendere una dura musata. Rimane il fatto che, ad una settimana dall’elezione del nuovo segretario, il Partito Democratico sembra aver sposato, nel suo gruppo dirigente, l’ideologia su cui liberali e liberisti, di diversa gradazione, avevano martellato in questi anni. Peccato che Renzi non avesse chiesto il plebiscito su questa linea. Forse i risultati sarebbero stati diversi. (continua…)

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